Si riprende in mano il massacro del Circeo del settembre 1975 (riportato alla ribalta letteraria dal successo al premio Strega del romanzo di Edoardo Albinati qui alla base della sceneggiatura) per illuminare un mondo scomparso rievocandolo efficacemente. Il lavoro su scenografie e costumi è ottimo, filtrato da una fotografia desaturata che ci riporta indietro negli anni come se la storia uscisse da una vecchia Polaroid. In superficie si è quindi agito benissimo, è quando tocca calarsi nell'inferno di una gioventù corrotta da ideali confusi che il film perde un po' la bussola. Gli spregevoli assassini riccamente abbigliati si confondono tra le file di una generazione...Leggi tutto che non mostra segni sufficientemente distintivi, nei suoi protagonisti. Mordini prova a isolarli e costruirgli un carattere, una personalità che almeno labilmente li faccia emergere, ma fallisce nell'intento finendo col lasciarli galleggiare in un limbo riflesso negli sguardi spesso vacui dei giovani attori, che non demeritano affatto ma si trovano a lottare con un copione che non li valorizza. Non che ci si aspettasse una replica delle pellicole nate al tempo sull'onda montante della cruda contemporaneità, in cui l'azione e la violenza si facevano exploitation per soddisfare gli amanti del genere accantonando o quasi ogni pretesa sociologica per spingere sul pedale del sesso consumato in forma di stupro; si poteva però almeno ricercare una concitazione che accrescesse in qualche modo la drammaticità del momento. Qui l'impostazione scelta nel momento in cui si avvia l'arancia meccanica è quella gelida che richiama la distanza di chi vive l'esperienza come una routine, qualcosa che non sembra uscire nemmeno dall'ordinarietà (nella realtà due dei tre responsabili avevano pesanti precedenti penali, nel film sottaciuti). La pistola puntata, le minacce stanche senza nemmeno alzare la voce, le iniezioni sordenti, gli inviti suadenti ad abbandonarsi prendendo le ragazze per mano... potrebbe essere una chiave di lettura moderna, che nonostante il divieto ai 18 anni lascia fuori campo la violenza vera ricomponendola in grida lontane, insufflando tutto in una bolla surreale che per le vittime diventa un incubo sordo, ovattato. Ma conta anche quanto succede prima, con frammenti di storia seminati come schegge impazzite, senza una vera logica che sovritenda al retrocedere delle ore, dei giorni... poi la riproiezione in avanti, i ritorni al passato... Tutto scorre come non esistesse alcuna vera progressione temporale, come se non ce ne fosse necessità alcuna per descrivere sentimenti e convinzioni immutabili, atteggiamenti diffusi e sovrapponibili. E se poca verve si riscontra nell'esangue quotidianità dei giovani, non va meglio nel racconto trasferito sullo sfondo di genitori con altri problemi da risolvere, quasi sempre di natura psicologica, con Scamarcio, la Golino o la Trinca ad occupare spazi che diventano parte irrilevante della texture settantiana con la quale si compone l'ambiente. Cui poi aggiungere gadget d'epoca (le locandine di PROFONDO ROSSO e L'ULTIMO TRENO DELLA NOTTE) nonché – ovvio - le musiche: i Caravan (“Hello Hello”), Ian Anderson dei Jethro Tull, il duo Mogol-Battisti della meravigliosa "Collina dei ciliegi" cantata in coro nell'auto in una delle scene più emotivamente trascinanti. Ma a non scuotere l'encefalogramma della narrazione c'è una regia colpevolmente troppo didascalica, piatta ai confini d'un documentarismo velleitario che dal Mordini di LASCIAMI ANDARE non ci si aspettava. Tutto si muove in un acquario da osservare ammirati. Il posizionamento delle pedine sulla ricca scacchiera le fa però poi avanzare senza decisione disperdendole. E le responsabilità di un'istituzione difettosa come la "scuola cattolica" non giungono a noi limpide; perché si preferisce crogiolarsi magari nelle metafore pittoriche di un Gifuni sprecato nel cameo d'un professore, in micce accese qua e là che sembrano finalmente deflagrare e invece no, si spengono per morire in silenzio nell'indifferenza. Marcel M.J. Davinotti jr. Chiudi
La tremenda storia delle due ragazze torturate, violentare e poi uccise (una di loro) al Circeo da tre giovani neofascisti della Roma Bene anni Settanta. Mordini dirige il film con mano sicura, esce con sicurezza dalla trappola della presa di posizione politica e racconta quella storia terribile senza compiacimenti ma spostando la vicenda sul valore della vita umana e sul ruolo della donna. Molto brave le due ragazze protagoniste.
Narrare il massacro del Circeo non dev'essere un compito facile per un regista. Mordini ci riesce, focalizzandosi sul contesto sociale dei protagonisti, ritratti nelle loro perversioni, in modo distaccato. Seguire invece il filo logico della vicenda, costruito su diversi piani temporali e relazionali, non è facile, mentre convince la scelta di lasciare lo spettatore all'oscuro di alcune dinamiche (l'ideazione del delitto...). Bravi anche gli attori, compreso uno Scamarcio "un poco" autoritario.
Il famigerato fattaccio del Circeo raccontato in un film tratto dall'omonimo romanzo di Edoardo Albinati. La velleità artistica dell'opera non convince troppo, forse perché l'attuale cinematografia diventa tutt’uno con la fiction di ricostruzione storica, ma di buono ci sono l'ambientazione e i colori, che indubbiamente rimembrano, con molta efficacia, le immagini di quel tempo. Più che discreta l'interpretazione, un po' meno la regia, che impasta troppi argomenti senza che nessuno di questi arrivi ad essere realmente compiuto e convincente.
Unico merito del film, tenere vivo il ricordo di un episodio di cronaca nera fra i più allucinanti di sempre. Per il resto, una sceneggiatura con pretese di ricerca socio-psico-culturale che inciampa sulle sue stesse velleità fino a naufragare. Troppa carne al fuoco, troppi personaggi superficialmente tratteggiati, contesti familiari ed educativi abbozzati senza chiarire inequivocabilmente come tali situazioni avrebbero fatto da matrice al passaggio da ragazzi "complessi" ad assassini. E la provenienza ideologica dei delinquenti, fondamentale nella vicenda, è lasciata sullo sfondo.
Dramma che sembra uscito dritto dritto dall'epoca in cui è ambientato. La regia di Mordini, infatti, sembra echeggiare un certo stile di film denuncia/thriller dell'epoca e la cosa aiuta a immedesimarsi in un'epoca, in certi finti perbenismi (comunque anche attuali) e ad entrare poco a poco in una spirale che si capisce già condurrà alla totale follia. C'è qualche lentezza, qualche sottotrama inutile (tipo quella della Trinca), ma il film si lascia guardare e gli ultimi venti minuti colpiscono con discreta crudezza. Bene il cast di giovani attori.
Che l'oppressione esercitata dalla bigotta istituzione scolastica e i disvalori del perbenismo maschilista borghese siano le radici del delirio narcisistico e violento che ha condotto alla strage del Circeo è ottima intuizione, così come ottime e giuste sono le facce di questi giovani attori (che sono pure bravi). Ciò che manca però è la scrittura, totalmente. Non ci si sofferma su ciò che conta, non c'è vera analisi, gli eventi sembrano avvenire per caso. E per carità, la parte dell'omicidio è così scollata dal resto che era meglio una serie TV. Un'occasione sprecata.
Narrare i tremendi fatti del delitto del Circeo senza concentrarsi esclusivamente sulla morbosità del fatto, andando invece a cercarne le origini sociali. Questo l'obbiettivo ambizioso del regista, che riesce a cogliere nel segno. La pellicola indaga con sguardo quasi glaciale sulla decadenza sociale, su quei sentimenti di superiorità e disprezzo che segnavano (e segnano) un paese diviso in classi, tra ipocrisie borghesi e disperazioni da vuoto morale.
Ai giovani non era ancora stato notificato che una sana e consapevole libidine li avrebbe preservati dallo stress e dall'azione cattolica. Che sembra infatti allattare esistenzialismi e sessismi di basso conio del borghese annoiato e viziato, carne da cannone darwiniano. Annacquando e sociologizzando alla spicciolata, il cinema tricolore ha perso un altro ottimo pretesto di dare narrativo respiro popolare e far prudere le nocche al biopicrime, teoremizzando senza contraddizioni che portano al paradosso né paradossi che portano al grottesco. A questo punto ridateci Camarca e Fragasso.
Il massacro del Circeo è raccontato partendo dai pochi mesi precedenti fino agli arresti. Vacuo nel voler dare qualche colpa alla scuola, al concetto di religione e alla famiglia, trascurando in toto la componente ambientale (trattandosi di neofascisti). Anche varie sottotrame danno poco interesse in quanto mal delineate o abbandonate per strada. La parte focale delle violenze è trattata a distanza per evitare l'effetto morboso e per ovvie censure (o rispetto alle vittime). Discreta l'ambientazione del periodo e la fotografia.
MEMORABILE: La flagellazione al compagno di classe; La mossa di karate; Il soffocamento nel bosco.
Il massacro del Circeo, certo, ma stornato dall'orrore e per di più narrativamente senza un'origine se non autocratica (nella realtà Izzo era già stato condannato per stupro). Mordini non riesce a scarnificare per immagini ciò che Albinati ha ispessito di scrittura. Anche il ménage del collegio appare standard. Coralità spezzata, che guarda a Nel nome del padre senza trarne i giusti auspici. Il modello è avvicinabile a San Babila, ore 20- Un delitto inutile di Lizzani ma il ghigno neofascista qui si dilata in smorfia.
MEMORABILE: La lezione sul quadro della flagellazione di Cristo.
Mordini è originale. E questo sua singolarità è evidente nella scelta stilistica e narrativa con cui ha voluto raccontare il massacro del Circeo. Anziché focalizzarsi, banalmente, su ciò che è stato già ampiamente raccontato o su particolari pruriginosi con cui avrebbe potuto giocare facile, il regista sceglie di scandagliare le origini del male. E lo fa in modo asciutto, verace, avvalendosi di un cast notevole a livello interpretativo (nessuno escluso). Efficaci anche le ambientazioni e le ricostruzioni dell’epoca. Davvero un buon lavoro.
Il massacro del Circeo e il contesto in cui ha avuto la sua genesi in una narrazione talvolta rarefatta in cui si analizzano i nuclei familiari degli aguzzini e dei loro coetanei. Ci sono molti argomenti e situazioni, alcune delle quali francamente inutili (la figura della Trinca e del suo toy-boy che s'approfitta della ragazzina religiosa). La ricostruzione è accurata e i giovani protagonisti appropriati sera gli interpreti da segnalare la Cervi. Parte finale dura ma veritiera.
Ricostruzione storica del celebre delitto del Circeo che preferisce soffermarsi sugli antefatti piuttosto che sulla carneficina vera e propria, relegata agli ultimi minuti di visione. La scelta poteva essere vincente se fosse servita per davvero a spiegare le ragioni socio-culturali che hanno spinto le azioni dei giovani delinquenti, invece il movente rimane poco chiaro così come l'ideazione del sequestro, che non è mostrata. Andrea Ghira inoltre non è approfondito, a differenza degli altri due aguzzini. Insomma, le velleità sociologiche adombrano l'effettiva capacità di analisi.
MEMORABILE: Brava la Porcaroli e comunque efficaci i venti minuti finali di torture.
Dramma giovanile molto esplicito, che lascia veramente poco all'interpretazione personale dello spettatore per condurlo in quella che è la visione del regista Mordini sulla regressione psicologica dei "violentatori del Circeo", vittime di un'educazione innaturale e retrograda. Visione molto pesante e non adatta di certo ai maturi del genere, soprattutto considerando l'ultima mezz'ora.
Visti il titolo, il fatto di cronaca, il regista e gli attori di secondo piano, le aspettative erano molto alte. Disattese. Delusione. Il film dipinge bene l'epoca e l'ambiente solo con i bei costumi, gli arredi e le automobili. Forse Scamarcio si salva con la sua interpretazione di padre/padrone anni 70. Il resto proprio no. Lo scorrere del tempo è avvertito solo grazie alle didascalie. La caratterizzazione dei personaggi è scarsa e il fatto di violenza rimane isolato dal resto del film.
Una (indisponente, lunga e tediosa) overture teorematica totalmente fuori sincro, che non serve assolutamente a nulla sul piano narrativo cercando di rimasticare codici e linguaggi di un cinema che non c'è più e che comunque Mordini e sceneggiatori non si mostrano in grado di sostenere né tantomeno aggiornare. Poi ecco la cronaca, col massacro che prende (letteralmente) corpo mollemente, su una temperie umana e sociale che monta straziante ed ammonitrice nonostante se non contro quella fase preparatoria così esplicitamente obsolescente. Giovani mal diretti, volti noti "inpertinenti".
L'ecologia del delitto esige, da prassi, che anche il più piccolo pesce nell'acquario sia affetto dalla notoria rogna: condizione necessaria per provare a capire perché sia stato quel che è stato. Se la scelta di dire tutto sommato poco e mostrare ancora meno del massacro ha un suo interesse (ma la mezz'ora conclusiva, giocoforza, è quella che rimane di più impressa), è il côté para-sociologico a mostrare la corda, con ipostatiche rappresentazioni delle istituzioni dominanti (scolastica, religiosa, familiare) che da sole non bastano per penetrare l'orrore. Volonteroso ma imperfetto.
MEMORABILE: Crescendo di crudeltà nel gioco della flagellazione; Ritorno a casa per cena tra una sevizia e l'altra.
L'aspetto più apprezzabile del film di Mordini, tratto dal libro di Albinati premio Strega 2016, è senz'altro la ricostruzione dell'ambiente borghese pariolino degli anni Settanta, con volti e situazioni ben caratterizzati che rendono bene l'idea del contesto sociale ed educativo in cui crescono i protagonisti. Quanto all'efferato massacro del Circeo, la rappresentazione delude su tutta la linea: poco coraggiosa e per nulla convincente.
Più del racconto del massacro del Circeo conta qui la ricostruzione dell’humus sociale di quegli anni 70 (ben restituiti), e più del sociale conta il personale, ossia i grovigli psicologici di giovani maschi intrappolati dalle ossessioni del sesso e della violenza e dai legacci contorti di famiglie potenti e annoiate. Un film non sulla cronaca, più evocata che mostrata, ma sull'adolescenza, così fragile da rischiare di cadere nella patologia e nel crimine. Forse si poteva osare di più, ma lo sguardo glaciale del regista è inquietante.
Una storia terrificante. Ma: ecco il cinema italiano. Ovverosia, alla fine e nonostante un finale truce forse non così lontano dalla realtà, si perde in mille bamboleggiamenti e indugi. Mal servito da un cast che vanta come unica presenza efficace Vengoni, così simile a Izzo. Per il resto non c'è nulla che morda davvero e a nulla serve la locandina di Profondo rosso a suggerire un collegamento tra il cinema di genere del tempo e i tempi storici. Scamarcio svogliatissimo ci "impone" la sua ultima fiamma, Porcaroli, abbastanza dimenticabile.
MEMORABILE: Nella colonna sonora i Caravan e i Jethro Tull.
Nonostante l'ottima ricostruzione degli anni 70 e del contesto socio-culturale dei giovani della Roma "bene", legati a movimenti neo-fascisti, la sceneggiatura omette completamente la parte della pianificazione del delitto, il perché (se di un perché si può parlare) di un atto così ripugnante e soprattutto come fu operata la scelta delle vittime. Senza contare che la figura di Ghira viene appena appena tratteggiata. Inoltre, per come è strutturata la narrazione, i minuti finali, quelli dell'orrore, sembrano completamente slegati dal resto del film. Insomma, una discreta incompiuta.
MEMORABILE: Andrea alla vittima: "Preferisci un colpo in testa col calcio della pistola o un colpo di karatè?"
Forse l' "errore" sta nell'approccio a questa pellicola, nelle aspettative - che rimarranno disattese - di restarne morbosamente ammaliati e disorientati, edotti dai fatti di cronaca. Mordini segue, infatti, un percorso che prova a colpirci con l'alienazione dei giovani mostri, ma non siamo di fronte a De Large e co. e non abbiamo l'occhio di Kubrick a dirigere, e così alla fine la spunta un senso di appiattimento poco o per niente empatico. I "grandi" del cast appaiono ma aggiungono poco o niente, nonostante i grandi nomi.
Un film che mira a ricostruire l’ambiente alto borghese in cui avvenne il celebre omicidio del Circeo. Il regista scava nelle psicologie dei personaggi partendo da un ipotetico ruolo nella genesi del delitto dovuto all’ambiente malsano dal punto di vista morale, ma alcuni personaggi sono decisamente pleonastici e i continui salti temporali non giovano alla “compattezza” della pellicola. Sono invece pregevoli la ricostruzione ambientale e la prova del cast, con attori giovani assai credibili.
Tratto da una storia vera: tre studenti di un liceo cattolico commettono il famoso delitto del Circeo, nel 1975. Film piuttosto confusionario e poco efficace: non si capisce bene dove voglia andare a parare. Poteva uscirne decisamente qualcosa di meglio: si è trascurato il fatto di poter trasmettere un messaggio educativo. Parte finale cruda. Discreta la fotografia, così come la regia.
Non ci siamo, ad iniziare dal titolo che attira le curiosità ma nulla ha a che vedere con la vicenda; poi c'è troppa voce narrante e infine uno sgradevole compiacimento nelle torture subìte dalle sventurate. La vicenda procede per microscene con un effetto puzzle singolare ma non piacevole e che rende la vicenda confusa. Poteva essere un'ottima occasione per dimostrare quanto il contesto familiare incida sui comportamenti ma anche questo è stato miseramente mancato. Gi attori non convinti della parte sono la ciliegina finale.
Nel film film troviamo un’accurata ricostruzione dell’epoca e una soddisfacente scenografia, ma per quanto concerne la storia non si riesce mai a indurre un particolare coinvolgimento; fatta eccezione per la parte finale nella villa, che decisamente lascia il segno. Recitazione sempre approssimativa e mai incisiva come dovrebbe. Piuttosto deludente la resa finale.
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare la registrazione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.