Un gustoso tributo al cinema di (de)genere settantiano, un piacevole "indie" che vive di atmosfere "cronenberghiane" fosche e invernali (la neve tutto copre), che si dipana (nei primi minuti non ci sono praticamente dialoghi) tra la ghost story classica alla Amityville, per sfociare in un home invasion , tra credenze e popolini che sembrano usciti dalla penna di Stephen King, per poi scatenarsi in un'inaspettata orgia splatterfeast (teste esplose a fucilate o spappolate modello
Re-Animator, visceri sconquassati, attizzatoi infilati nell'occhio, manciata di coltellini da cucina piantati nella giugulare, geyser di sangue a profusione, con corpi risucchiati nelle scale che manco il miglior Wes Craven in vena di nightmarismi) e spizzichi crudeli (la telefonata nella pozza ematica)
Inversione di twist non poi così banale (sicuri che la famiglia spettrale di Dagmar, che si aggira bruciacchiata a mò di hamburger con look marciscente ustionato modellato sul Blake di
Fog, tra cantine alla
Amityville Horror , sia poi colpevole e così cattiva?), la fotografia di Karim Hussain che tutto avvolge in una coltre di cupezza decisamente anni 70 , la gente del posto diffidente e ben poco ospitale (al dinner) come la tradizione insegna, possessioni demoniache dove il buon Larry Fessenden (sempre più tamarissimo) sì fa legare, sbava, e impreca con la voce di Dagmar, ingoiando pure un paio di calzini(!)
Geoghegan (da tenere assolutamente d'occhio e segnarselo sul taccuino delle nuove promesse) rende tributo al nostro bel cinema che fu (la bottiglia di J&B, la pallina da tennis che rimbalza per le scale dello scantinato come ne
La casa con la scala nel buio, il Fulci dell'
Aldilà e di
Quella villa), chiude i protagonisti in ambienti fetidi e squallidi, e se proprio su strade innevate in mezzo al nulla.
Barbarella Crampton ancora di gran fascino e di gran maturità espressiva (nonchè mater addolorata) come appariva in
You're next, Fessenden scimmiotta sempre più Jack Torrence, arrivando a esserne la caricatura grottesca e una ritrovata Lise Marie postburtoniana (e fricchettona)
Markus Koch si sbizzarrisce in sfx succulenti e artiginali, sbroccando nel gore più trucido che manco Giannetto De Rossi.
Finale in qualche modo poetico (Bobby in cantina) e chiusa sui pezzi di giornali d'epoca che raccontano la "maledizione" della cittadina, con la pellicola che si rovina come nei filmazzi grindhouse.
Appetitoso piccolo horror che comincia come un poveristico (per via dei mezzi)
Conjuring (ma molto più ruspante e genuino) e , poi, và in zona Stuart Gordon meets Lucio Fulci.
A suo modo delizioso.
Pumpkh, non lo faccio quasi mai (non è mia abitudine chiamare altri utenti), ma vedo che non c'è il tuo commento. Corri ai ripari, troverai pan (per focaccia) per i tuoi denti da Pumpkinhead. Vivamente consigliato per un horrorfan come te ;)