Il film che ha aperto la strada del peplum all'italiana. Un successo inaspettato quanto clamoroso (maggior incasso dell'anno) giustificato da una ricchezza scenografica che lascia il segno, valorizzata dalle luci cangianti studiate da Mario Bava (che si occupa anche degli effetti speciali e di dirigere pure alcune scene spettacolari, secondo molti). L’aderenza storica alla leggenda di Ercole è limitata a due sole fatiche (la lotta col leone prima e il toro poi), mentre per il resto ci si rifà piuttosto all'avventura degli argonauti (con tanto di vello d'oro da recuperare) mescolando bizzarramente la mitologia e ottenendo una trama complessa che non si preoccupa troppo...Leggi tutto di risultare per molti versi caotica e inattendibile. Steve Reeves, il primo e più convincente Ercole di casa nostra, divide spesso la scena con Giasone (al quale spetta l’incredibile lotta finale con un enorme drago in similgomma) e i suoi compagni d'avventura evitando che il film si centri troppo sul suo personaggio, mentre la grande varietà di paesaggi garantisce una dinamicità che altrimenti sceneggiatura e dialoghi (inevitabilmente pomposi) faticherebbero a raggiungere. Belle scene di massa, un uso intelligente e tutto sommato ancora parco di effetti speciali (Bava farà ben altro nel suo magnifico ERCOLE AL CENTRO DELLA TERRA), un peplum tosto come troppo spesso non si può dire dei tanti film nati sull'onda di questo primo classico di Francisci. Confezione scintillante, colori di grande effetto. I limiti sono quelli congeniti al filone; da vedere.
Aiutato da mastro Bava, che regala al film un aspetto visuale stupefacente (e, dicono i maligni, gira molte sequenze mentre il regista fa la pennichella), Pietro Francisci salva il cinema italiano dalla bancarotta in arrivo e avvia la fase più bella e rimpianta della sua storia. Classicissimo, seminale, ovviamente disinvolto (diciamo) nella rivisitazione della mitologia. Steve Reeves sarà il miglior muscolone, forse anche per il fascino del capostipite. Fondamentale.
Cicli e ricicli d'Italia: si prende un genere di cui eravano i campioni nel periodo del muto (il peplum), se ne estrapola il personaggio simbolo (là era il dannunziano Maciste, simbolo del fascismo assieme al suo "alter ego" Mussolini dei cinegiornali luce) e lo si riveste di una patina d'allegro espressionismo metafisico. Grazie ad un'abile e ironica sceneggiatura (De Concini) che riesce a schivare lo schematismo del film, a prove e soprattutto ad un apparato iconografico di prim'ordine: gli effetti speciali di Bava e le scenografie di Mogherini. Apripista.
MEMORABILE: Il combattimento col leone e quello finale col simil godzilla: due esempi degli straordinari effetti speciali caserecci di Bava.
Dopo la morta stagione degli eroi del muto partoriti da Cabiria, ecco l’archetipo del kolossal italiano degli anni Cinquanta-Sessanta, che trae libero spunto dalla mitologia greca – le “Argonautiche” di Apollonio Rodio e tre delle dodici fatiche di Ercole – per creare un genere nuovo conciliante avventura, romanticismo e fantasy, destinato ad ottenere vasta popolarità. In mezzo ai colori pastosi e agli effetti speciali di Bava si stagliano alcuni attori simbolo del peplum come il forzuto Reeves, il tracotante Palmara, l’usurpatore Garrani e l’ammaliatrice Canale.
MEMORABILE: Ercole che abbatte i nemici con le catene che lo tenevano prigioniero.
Fantasmagoria di colori, trionfo della cartapesta, sagace uso di luoghi laziali. Si frullano vincende e personaggi della mitologìa con accostamenti sorprendenti. Azzeccato il forzuto (il doppiaggio di Cìgoli aiuta molto). I dialoghi sono tonitruanti, ma hanno almeno una certa coerenza nella costanza. Personaggi spesso monodimensionali, anche con involontario effetto umoristico (Palmara). Spettacolosa la Koscina. Facce amabili nelle seconde e terze linee (la Rovere, la Quattrini bimbetta - in compagnia dell'onnipresente Martufi - la Paluzzi!). Non funzionano i gruppi di persone, che si muovono come Qui, Quo e Qua. Facendo la tara al tempo, si può dare **½
Peplum all'italiana per eccellenza e grande successo commerciale, rielabora la mitologia molto liberamente. Il risultato è ovviamente molto ingenuo narrativamente (e oggi definitivamente superato) ma non male visivamente grazie ad un apparato tecnico di prim'ordine. Ben scelto il cast.
Ottimo peplum diretto da Francisci, il quale si avvale della sicurezza di una storia di per sé bellissima come quella de "Le Argonautiche" di Apollonio Rodio. Il film scorre bene e il maestro Mario Bava, che si occupa delle luci e degli effetti speciali, riesce a regalare perle di cinema, soprattutto nelle sequenze notturne (su tutte quella nell'isola delle amazzoni). La pellicola perde un po' di credibilità per colpa di alcuni attori non proprio di prim'ordine, ma nel complesso il risultato è decisamente buono.
MEMORABILE: Gli argonauti nell'isola delle amazzoni.
Pietra miliare del peplum che ne diventa anche tombale imponendo in pratica tutti i crismi del genere. Abbastanza dilatato nel primo tempo, si riprende nel secondo con l'entrata vera e propria nell'azione, che mescola senza ritegno la vicenda delle dodici fatiche e la vicenda delle Argonautiche. I dialoghi hanno il difetto di risultare poco naturali (forse potremmo dare colpa al tempo), ma si riducono saltuariamente a battute telefonate deprecabili. Impeccabile la fotografia di Bava e anche gli SFX seppur caserecci non sfigurano.
La fotografia curata da Mario Bava è il solo motivo che mi ha spinto a vedere questa pellicola e che mi ha convinto. Pur non essendo il mio genere sono rimasto positivamente colpito, vuoi per le belle scenografie del cinema italiano di allora, vuoi per il cast dignitosissimo. Un bel mix di azione, amore e fantasia. Leggero ma gradevole.
Peplum italico girato con buoni mezzi e un ottimo cast. Belle le scenografie (di cartapesta) e gli esterni dei dintorni laziali. Un po' sonnacchiosa la storia, che si risolleva grazie anche allo splendido tocco alle atmosfere che solo Bava riesce a conferire. A mio avviso non il migliore della "saga" in fatto di trama, ma sicuramente quello più curato per scenografie, fotografia e ambientazioni.
Implausibile (e chi se ne frega, in questo caso) ma spettacolare. Vero laboratorio di esperimenti fotografici e trucchi di vario tipo per Bava, che ci regala autentiche visioni in celluloide. Dialoghi come sentenze scolpite nel marmo funzionali alla trama. Gli si perdonanano le ingenuità e anche l'enfasi e il clangore (tarati, forse, sul gusto dell'epoca).
Il forzuto per antonomasia, semidio dotato, ma anche molto osteggiato, consuma qualcuna delle sue impressionanti fatiche lasciando poi il podio a Giasone con la sua mitica impresa. La storia classica si stempera in derive narrative romanticoidi, dove il mastodontico eroe si barcamena, granitico e "ingessato" più che mai. Ma lo sforzo per farne un prodotto al di sopra della media è qui evidente e anche piuttosto riuscito.
Il mitologico per eccellenza: scanzonato, roboante, pieno di situazioni da favola, tutto incentrato sulla muscolatura straordinaria di Steve Reeves. Nonostante gli anni siano trascorsi rimane sempre un film piacevole a vedersi, un prototipo nel quale si notano molte cose che saranno replicate e altre che invece non funzionano e verranno abbandonate (il cantore che esegue canzoni mentre la ciurma deve vogare): La Koscina mai così sexy.
Non male questo mitologico italiano, che riesce ancora oggi a far sorridere grazie sì a una certa ingenuità e a una rilettura a dir poco fantasiosa degli avvenimenti, ma che ha dalla sua anche dialoghi piuttosto apprezzabili nella loro semplicità e una buona dose di ironia. Difficile dimenticare il leone vero ma semi narcotizzato che "combatte" contro Ercole, il toro infuriato che in realtà è un bisonte e, soprattutto, una sorta di tirannosauro a guardia del vello d'oro. La parte con le amazzoni è meno interessante, ma il finale, con Ercole "catenacciaro", fa tornare il sorriso.
MEMORABILE: "Guardati dal mono sandalo"; "Provami che nel tuo cranio non c 'è un terzo bicipite"; Gli antropomorfi tarantolati.
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