È una guerra pacifica quella di Juliette e Romeo, un vivace grido di gioie e dolori verso un destino beffardo che obbliga la coppia a un'odissea di sentimenti contrastanti. Ma l'approccio è ricco di calore, fresco, rifugge i sentimentalismi senza però nascondere il lato emotivo della vicenda utilizzando un linguaggio da Nouvelle vague e un tessuto documentaristico dinamico e sobrio. È un inno alla vita, all'amore, alla famiglia; è una miscela di stile intima, personale e universale. Non c'è ricattatorio opportunismo, c'è solo tanto cuore. ***!
Sembra di vederla, Valérie Donzelli, in sala di montaggio mentre assembla, sfronda, lavora il suo materiale per imprimergli l'impeto incalzante, inesorabile delle passioni. Ancora, febbrile, mentre accorda partiture musicali e immagini scoprendo sintonie, cospirazioni, casualità. Pecca d'impudenza, forse, e irrita per l'egotismo genitoriale con cui descrivere questa guerra quotidiana e terrifica, ma sconvolge – scandalizza? – il polso, la nettezza morale con cui prosciuga il pianto, l'angoscia, dando forma ad un esaltante inno alla vita. Un approccio autoriale inedito, da esplorare.
MEMORABILE: La corsa a perdifiato lungo i corridoi dell'ospedale. La telefonata a Romeo sulle note di Vivaldi.
Il film affronta una vera tragedia ma lo fa con grande pudore e sobrietà, scegliendo di
non mostrare quasi mai i momenti più delicati e "intimi" della vicenda. Riesce però comunque a coinvolgere pur non parlando alla pancia dello spettatore. Merito non solo
del piglio tutto sommato ottimistico o quantomeno vitale con cui tutto viene affrontato
ma anche di un sapiente uso, qualcuno direbbe furbesco, della colonna sonora che è
davvero bella e trascinante. Non mi è sembrato ci fosse calcolo ma quasi solo genuinità
Toccante film francese che riesce a evitare (e scongiurare, visto che si tratta della storia vera della regista e dell'attore) il dramma del bambino malato di cancro con una freschezza e una semplicità inusuali e veramente poco artificiose. Un sapiente uso della videocamera (di questo si tratta, infatti) che non richiede particolari prodezze fotografiche che, se mancanti, sono ampiamente compensate da una colonna sonora azzeccatissima (il brano dance nella scena in cui Juliette corre per l'ospedale). Finale in stile ultimo Malick.
L'autobiografismo tutto grinta e partecipazione è il cuore pulsante di questa pellicola difficile per i dolorosi temi trattati, messa in scena con uno stile un po' truffautiano da una brava Donzelli (coadiuvata da un ottimo Jérémie Elkaïm), cui si perdonano qualche sperimentale esuberanza canora e qualche egocentrismo di troppo (forse dato dalla conclusione della vicenda), ma capace di portare in primo piano problemi come la difficile comunicazione coi medici. La voglia di non mollare è sempre apprezzabile e dovrebbe essere un monito per tutti.
Gran pezzo di bravura che dimostra come sia possibile affrontare i casi più pesanti, anche quelli più subdoli, con tatto e positività, riuscendo a confezionare qualcosa che tocca il cuore senza ricattarlo e senza sprofondare nel melodramma. Speriamo che ogni tanto lo facciano pure i cineasti italiani cui di solito, oltre alla commedia indolore e al film sull'immigrato, riesce difficile andare.
Parlare non troppo bene di questo film (che oltretutto è una storia vera, dolorosa, vissuta dalla regista e dai protagonisti) è pressochè impossibile. Ci sono cose originali e cose comuni, conosciute, mischiate bene tra di loro e questa è la virtù del film. Non credo sia un pregio il punto di vista imposto alla vicenda, è semplicemente il punto di vista di chi l'ha vissuta, è solo spontaneo. Il titolo, i nomi, le musiche, sono scelte troppo calcolate, ad effetto, non era così necessario, come pure le allusioni di genere razzista o politico.
Hanno avuto un grande coraggio gli autori di questo film nel portare sullo schermo la loro vicenda personale. Ne è venuto fuori un film intimo e toccante che rifiuta i classici canoni della cinematografia del dolore, per affrontare il tema con taglio realistico e sobrio, niente affatto pietistico. Merito di una sceneggiatura misurata e della scelta registica di mostrare il giusto senza eccedere nei toni. Ottima la prova degli interpreti.
Una coppia ed il loro bimbo con i soliti problemi e preoccupazioni che neonati danno ai genitori (pianti, notti insonni, l'asilo nido). Poi il fulmine che stordisce, una diagnosi terribile ed il mondo crolla addosso, ma i due decidono di affrontare la malattia del loro piccolo a viso aperto, con ottimismo nonostante tutto... Qualche passaggio non convince ma comunque si tratta di un film difficile da giudicare in quanto sia il tema che la natura della vicenda, realmente vissuta della regista/protagonista, costituiscono un potente "filtro" emotivo, che lascia poco spazio ad altre considerazione
La guerra è dichiarata non ha paura di nulla, non ha paura di rivendicare uno stile evidente, non ha paura di affrontare un argomento delicatissimo e difficile; se il secondo versante è un percorso di intelligenza e leggerezza straordinari, una prova matura nel controllo delle emozioni, nel lasciare che la situazioni affondi senza speranza per poi rilanciare con forze nuove, nella descrizione delle mutazioni che inevitabilmente deve subire un rapporto, solido, in funzione degli eventi più tragici; la scelta stilistica lascia perplessi.
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Il film lo si potrebbe prendere e collocare in piena Nouvelle Vague e certamente non sfigurerebbe: di quel periodo che riconosco essere stato d'oro per il cinema, ma del quale non sono mai stato un appassionato "viscerale", ho sempre odiato gli eccessi di autorialismo che in La guerra è dichiarata ritrovo tutti: le canzoni cantate a due voci, il commento fuoricampo che racconta, anticipa e conclude la storia. Per scelta stilistica intendo questo, riprendere degli elementi rispetto ad un quadro di riferimento. Poi, per carità, è semplicemente un gusto personale, non amo questi che, per me sono eccessi autoriali, ma il valore del film non lo metto in dubbio.
Ottica, ti ringrazio per aver approfondito così tanto la Mia domanda :) dal mio punto di vista il film ottimo anche per quegli aspetti ma appunto volevo capire cosa ti aveva infastidito. Grazie ancora è un saluto
Un film che personalmente mi ha colpito per la sua impronta realistica. Sono molto più di quello che si pensa le persone che prendono di petto (se così si può dire) le malattie e da questo punto di vista il titolo del film è davvero illuminante. Poi, potrà piacere o meno, ma va riconosciuto un grande coraggio nel raccontare una storia del genere.
Nancy ebbe a dire: Ottica, ti ringrazio per aver approfondito così tanto la Mia domanda :) dal mio punto di vista il film ottimo anche per quegli aspetti ma appunto volevo capire cosa ti aveva infastidito. Grazie ancora è un saluto Grazie a te , ciao.
Galbo ebbe a dire: Un film che personalmente mi ha colpito per la sua impronta realistica. Sono molto più di quello che si pensa le persone che prendono di petto (se così si può dire) le malattie e da questo punto di vista il titolo del film è davvero illuminante. Poi, potrà piacere o meno, ma va riconosciuto un grande coraggio nel raccontare una storia del genere.
Assolutamente d'accordo con te!
E scusate come ho scritto il messaggio di prima ma a volte la correzione automatica del tablet è immonda!
DiscussioneRaremirko • 8/03/19 23:32 Call center Davinotti - 3862 interventi
Quoto chi ha detto che è "solo un film spontaneo", nel bene e nel male.
Minimale, libero, leggero nel suo trattare temi pesanti, tratto da una storia vera, si lascia vedere e risulta pure piacevole, ma tutto 'sto successo in patria non lo capisco molto.
Per me solo discreto; mdp puntata sulla realtà.
MusicheRaremirko • 16/03/19 22:34 Call center Davinotti - 3862 interventi
La canzone sugli end credit è un remix de La passion di Gigi D'Agostino!!!