Trattasi di un one-man-show, un docu-film con Mike Tyson sul palco a raccontare la sua vita. La cosa regge grazie alla mano di Spike Lee e dei montatori: si vede che è stato fatto un lavoro di fino nella direzione e nel montaggio. Tyson non è un personaggio da palcoscenico-teatrale, non ha il carisma che servirebbe e in questa operazione la cosa viene fuori. Interessanti, invece, i vari aneddoti sulla sua vita che permettono di capire qualcosa in più sul personaggio. Sullo sfondo nessun video di repertorio ma solo foto.
MEMORABILE: Tyson dipinge Don King come il diavolo. Il racconta di come, anche grazie allo stesso King, abbia perso tutti i 400 milioni guadagnati.
Sorprendentemente, Tyson si scopre performer sopraffino in questo one-man-show autobiografico. Innegabile però il merito di Spike Lee, che riesce a dirigerlo e indirizzarlo oltre che a partecipare alla scrittura del testo. Dalla dura infanzia al successo, passando per le innumerevoli cadute e arresti. Un racconto senza veli e senza falsa retorica in cui Tyson si mette sinceramente a nudo riuscendo a essere anche ironico e strappando la risata in varie occasioni. Unico difetto (forse): l'eccessiva scurrilità, anche quando non necessaria.
Assistere a un monologo di Tyson è a dir poco inaspettato; preparato e studiato finché si vuole, ma pur sempre un monologo che esce dalla bocca di un uomo che ha quasi sempre parlato con i pugni e la violenza, anche fuori dal ring. Non se la cava neanche male; e la prima parte in cui parla dell'infanzia, dell'adolescenza piena di borseggi e dell'inizio della carriera è interessante. Poi però quando inizia a sparlare di ex e avversari il tutto si banalizza, anche se, trasformandosi in macchietta vivente, rende la cosa più accettabile. Nel complesso non male, dopotutto.
MEMORABILE: Tyson descrive il suo primo allenatore e mentore "Era un vecchio italiano cattivo"; "Dai fratelli borseggiavo e poi andavo dai bianchi saltellando".
Tyson sorprende tutti con una serie di spettacoli teatrali in cui racconta la sua vita in modo ironico; questo è immortalato nella sua New York e vede l'ex-campione ripercorrere fatti e misfatti di una vita complicata tra difficoltà e traguardi, cadute e ripartenze, gioie e dolori, tutto affrontato con molta autoironia e uno stile da stand-up comedian afro-americano. Nonostante la sua "zeppola" Tyson si dimostra spigliato e brillante, molto diverso dalla cupezza che lo rappresentava nel documentario del 2008; si ride e si fanno apprezzare la sua ritrovata serenità e lo storytelling.
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