Ottimo e intrigante capitolo della saga di Frankenstein targata Hammer. Fisher utilizza un nuovo approccio e fa un ottimo uso di humor nero (le scene in cui la ragazza parla con la
testa dell'amante). Peter Cushing si dimostra sempre un villian d'eccellenza. Da rivalutare.
MEMORABILE: I vari omicidi e i momenti in cui la ragazza parla con la testa.
Terzo film della saga creata da Fisher è, a modo suo, una storia d'amore e sopratutto di morte. Hans viene incolpato di un delitto che non ha commesso e viene condannato a morte. Christina, la sua ragazza, disperata si suicida. A questo punto interviene il Frankenstein. Fisher crea un'insolita suggestione tra horror e dramma sentimentale, aggiungendovi dei tocchi di umorismo nero in puro stile british, creando sequenze che molto difficilmente si dimenticano. Il mitico Peter Cushing rimarrà per sempre un ineguagliabile Barone Frankestein.
MEMORABILE: L'inizio; i vari delitti; la ragazza che parla con la testa di Hans; il finale.
E Frankenstein creò la donna... Audace esperimento di metempsicosi attuato tramite un marchingegno assai simile ad un lettino a raggi UVA, ma assai più ingombrante e rumoroso! Lo spunto "creazionista" partorisce un intreccio alla Woolrich (vendette seriali stile La sposa in nero), di marcato carattere horror (Christine venera la testa mozzata dell'amante come nemmeno farà la signora di Macabro). Insomma, un affascinante pasticcio, con un Cushing carismatico e dispotico, coadiuvato da un assistente succube e suggestionato... Da vedere!
MEMORABILE: La tragica sequenza della decapitazione di Hans. La disperata corsa finale di Frankenstein per salvare Christine dal suo destino.
Variazione sul tema del mostro resuscitato, qui con anima di uomo in corpo di donna, che però ricorda ancora il ghigliottinante passato e il torto subito. Premio soprattutto il coraggio di sperimentare qualcosa di nuovo, pur restando nell'ambito dello scienziato che vuole sconfiggere la morte. Interessante anche il congegno per estrapolare l'anima. La datazione un po' si sente, ma gli attori sono tutti in palla, compresi i comprimari, come i tre figli di papà avvinazzati e arroganti, la ragazza sfigurata e il simpatico dottore che aiuta Frankenstein. Quello che si dice un buon horror.
MEMORABILE: L'entrata in scena di Cushing, surgelato; L'esperimento col bicchiere (diventa indistruttibile); Il dottore che convince il carceriere col ricatto.
Uno dei preziosi custoditi nello scrigno di Terence Fisher. Il vate della Hammer riesce a vivificar l'anima e il corpo cinematografici del Mostro di Mary Shelley con un ardito connubio di amour fou e metempsicosi. Esperimento condotto con brillantezza e leggerezza di stile, capaci tuttavia anche di dar conto degli aspetti più melò della vicenda. Con un occhio a La moglie di Frankestein e l'altro al gotico più tradizionale (senza dimenticar di dispensar il sale dell'ironia), il film fila grazie anche all'affiatato understatement Cushing-Walters.
MEMORABILE: I figurini che s'accaniscono sulla sfigurata Denberg; La stessa Denberg che per colmo di contrappasso può sfoderare le sue armi seduttive da ex playmate.
La Hammer ha sempre contraddistinto le sue produzioni con smaccata ricercatezza e seduzione visiva. La saga dedicata allo scienziato prometeo di Shelley inventiva conferma in questa tranche la bontà dell'assunto in premessa. Cushing concentra su di sé la flemma british che gli è propria, unendola al tenore funereo connaturato al plot. La donna è la nuova creazione, come il titolo originale esemplifica. Animata da vindici sentori e calde idee bramanti la morte verso chi fece perir il suo amato sul patibolo. Poesia d'autorialità finissima.
MEMORABILE: Il collage di espressioni impertinenti di Peter Blythe.
Peter Cushing interpreta di nuovo e molto bene il barone Frankenstein in questa pellicola è in coppia con un medico di campagna, entrambi simpatici e svaniti, mentre al villaggio tre maramaldi se la prendono con i più deboli; da qui nasce tutta la vicenda, molto drammatica (oltre che horror). Le scenografie e l'ambientazione sono spartane, la storia diretta bene anche se precipitosa in alcuni punti. Come recita il titolo originale, stavolta il mostro è una donna. Altro protagonista del film è una ghigliottina.
Il mitico barone Frankenstein non smette mai di inventarsi nuovi azzardati esperimenti (e di creare guai), questa volta tentando di trasferire l'anima di un uomo in una donna, entrambi morti. Una bella, farneticante sceneggiatura, al solito mette la cieca scienza di fronte alla sfida delle leggi divine, facendole perdere ancora la partita. L'accoppiata Fisher-Cushing è quella delle grandi occasioni e vince ancora.
Nonostante la presenza di Cushing, il film manca di vera forza visionaria e fantastica. Il meccanismo della vendetta è prevedibile e fiacco; l'atmosfera gotica dileguata; la trovata necrofila del dialogo dei due amanti piuttosto ridicola (il budget, in tal caso, incide). Si salva la crudele scena iniziale con i tre villain che infieriscono sulla Christina prima maniera, ma è troppo poco.
Terzo, sorprendete capitolo della saga, reimposta la narrazione su istanze filosofico-prometeiche declinando il tema della creazionismo clinico negli strati più sottili della materia (l'innesto di un'anima in un corpo redivivo, con complicazioni gender): ne esce un melodramma d'amor fou dominato dal conflitto di classe (leitmotiv dell'opera fisheriana) che circumnaviga l'orrore per poi approdarvi senza reticenza alcuna. Meticoloso nella messa in scena, ispirato nelle soluzioni visive, è animato da un grandissimo Peter Cushing. L'insulso titolo italiano traduce quello del capostipite (sic!).
Al quarto film della serie torna al timone Fisher dopo la supplenza di Francis: la variante femminile (il "mostro" è una giovane che da sfigurata diventa bellissima) e metafisica (il barone le infonde l'anima - e non il cervello - dell'amante) lo rende un episodio notevole, modernizzato dalla storia di ingiustizia e di vendetta in cui si assiste volentieri agli omicidi (pur pudici) da giallo parteggiando senza riserve sia per la creatura che per lo scienziato pazzo Cushing che (pur involontariamente) ne consente la rivalsa.
Ottimo sequel che arriva a superare il capostipite: torna Fisher alla regia, con un racconto solo vagamente legato alla figura di Frankenstein (Cushing passa in secondo piano), più simile a un regolare fanta-horror gotico in salsa british dell’epoca (tipo Asphyx o Il terrore viene dalla pioggia), ma godibile, originale e ricco di sequenze d'impatto (si veda il crudele incipit). Palese l'influenza che avrà nelle decadi seguenti sul rape and revenge (la seduzione pre-mortem ricorda la Jennifer di Zarchi) e sullo slasher (la testa mozzata che dà ordini come mamma Voorhees). Eccellente.
MEMORABILE: La decapitazione di fronte al bambino; Cushing scongelato; I tre odiosissimi e sadici dandy; Il suicidio della Lamont; La Lamont armata di mannaia.
L'ultima creatura del barone Frankenstein ha deliziose sembianze femminili ma la mente di un giovane giustiziato ingiustamente che si servirà di lei per vendicarsi. La cura nella scenografia, la solida regia di Fisher, la presenza carismatica di un Cushing saldamente padrone del suo personaggio e di comprimari di buon livello assicurano la riuscita del film. Da rilevare un certo squilibrio fra la prima parte, tirata un po' per le lunghe, e quella successiva della vendetta che al contrario viene liquidata un po' sbrigativamente. Comunque un altro prodotto Hammer dei tempi migliori.
MEMORABILE: La ragazza "resuscitata" che riceve gli ordini dei delitti dalla testa mozzata del suo amante.
Uno sbalestrato minestrone con dentro un po’ di tutto. Si salta di palo in frasca senza meta tra storie d'amore, scazzottate western e scienziati pazzi fino a compattarsi in direzione revenge. Lo spocchioso Dr. Frankenstein e relativo aiutante (sembrano più Sherlock e Watson) plasmano una creatura transgender con un'anima maschile infusa in un corpo femminile (che inspiegabilmente migliora come dopo un pesante trattamento estetico); da lì parte la scalcinata vendetta. Tanta confusione e puerilità in un plot spannometrico zeppo di incongruenze non risolte: tutte insieme è troppo!
MEMORABILE: La testa infilata sulla punta del mobile: esilarante.
Se escludiamo il concetto di fondo (l'uomo di scienza sfida le leggi umane e divine, perdendo inevitabilmente il controllo della sua "creatura"), ogni riferimento al romanzo di Mary Shelley è ormai accantonato, ma la Hammer sforna comunque un buon prodotto, cui avrebbe giovato qualche minuto in più per sviluppare adeguatamente l'intrigante soggetto. Non troppo horror, schierato dalla parte dei deboli e dei diversi osteggiati anche dalla giustizia. Confezione curata come da standard della casa, sempre ottimo Cushing, Denberg convincente sia da deturpata che da splendida vendicatrice.
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