L'incipit è davvero fulminante (il questionario, gli sberloni, la madre, il belluino amante/poliziotto, il ragazzino, la Volvo, il lago di ghiaccio) e resta una chimera su un prodotto già nato vecchio, che si adagia sui soliti clichè dei thriller europei che fanno gli americani dai
Fiumi di porpora in poi.
La quintessenza della convenzionalità (poliziotto ubriacone compreso) degna di un film per la tv tedesco da prima serata, se non fosse per la meravigliosa fotografia di un genio come Dion Bebbe che fa la differenza.
Cast parzialmente sprecato (a parte Val Kilmer che sembra un mutante e, curiosamente, risulta tra i migliori), una sceneggiatura già di per se confusa e abborracciata che mette troppa carne al fuoco, le solite indagini, il solito serial killer, i soliti sospetti, i colpi di scena che tanto di scena non sono e un finale , sul lago di ghiaccio, fiacco e piuttosto bruttarello, per stendere un velo pietoso sull'imbarazzante chiusa da telefilm.
Alfredson svolge anonimamente il compitino, quà e là affiora il talento visivo di
Lasciami entrare (la bambina, figlia di una delle donne scomparse, che si mette una maschera d'asino, le riprese all'esterno della casa che fanno tanto
Tenebre) ma la sua regia non riesce a incidire come dovrebbe e, alla fine, tutto sa di già visto e stravisto senza colpo ferire.
Delitti in salsa gore che lasciano indifferenti, con l'assassino (per altro facilmente intuibile) che decapita teste con un marchingegno preso in prestito da
Trauma, che fa macabre composizioni cadaveriche probabilmente perchè le è piaciuto
Nella mente del serial killer, e si diletta recidendo dita (non male però l'indice amputato usato come password), applicando teste mozzate su pupazzi di neve, sparpagliando pezzi di cadavere sui monti innevati come pasteggio per gabbiani e facendo saltare teste a fucilate (in una terribile CG) lasciando il cadavere, con metà zucca disintegrata, in modalità
Bad Taste.
Nonostante questo thriller nordico sia la quintessenza dei luoghi comuni almeno non annoia più di tanto, in un certo modo si lascia seguire per tutta la sua durata (quasi due ore), e , incipit al fulmicotone a parte, qualche punto se lo porta a casa (Katrine che seduce Siop e si infila nella suite, la ragazza dell'est che entra nella casa del dottore, il dottore stesso dalle sfaccettature ambigue che si smalta le unghie dei piedi, la donna pedinata in auto fino a casa, Kilmer che, fuori di testa, sulle note di
Congratulations, fa gesti inconsulti e volgari). Poca roba in realtà, ma non ci si addormenta e non fa troppo smadonnare.
Naturalmente suggestive le location innevate e solito e banale score tronfio di Marco Beltrami.
Sarebbe in parte da non biasimare per le difficoltà produttive che ci stanno dietro (Alfredson stesso lo stava per disconoscere, costretto a lasciare fuori parti intere di sceneggiatura per mancanza di tempo e budget) e francamente mi sfugge di che cosa ci abbia trovato di tanto allettante Martin Scorsese (che ha mangiato comunque la foglia, rifiutando le redini della regia e si è messo nelle vesti di produttore esecutivo, lasciando la patata bollente al regista della
Talpa), in un thriller uguale a mille altri che si dibatte tra pupazzi di neve ghignanti e chicchi di caffè, traumi adolescenziali e figli illegittimi, olimpiadi invernali, pezzi grossi, poliziotti senza patente, capocce decollate, dita segate e sospetti suicidi.
Non così terribile come si legge in giro (
Ciak, Film tv e
Nocturno cartaceo lo bocciano all'unanimità), ma piuttosto esangue e banalotto per lasciare qualche impronta nella memoria.
Che il regista di
Lasciami entrare abbia perso il senso evocativo e sanguigno della neve?
Però quella spettrale casetta sperduta in mezzo al nulla, a inizio film, nel bianco del gelo qualcosina di
Lasciami entrare c'e l'ha...