L'ESTATE FRANCESE IN NERO
Bello, bellissimo, onirico, trasognato, bizzarro, picaresco, struggente e assolutamente originale.
Clèment si (ri)conferma regista immenso, attento alla psicologia dei suoi strampalati personaggi: si autocita con
Giochi proibitinel bellissimo incipt con i bambini e le biglie che cascano per le scale (e che torneranno nel bellissimo finale), omaggia il cinema di Sergio Leone con l'arrivo del treno alla stazione, prende una piega quasi da cinema di fantascienza (le scene nella cupola), per poi virare in una specie di kammerspiel quasi cormaniano, con reminiscenze al
Grissom gang aldrichiano e al sottostimato film di Elliot Silverstein
Cominciò per gioco.
Di Clèment ho sempre amato
L'uomo venuto dalla pioggia, ma anche il sottovalutatissimo e autunnale
Unico Indizio: Una sciarpa gialla, ma in questo mezzo capolavoro costruisce qualcosa di unico, grottesco che rasenta la sana follia.
Una family criminosa dal cuore tenero capeggiata da un carismatico Robert Ryan , quasi dei looser peckinpaniani (ci sono molti sapori western nel film, dopotutto), con un pugile bambinone e manesco (Aldo Ray), un sensibile e fidato israelita (Jean Gavin) e le due donne, la sensuale e carnosa Lea Massari e la dolcissima Tisa Farrow (e non mi si venga a dire-Fulci docet-che faceva la tassista a New York per campare), che imbraccia il fucile meglio del cecchino di
Bersagli, con due occhioni e una sensibilità da farti innamorare.
In mezzo, capitato un pò per caso e per destino, Trintignant, che si destreggia tra furbizie, scaltrezze e conteso dalle due donne (la Massari se lo porta a letto, la Farrow vuole che scappi con lui a Nuova Orleans).
Parte con un inizio al fulmicotone tra fughe e inseguimenti, diventa una commedia d'interni e di lunghi dialoghi e situazioni grottesche, poi vira nel noir puro, con colpi come nei migliori "rapina movie" e sparatorie degne del miglior Don Siegel, per finire in un clima onirico, trasognato, con Ryan che racconta a Trintignant la storia della lepre che fugge ai cacciatori tra i campi, assediati, non resta che sparare fuori dalla finestra come nel finale di
Piccoli Omicidi.
Straordinario il commento sonoro di Francis Lai, e fotografia da gran cinema americano di Edmond Richard (mi e venuto alla mente anche il bellissimo e poco conosciuto gioiello di Richard Sarafian
E la terra si tinse di rosso).
Come sempre in Clèment , di gran rilievo le figure di contorno, che spiazzano e spezzano il racconto: dalla majorette "medium" flippata e ochissima di Nadine Nabokov dal nome pressochè improbabile, Isola (di culto l'approccio di Aldo Ray nel parchetto con lei in macchina), alla ragazza mentalmente ritardata ma bellissima, che tiene in braccio una bambola parlante ( Ellen Bahl), sino ai flashback subliminali dell'incidente di Trintignant o a quelli sull'infanzia.
Clèment regala anche momenti violenti: Paul gettato dall'auto in corsa da Trintignant, il pestaggio di Rizzio (Gaven) da parte della polizia.
Emblematica e persecutoria (quasi da
Guerrieri della palude silenziosa) la presenza degli zingari che stanno alle costole di Trintignant, uno con coltello a serramanico e l'altro con flauto alla pifferaio di Hamelin.
135 minuti che passano senza un momento di stanca, in un esperienza filmica quasi unica nel suo genere (e non per nulla garantisce il produttore di Luis Bunuel). Forse non per tutti i gusti, ma assolutamente e doverosamente, da recuperare dall'oblio.