Viene considerato un classico a tutti gli effetti, però l'effetto è piuttosto noioso ed esageratamente prolisso, in alcune parti. Non ci si trova facilmente quell'atmosfera angosciante, quel clima pesante e morboso che ci si aspetta in un film che tratta esplicitamente il tema del voyeurismo abbinandolo a telecamere e macchine fotografiche.
Visto oggi è lento, e soprattutto non è spinto.
Ma considerato l'approccio (parliamo del 1960) al tema dei "media-voyeur" bisogna riconoscere che il film non solo ha fatto scuola (Blow-Up), ma è stato "paurosamente" premonitore.
La facoltà di anticipare gli eventi decine di anni prima che accadano è sintomo di genialità.
Questo traspare dalla visione dell'opera di Michael Powell, regista con all'attivo decine di film, peraltro di ben altro genere che non thriller (campo nel quale, per nostra fortuna, non ha insistito...)
Piccolo cult, questo Peeping Tom, nonostante, in effetti, non è che sia invecchiato troppo bene. Certo, il signor Powell sa il fatto suo e questo film può dirsi uno dei precursori di certo cinema voyeuristico (senza dimenticare, però, che Rear window è di 6 anni prima).. Rimane una certa noia, perché il film dovrebbe essere un thriller ma in realtà sembra più una grossa e macabra introspezione, nella quale la pellicola non asseconda le regole della tensione, divenendo a volte stralunato e incomprensibile.
Potrebbe fare da prototipo del film che, visto oggi, delude per le attese che erano state create e dalla fama e dalle vittoriose recensioni leggibili ovunque, ma che controbilancia il tutto con il non difficile presumere che, per l'epoca, fosse bello tosto. Oggi pare medio, ma all'epoca era certamente buono. Diciamo "discreto", allora?
Una delle più straordinarie riflessioni filmiche sul voyeurismo, che dietro il paravento del thriller nasconde considerazioni molto interessanti e profonde sull'arte cinematografica e sulle sue pulsioni. Anche come film di genere è notevole, tanto che c'è chi lo considera il punto di partenza del thriller moderno. Non per nulla verrà successivamente imitato da tantissimi registi. Il protagonista poi è eccezionale e la sua interpretazione mette i brividi. Indimenticabile anche il sistema scelto per ammazzare le ragazze.
Un classico senza tempo. Powell dirige con eleganza creando ottime scene di tensione: l'omicidio della ballerina nello studio televisivo vuoto, il delitto iniziale della prostituta, la scena in cui mentre sta spiando la polizia l'assassino perde una penna dall'alto... Le musiche sono perfette e la storia di una mente malata viene narrrata in modo convincente. Gran finale.
MEMORABILE: Il finale: "Papà Papà"... Il metodo con cui vengono compiuti i delitti.
Mi accingo a vederlo speranzoso per il genere e le recensioni lette, me ne esco invece deluso. Costruzione della tensione? Non c'è, il film procede lento e a scatti. Profilo dello psicopatico? Questo sì, è reso bene. Sequenze ardite e temi shock per l'epoca? Sì, ma non esageriamo. Gli attori? Poco espressivi, a parte la candida Elen. Insomma, il protagonista è tormentato, ma ha sempre la stessa espressione. A parte qualche pesce succulento (ad esempio la scena con Vivian, quando lui le chiede di riprenderlo), la rete non sembra poi così piena...
Introspezione psicologica retroattiva proiettata sul mondo della telecamera: una noia tremenda e un attore protagonista da denuncia penale (allora molto meglio il nostro Lino Salemme). Da considerare, valutare, ma impossibile da accostare ai classici di Hitchock.
Il voyeurismo come metafora del cinema? E'l'interpretazione più accreditata degli estimatori di questo film imperfetto a livello di scrittura, ma figurativamente prezioso (bello l'uso espressionistico di luci e colori) ed emotivamente coinvolgente. Reso impotente da un padre degenere, il protagonista può soddisfare le proprie pulsioni sessuali solo attraverso il delitto, replicando la condizione di cui lui stesso è prigioniero, ossia la paura (della morte, degli altri, di se stessi). Cult meritato, nonostante si avverta il peso degli anni.
MEMORABILE: Il treppiede che si trasforma in stiletto
La macchina da presa come prolungamento del sé, come arma per uccidere e filmare le reazioni di paura. Come in un trattato di psichiatria, si concentrano varie morbosità e deviazioni dell'uomo: scopofilia, sadismo e masochismo, misoginia patologica, compulsività, ecc. Paura della paura altrui, sul volto dell'amica di Mark quando scopre il misfatto, come in un gioco di specchi riflettenti. Memorabile cult-movie, uscito qualche settimana prima di "Psyco" e, ingiustamente, con molta meno fortuna di critica e di pubblico.
Un classico prolisso e con troppe lungaggini nel girato che tediano non poco lo spettatore. Poca suspence, psicologia dell'assassino sbagliata, errori clamorosi, tipo la vicina che entra in casa del protagonista come se niente fosse. Il film non è incalzante e la fotografia da l'impressione di una pellicola ricolorata, non certo però con gli stessi risultati di Inferno o Suspiria. Restano buoni attori di impronta teatrale.
Sarà anche un film di culto nel suo filone, ma sinceramente a me non è piaciuto più di tanto. Soprattutto la prima parte l'ho trovata pesante e difficile da superare; solo dopo la prima ora, man mano che le indagini prendono campo, la pellicola acquisisce interesse. Il protagonista stesso non è un granché.
Considerato la risposta inglese a Psyco, in realtà il film di Powell non è interessato alla tensione tipica di un thriller, preferendo invece sguazzare nell'osservazione psicologica della classica persona disturbata. Originale sì, ma non certo piacevole, causa una pesantezza atroce del tutto, causata proprio da scene di lunghezza incomprensibile. Girato comunque con cura e ammorbidito da bei colori pastello, ha anche un cast non proprio convincente, a partire proprio dal distaccato Boehm e dall'inespressiva Shearer. Un classico non essenziale.
MEMORABILE: Le registrazioni dei bambini torturati; il primo omicidio, probabilmente il migliore.
Le lenti della telecamera come diaframma, come arma per difendersi da due spaventose minacce: il mondo esterno, dal quale Mark si sente escluso, e il proprio mondo interiore, paesaggio disastrato dai ricordi di un'infanzia terribile. Arma per difendersi, ma anche arma per distruggere... Il tema è sicuramente svolto in maniera corretta, fin troppo argomentato, e questo è il limite del film, che tra l'altro è guastato da inopportuni intermezzi "leggeri" (l'attrice che dimentica le battute), e che, per essere un film sul voyerismo, ha poca suggestione visiva. Ha un suo perché, ma è mediocre!
MEMORABILE: La telecamera che diventa uno specchio nel quale le vittime si vedono morire.
Film dalla trama coinvolgente soprattutto dal punto di vista psicologico, sul quale trovo ben ispirato il protagonista Carl Boehm, che si stacca dal ruolo principesco della serie che lo ha reso famoso. C'è qualche lungaggine di troppo ma complessivamente il film è ancora attualmente godibile nonostante proponga un voyeurismo contenuto e oscuri le scene più violente con escamotage registici.
Opera ricca di sottotesti, che spaziano dalla critica alla borghesia dell’epoca all’attacco verso il perbenismo anglosassone. Ma prima di tutto siamo di fronte al prototipo del thriller moderno che inscena, attraverso una spiccata eleganza figurativa, il tema del voyeurismo imperniato sull’ossessione e le turbe psichiche derivanti da un padre scienziato. E quindi cinema come arte visiva, del “guardare”; come pulsione morbosa tra eros e thanatos, nel catturare le emozioni e stati d'animo; come specchio sulla società, sul mondo, noi stessi.
Esce lo stesso anno di Pysco, cui lo accomuna un serial killer psicopatico vittima di un genitore oppressivo, nonché la funzione di prototipo per il cinema a venire: in questo caso il cinema della morte in diretta ripresa dall’occhio avido, voyeuristico e necrofilo della telecamera. L’azione si concentra entro ambienti angusti – la camera oscura del protagonista, sancta sanctorum di un Boehm tanto determinato e feroce come assassino quanto timido e sensibile in veste di ragazzo comune -, con un uso efficace delle luci e della figura thrilling della madre cieca e perspicace. Molti gli epigoni.
MEMORABILE: Mark punta tutte le telecamere addosso a sé e si prepara per l’estrema ripresa.
Film molto importante nell'ambito del genere thriller per quanto riguarda le inquadrature (le soggettive dell'assassino) e l'utilizzo dei colori (rosso ovunque), dal quale anche il cinema italiano prenderà spunto. La storia è semplice ed efficace e forse per questo avrebbe potuto durare meno, poiché il film sembra procedere in maniera troppo lenta fino a un epilogo prevedibile. Il tema del voyeurismo è ben sviluppato e per lo spettatore diventa facile immedesimarsi nel protagonista. Alcune scene sono memorabili e la fotografia è bellissima.
Offriva ottime riflessioni non solo sulla mania di spiare (e riprendere tutto con la telecamera) ma anche sulle influenze comportamentali dei traumi subiti nell'infanzia; forse una volta, quando il soggetto brillava sicuro almeno di originalità; mi è sembrato però abbastanza invecchiato. I protagonisti non mi sono parsi un granché: troppo statico Bohem, alquanto sgraziata la donna. I ritmi sono troppo lenti e la trama infarcita di sequenze intuili. Nel complesso mi è parso noioso, nonostante il buono spunto di partenza.
Film fondamentale per il genere thriller, in cui il voyeurismo viene spinto all'estremo fino a far coincidere la prospettiva dello spettatore con quella dell'assassino. Anche se il peso degli anni e degli infiniti eredi si fa sentire, si apprezzano tuttora il lavoro psicologico e la fotografia in Technicolor, le cui tinte accese contrastano con gli ambienti angusti in cui si consuma la pulsione omicida del protagonista. Un grande classico che avrà fatto sicuramente gelare il sangue a suo tempo, ma anche una tragica storia d'amore.
MEMORABILE: Il primo omicidio; Il treppiede trasformato in arma; "Ho paura! E sono contento di aver paura!"
In una Londra degli anni '60 l'introverso Marc Lewis ha qualcosa da nascondere. La narrazione è sintetica, lineare e precisa (per questo mi ricorda i film di Hitchcock). Forse l'idea di base sarebbe potuta essere intrigante, ma è stata resa male e mal collegata alla vicenda. Lo spettatore durante la visione non può che provare un senso di disagio, soprattutto dovuto alla particolare recitazione di Boehm, a me parsa eccessivamente innaturale e impacciata (ma è voluta?). La regia non mi ha entusiasmato e la fotografia poteva lavorare meglio.
Al di là della riuscitissima caratterizzazione psicologica del protagonista, con tutti i suoi drammi infantili e tutto il suo viscerale amore verso la sua macchina da presa, il film si fa amare soprattutto per i virtuosismi di regia, il riuscito mix tra humor e thriller e le indelebili zampate al neon della fotografia di Otto Heller. Morbosissime le interpretazioni dei Carl Boehm e di Maxine Audley, folle e incubotico lo splendido finale.
La macchina da presa come strumento di morte, la morte che giunge mentre gli attori (finti) si immedesimano in attori (veri) e provano a recitare una scena cinematografica come fosse un film dentro il film. La follia è messa in mostra sottilmente, celata dal bel viso candido di Karlheinz Böhm, apparentemente innocuo e a sua volta vittima di un padre malato quanto lui ma che alla fine si rivela essere un cinico assassino. Purtroppo, essendo contemporaneo di Psyco, è stato un po' oscurato da quest'ultimo e ancora oggi non ha la gloria che merita.
Molto invecchiato. Il valore "storico" della pellicola non si discute, così come il fatto che contenga buone idee e belle sequenze, ma visto al giorno d'oggi risulta di una lentezza a tratti esasperante. Non particolarmente vivace (ma forse è giusto così) neanche la prova del protagonista. Rimane comunque un lavoro da conoscere e che, se giudicato cercando di rapportarlo all'epoca in cui fu girato, si può ritenere buono.
Sebbene risenta un po' dell'età, il film di Powell conserva ancora oggi una potenza visiva e concettuale non indifferente. Un cineasta omicida usa la cinepresa come arma, filma i propri delitti, conserva le pellicole e le guarda ossessivamente: una riflessione (spaventosa ma anche satirica) sul cinema stesso, sul voyeurismo di chi fa film e di chi ne fruisce, sul fascino morboso che la paura ha sul pubblico. Inquadrature eleganti, mai banali (Argento prenderà appunti), colori saturi, giochi di ombre e di quinte magistrali. Lento, ma seminale.
MEMORABILE: Il fulminante inizio con l'omicidio in soggettiva (Halloween style); Due cineprese si filmano a vicenda (e ce n'è una terza che filma entrambe...).
Un trauma sofferto per anni sin dall'infanzia si riverbera quasi specularmente nell'ossessione di Mark per la macchina da presa come mezzo per documentare emozioni violente, simili a quelle subite. Nonostante la "stagionatura" e con qualche inevitabile pecca, il lavoro di Powell conserva una vis cinematografica di grande impatto, soprattutto se consideriamo l'attuale strabordante imperio dell'immagine, ma affascina anche l'armamentario strumentale di allora. Una narrazione non certo lineare, ma il film si riscatta ampiamente sul piano estetico.
MEMORABILE: Il teatro di posa; La saletta di proiezione in casa di Mark; Le bobine con tutte le registrazioni del passato.
Un film che certamente apre un'epoca, per ciò che riguarda le riflessioni sul rapporto cinema/voyeurismo, tematica sempre sottintesa fino ad allora ma mai espressa così palesemente. Fin troppo didascalico però, e in un certo senso quasi ossessionato dalla stessa idea del soggetto. Questa mancanza di profondità è ciò che lo rende ad oggi un po' datato. Il "primato" però resta e glielo si riconosce tutto anche per via di una fotografia molto bella che aiuta la costruzione di immagini davvero affascinanti.
Powell, questa volta in solitaria, decide di addentrarsi nel genere thriller/horror mettendo in mostra tutte le sue ottime qualità tecniche da visionario e puntando su una storia quasi meta-cinematografica inquietante per i suoi risvolti tragici. Bohm recita il ruolo di protagonista egregiamente (non era semplice), la fotografia è illuminante e il montaggio degno di nota. Le scene degli omicidi sono molto caratteristiche, giocano con la macchina da presa e con il ruolo voyeuristico del regista, che a tutti gli effetti è un po' uno spione.
Un film d’avanguardia, per il suo tempo. Gli omicidi “in diretta” da parte di uno psicopatico sono un tema forte, qui rappresentato compatibilmente con la sua epoca, ma probabilmente nel modo più estremo possibile, per il tempo. Inoltre compaiono foto proibite femminili e pure un topless malandrino, seppur mostrato così in fretta che potrebbe quasi “scappare”. Oltre a questo “scalpore”, il film è realizzato molto bene e a tratti riesce anche ad inquietare lo spettatore di oggi. Il protagonista è perfetto nel drammatico ruolo e attorno a lui non mancano bravissimi comprimari.
MEMORABILE: La luce in faccia; Le foto proibite in vendita; Le voci registrate quando lui era piccolo.
Classicissimo che rientra nella bislacca ma tutt'altro che limitata categoria di film da riguardare periodicamente per convincersi non ci sia sfuggito qualcosa nel tributo universale riconosciutogli. In effetti se narrativamente l'opera è perfettibile in virtù dell'obsolescenza prodotta dagli anni, tecnicamente e strutturalmente resta di un'esemplarità clamorosa, di un nitore da fiaba oscura che solo Powell poteva donarle, di una cinefilia ineffabile quanto incolmabile. Perfetto Boehm, di passaggio qui tra Sissi e Fassbinder, mozzafiato il balletto della Shearer in teatro di posa.
Un gioiellino anni 60 dal piacevole impatto estetico (pellicola curata, colori vividi, fotografia ricercata, inquadrature incisive). Film elegante e raffinato, probabilmente precursore e musa di molti lavori successivi, piuttosto "moderno" e suggestivo per essere così datato (anche se l'epilogo tipicamente melenso ne evidenzia il periodo). La sceneggiatura offre diversi punti e chiavi di lettura conferendo originalità al thriller, nel genere. Gli attori hanno volti interessanti, azzeccati e ben interpretano. Consigliato ai nostalgici.
È un film che meriterebbe i cinque pallini solamente per la vicinanza a certe atmosfere hitchcockiane e per l'utilizzo di un tipo di psicopatico molto particolare. Peccato che la pellicola sia di una lentezza straziante, una lentezza che non consente di godersi appieno tali atmosfere anche perché manca completamente la tensione. C'è anche qualcosa che non va in alcune parti della sceneggiatura ed è un peccato davvero, perché il progetto meritava altra realizzazione. Arrivare alla fine è davvero difficile, come è difficile sentirsi davvero dentro la storia. Spreco.
Incompreso e vituperato al tempo della sua uscita, è un film di fondamentale importanza nella storia del cinema thriller, per certi versi persino più innovativo di Psyco, che però venne accolto in tutt'altro modo. In effetti qui non abbiamo sorprendenti colpi di scena, e anche la tensione è altalenante, ma gli argomenti trattati (voyeurismo, traumi infantili, la figura del mad doctor), la splendida fotografia, il geniale modus operandi dei delitti e la bella prova del cast, ne rendono la visione un dovere morale per chi ama il genere, anche al prezzo di qualche sbadiglio.
MEMORABILE: L'inizio; I filmini dell'infanzia; Le fotografie osé; Il confronto con la non vedente; Il finale.
Il punto di forza di questa pellicola tra l'inquietante e il disturbato è indubbiamente il protagonista, con la sua ossessione che sfocia nella lucida follia omicida per immortalare lo stato d'animo finale. Ma oltre a lui, un altro personaggio ruba decisamente la scena a tutti, assassino compreso: la madre cieca della ragazza, dai sensi sviluppati e acuta di mente. La datazione si sente, ma la tensione che si crea, unita all'instabilità del fotografo aspirante cineasta, fa sì che il tutto scorra fluidamente fino all'epilogo, in linea con la mente dell'uomo. Notevole.
MEMORABILE: Le "vedute a colori"; Il videoregalo all'inquilina (la giovane cavia umana); La madre: "I ciechi vivono anche nelle stanze sopra di loro"; Scopofilia.
Un operatore cinematografico ha un'ossessione: spiare con la cinepresa le persone. Autentico thriller psicologico con sfumature horror degno di nota, in cui tutti i crismi del genere sono messi bene in risalto. Suspense e tensione di buon livello, si rasenta il cinema hitchcockiano. Molti i momenti di intelligenza registica. Bene il cast. Discreta la colonna sonora.
Nel buio di una stanza, fra fasci silenti di luce dai più vivaci colori, passano e ripassano immagini ma in bianco e nero, di una pellicola proiettata su uno schermo. E' il rifugio di un giovane cineoperatore molto solo finché non conosce il conforto dell'amicizia di una ragazza vicina, locataria di un suo appartamento. Come farla entrare nella sua vita, drammaticamente funestata dalle oscure ossessioni "sviluppate" in quell'altrettanto oscura camera? Pare impossibile e così ecco l'epilogo. Le immagini possono uccidere? Troppo formalismo didascalico per un pubblico allora ingenuo.
MEMORABILE: La camera oscura e tutti i vecchi macchinari; I vari set, arredati; Il volto del protagonista che passa dalla fredda follia all'entusiasmo infantile.
Opera spartiacque nel genere, culto cinefilo irrorato da fiumi d'inchiostro critico, a distanza d'anni rivela i limiti di tanto cinema “a tesi” anglosassone, in cui l'apparato teorico - nello specifico, metafilmico - sopravanza per genialità d’intenti quello narrativo, puramente strumentale. Funziona perfettamente in ogni singola scena, ma nel complesso, come thriller, la tensione non regge e si rimane, assieme al protagonista, meri osservatori della morte al lavoro. L'emozione pura di Psycho o La finestra sul cortile nulla toglie alla loro complessità concettuale, anzi, la esalta.
Operatore cinematografico non trattiene pulsioni omicide. Il tema della paura è già presente per l'epoca nei film di genere, ma qui interessa da dove scaturisce e la questione personale prevale. L'andamento è altalenante perché le scene thriller sono girate molto bene, mentre la parte investigativa molto meno. La frequentazione amorosa è figlia dei tempi e il ruolo della madre poteva avere più importanza nella soluzione. Il film è più sottile rispetto allo stile di Hitchcock e anticipa di gran lunga il voyeurismo depalmiano.
MEMORABILE: La ballerina che si scalda; Il susseguirsi delle urla da bambino; La salamandra.
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Come giustamente scriveva Undying, Michael Powell interpreta il ruolo del padre del protagonista e il suo vero figlio (Columba Powell) appare nei filmini familiari nel ruolo di Mark da bambino.
Oltre a ciò va evidenziato che anche la vera madre del giovane attore (Frankie Reidy) appare brevemente come sua madre nel filmino in b&n. [fonte Imdb]
Caesars ebbe a dire: Come giustamente scriveva Undying, Michael Powell interpreta il ruolo del padre del protagonista e il suo vero figlio (Colunba Powell) appare nei filmini familiari nel ruolo di Mark da bambino.
Oltre a ciò va evidenziato che anche la vera madre del giovane attore (Frankie Reidy) appare brevemente come sua madre nel filmino in b&n. [fonte Imdb]
Una piccola chicca dal mio archivio. Dalla versione italiana una scena alternativa: il messaggio che si legge nel pre-finale sul tavolino (nella versione italiana modificata rispetto al testo inglese).
Ciavazzaro ebbe a dire: Una piccola chicca dal mio archivio. Dalla versione italiana una scena alternativa: il messaggio che si legge nel pre-finale sul tavolino (nella versione italiana modificata rispetto al testo inglese):
Nella puntata della trasmissione radiofonica "Hollywood party", dedicata a questo film, Steve Della Casa cita tra i registi ammiratori della pellicola anche Martin Scorsese. Tale ammirazione fece si che Scorsese abbia impiegato lo sceneggiatore di "Peeping Tom" nel suo "L'ultima tentazione di Cristo" (dà la voce a Satana, nella versione originale della pellicola).
CuriositàDaniela • 3/04/20 16:25 Gran Burattinaio - 5937 interventi
Il titolo originale "Pepping Tom" fa riferimento all'espressione popolare inglese con cui si designa un "guardone".
Tale termine fa riferimento ad un personaggio legato alla leggenda di Lady Godiva, nata poco dopo l'anno 1000. Secondo la versione più nota di tale leggenda, Lady Godiva era una nobildonna che cavalcò nuda per le strade di Coventry, coperta solo dai suoi lunghi capelli, per convincere il marito a non imporre ulteriori tasse alla popolazione.
In segno di rispetto, tutti gli abitanti del paese volsero altrove lo sguardo, ad eccezione del solo Tom, un sarto curioso, che osò guardare le grazie della bella signora e per questo divenne cieco.