Strano incontro da due personaggi molto diversi (un misterioso avventuriero e un anziano professore) in un paese della provincia francese. Diretto con mano felice da Patrice Leconte, L'uomo del treno parla di identità e del fallimento delle proprie ambizioni: entrambi i personaggi sono in fondo dei perdenti e ciascuno vorrebbe essere l'altro, vede nell'altro una caratteristica che egli non ha e non avrà mai in un ipotetico bilancio della propria vita. Dialoghi mai banali e ottima prova dei due protagonsti (e quasi unici interpreti).
Un anziano professore, erede decadente di una famiglia già decaduta, ospita uno straniero sceso da un treno notturno. È un bandito venuto a visitare la banca locale. Stringeranno una strana amicizia. Con grande senso dell'economia dei mezzi e delle parole, che viene dalla tradizione del polar, Leconte gira un film esemplare per compattezza, raccontando l'epilogo di due vite sprecate, ciascuna a suo modo. Straordinariamente fine la descrizione dei sogni ingenui del professore e dell'anelito di banalità del bandito.
MEMORABILE: "Dice una sola frase al giorno, alle 10" "Prima che fa?" "Riflette" "E dopo?" "Riposa".
Fa sperare che dopo la morte, nell'altra vita, ognuno di noi farà quello che non è riuscito a fare in questa di vita, ciò che avrebbe voluto sempre fare, magari senza saperlo. O più semplicemente, non siamo soddisfatti di ciò che abbiamo fatto nella nostra vita, con all'orizzonte il sole del tramonto e crediamo che altre strade ci avrebbero resi più felici, più soddisfatti. Due individui, soli si incontrano e si ammirano reciprocamente e un po' nutrono una reciproca invidia e ognuno pensa di avere qualcosa da suggerire all'altro. Bellissimo.
MEMORABILE: Quando Johnny Hallyday (bravissimo come del resto Rochefort) si improvvisa professore. Cosa avrebbe fatto Eugénie Grandet se avesse avuto il telefono?
Due uomini solitari si incontrano casualmente, si parlano, diventano, nel loro stile, amici e vagheggiano della vita dell'altro ciò che è sempre mancato alla loro. Bel film che presenta diversi elementi al suo attivo: la sobria ed efficace regia di Leconte, un duetto di protagonisti particolarmente ispirato, una sceneggiatura parca di parole ed anche di fatti clamorosi, ma che regala comunque diverse emozioni. Se
vi capita sotto mano, non perdetelo.
Uno di quei film che, grazie all'azzeccata alchimia degli ingredienti e alla buonissima interpretazione degli attori principali, riesce a giungere al cuore dello spettatore. Non siamo di fronte a grandi innovazioni narrative, in fondo non si tratta che dell'ennesima "strana coppia" che per un motivo qualsiasi s'incontra e si relaziona, ma la messa in scena ha un garbo tutto europeo e le situazioni che si vengono a creare (pur non sempre molto credibili) rendono la pellicola originale. Un buon prodotto che merita sicuramente la visione.
Il pensionato abitudinario e il rapinatore di banche: due mondi lontani che entrano in orbita tra loro e lentamente si assimilano a vicenda, diventando uno specchio desiderato dell'altro, uno possibilità non attuata dell'altro. Una bellissima storia sulla solitudine, sull'amicizia, sui sogni abbandonati e sul destino personale, che Leconte racconta sfruttando l'espressiva impenetrabilità dei due ottimi Rochefort e Hallyday, in una bella ambientazione di provincia. Dialoghi curatissimi. Finale fin troppo simbolico ed esplicativo.
Il casuale incontro tra un anziano professore ed un rapinatore in incognito genera un confronto tra due persone insoddisfatte della loro situazione e desiderosi di vestire i panni dell'altro. Una narrazione ragionata, fatta di dialoghi ben costruiti e di atmosfere lievemente plumbee. Bravi i due interpreti, da menzionare il sognante e tragico finale.
In un paesino di provincia, l'incontro fra un anziano professore logorroico ed un bandito di pochissime parole: il primo sta per affrontare una operazione chirurgica, il secondo si appresta a rapinare una banca. Ognuno rimpiange di non vissuto la vita dell'altro: se al borghese benestante e colto manca l'avventura, l'avventuriero rimpiange gli agi e la tranquillità... Film elegante, forse un pò troppo didascalico in certi passaggi (i monologhi del pur bravo Rochefort risultano interminabili, mentre Hallyday è perfetto nel ruolo), ma riscattato dal bellissimo finale, affidato alle sole immagini
Sarebbe tutto meraviglioso, se non meravigliosamente fastidioso; un film dove tutti i personaggi sono intelligentissimi, possono discutere dei massimi sistemi, chiunque può dialogare di poesia; bisogna sorbirsi persino un autista delinquente che declama massime alle dieci del mattino perché prima deve pensare e poi riflettere o il giardiniere che arriva sempre lo stesso giorno ma che nessuno ricorda. Tutto è condotto con una spocchia oltre il sostenibile. Se non fosse per i due attori sarebbe difficile da guardare senza arrabbiarsi.
Contiene i semi del piccolo gioiellino ma, complice la stanchezza, mi sono anche addormentato. Tutto ruota attorno ai due bravi protagonisti e all'alchimia che Leconte riesce a trarne. Condita da dialoghi curati nonostante la relativa attendibilità di certe situazioni. Ma non è quello il problema (favoleggiare è proprio del cinema) quanto il ritmo costantemente pacato e basato senza riserve sui dialoghi dell'uno e sugli sguardi dell'altro.
Ottimo lavoro di Leconte che conferma la qualità della sua regia essenziale ma di grande carica emotiva. Una storia dolente e malinconica sulla vita, desideri mai realizzati, aspirazioni disattese, il sogno di "un'altra vita" rispetto a quanto abbiamo vissuto. Il finale è perfetto per chiudere il cerchio. Buona fotografia e colonna sonora adeguata. Ottime le interpretazioni di Rochefort e Hallyday antitetici all'inizio e via via sempre più sovrapponibili.
Escursione sociale e di vita di due persone opposte. Il girato è di ottimo livello, così come la profondità - davvero pazzesca - dei due protagonisti principali. Il ritmo rallenta un po' troppo in certi frangenti e la sensazione è che la sceneggiatura fatichi a comunicare un soggetto tanto complessso. Finale complesso ma decisamente d'effetto. Una piccola perla.
Un confronto tra vite diametralmente opposte che si intersecano brevemente e con la solitudine come denominatore comune: due ritratti intensi grazie a interpreti perfetti per e nel ruolo al lavoro su una sceneggiatura molto spontanea, a tratti ironica ma soprattutto vera. Il professore in pensione e il rapinatore, destinati a fondersi e risepararsi nel momento in cui giungono al loro appuntamento inevitabile, sono anche tutti i libri e le poesie che l'uno conosce e l'altro ignora, nell'addio dell'ultima sera.
Un giorno arriva in provincia, col treno, un misterioso straniero; lo accoglierà nel suo mondo un signore demodé desideroso di novità. Una storia di uomini e solitudini, di caratteri agli antipodi e della curiosa necessità di svestirsi della solita quotidianità che ci inchioda a ruoli precisi. Bel duetto Rocherfort/Hallyday, giocato sui contrasti e le complementarietà caratteriali. La trama è un po' romanzata, lo stile asciutto, ma va bene così.
Rapinatore di banche trova ospitalità da un insegnante in pensione. Imperniato sulle diversità dei personaggi (e relativo desiderio di ribaltare la propria condizione), mostra nei momenti casalinghi un'attenzione alla Tornatore. Come recitazione non c'è paragone in quanto Rochefort ha molte più sfumature di Hallyday che ha presenza, sì, ma le cui frasi a monosillabi non lo aiutano. Scarsa la parentesi criminale sia come ruoli che nell'esecuzione della rapina a volto scoperto. Leconte ha i tempi giusti ed eccede nella chiusura didascalica.
MEMORABILE: Il taglio di capelli nuovo; I vecchi che fanno sport facendo le scale; Lo sparo ai barattoli.
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Galbo sicuro che sia una commedia? A me è sembrato più un drammatico con qualche puntatina
nel noir. Anche Imdb ed altri siti lo catalogano
così. Che ne dici?
E gli altri davinottiani che l'hanno visto? Che ne pensano?
ciao a Tutti, ho visto la segnalazione e quindi rispondo, anche se leggo che è già stata presa una decisione, che anche io approvo.
Forse commedia drammatica, come suggerisce Wikipedia, per quello che può valere, è ancora più esaustivo, ma penso che sarebbe eccessivo introdurre nuovi generi.
Grazie
Sicuramente va benissimo l'inserimento nel genere "drammatico", ma anche "commedia" non era del tutto errato. Concordo con Saintgifts che la definizione più calzante potrebbe essere quella (inesistente in database e giustamente non da introdurre)di "commedia drammatica"