Dramma intenso e penetrante, gelido e cinico trattato sull'omicidio e sui legami di sangue così difficili da spezzare
Bromell (dopo una gavetta a scrivere serial tv "polizieschi") esordisce con una regia sobria , asciutta e senza sbavature (molti campi lunghi, tantissimi flashback su flashback) una storia quotidiana fatta di fredde esecuzioni (la prima, così silente e asettica è un gran bel pezzo di regia, la seconda fulminea e scorsesiana, in un parcheggio, con i gabbiani di
Maniac a fare da contorno), crisi personali e matrimoniali, padri troppo ingombranti, e spietati, ragazze irrequiete e una bizzarra storia d'amore tra due solitudini con parecchi problemi (non per nulla il destino sceglie il fatale incontro in una sala d'aspetto dello psicanalista)
Bromell guarda al miglior Altman (non per nulla sceglie alcuni dei suoi "attori" e viene ringraziato sui titoli di coda) e pare un P.T. Anderson senza enfasi, in una micro coralità che unisce drammi della vita e incrocio di destini, fino ad arrivare ad un fulminante e inaspettato finale violento, che è nemesi e purificazione al tempo stesso.
Il tiro a segno con gli scoiattoli nei ricordi di un'infanzia non proprio felice, le regole sull'uccidere, la doccia fredda quando si scopre chi sarà la prossima vittima di "famiglia", il cruccio che martella Alex , diviso tra un amore "impossibile", senso del dovere, un genitore che pesa come una spada di Damocle e una moglie che lo sente sempre più distante, come uomo e come marito.
Cinema ficcante, emotivo, intimista, che avvolge pian piano in una morsa ineluttabile, fino al regolamento di conti inevitabile.
Esagitata e instabile la Campbell, tra baci lesbo e sesso occasionale, che gira in infradito per la sua squallida stanzetta (
Hai dei bei piedi, le dice ad un certo punto un Macy sempre più goffo e impacciato), un luciferino e inesorabile Sutherland che giganteggia in un ruolo spregevole (la rabbia vomitata verso il nipotino che fa schizzare la colla, l'insegnamento del perfetto killer che tramanda da figlio a nipote, come se sparare e uccidere fosse come andare a pesca), dimessa nella sua sciatta quotidianità coniugale la Ullman, funzionale Ritter nel ruolo dello psicanalista (da antologia la prima seduta tra lui e Macy:
E la seconda attività? Lavoro per mio padre.
E che cosa fa? Uccido persone) e immenso Macy, in un ruolo tra i migliori interpretati dall'attore, che spesso ricorda
Edmond di Gordon, incrocio di mitezza, rassegnazione, goffagine (la sua love story con la Campbell sempre più borderline ha picchi altissimi) e, all'occorrenza, impassibile killer prezzolato, che , a volte, rimembra il Kitano di
Sonatine
Ottima la OST di Bryan Tyler e la fotografia di Jeffrey Jur, che adotta toni caldi e cromatismi notevoli.
Piccolo ruolo per Nick Cassavetes (è l'"armaiolo" personale di Macy che c'ha pure problemi con la sanità) e
Una perfetta coppia di svitati il film che ha sancito (tra le altre cose, perchè il loro primo incontro sull'ascensore ha un chè di grottesco nei dialoghi) l'unione matrimoniale tra Macy e la Ullman (
Le sembro una prostituta? Sì, lo sembra)
Pellicola passata sotto colpevole silenzio (come giustamente sottolinea il
Morandini sulla scheda del film), ignobilmente, all'epoca, snobbata pure da
Ciak, ma messa in evidenza da Emanuela Martini in
Film tv (che lo saluta con un pollice sù), che andrebbe ripescata dall'oblio ingiustificato in cui è finita, molto più penetrante e lucida di tanti film più blasonati e molto meno interessanti.
Per me è già un piccolo cult, uno di quei film che scalda il cuore con le vicissitudini dei suoi protagonisti, eppoi ti resta in bocca il sapore amaro del fiele per le svolte imprevedibili e "dolorose" (il prefinale della resa dei conti dal sapore schraderiano, la sequenza che precede la fine, nella saletta d'attesa dello psicanalista, quando la Campbell scopre che Sammy...)
Una curiosità, indicato come "set medic" sui titoli di coda si legge il nome di George A. Romero, quando si dice un'incredibile omonimia.