Chi sono i cinesi che vengono a lavorare da noi? Enigmi inavvicinabili o persone con una storia e un'emotività? Dall'osservatorio di Chioggia, riprodotto mimeticamente, Segre sceglie una via "Soldiniana" per capire chi è presente nel paese in numero enorme ma è poco raccontato. Pur con qualche prevedibilità di stile e trama la relazione tra questa piccola cinese in attesa di riscattare il bambino e il pescatore slavo riesce a toccare. Bel cast "chioggizzato" tra cui spicca Citran (per mimesi dialettale) e Battiston, camaleontico.
MEMORABILE: Le scene al bar, molto realistiche e puntuali; un avventore può saperne di più di un sociologo, a volte.
La delicata amicizia tra un'immigrata cinese e un maturo pescatore. L'ambientazione chioggiotta regala immagini nebulose e sognanti, frammiste a versi poetici sempre leggiadri. L'introspezione psicologica, con le sue regole dispotiche, della comunità cinese è ben tratteggiata. Qualche passaggio appare lievemente lento, nonostante la goliardia veneta degli interpreti nostrani.
Il miglior complimento che si possa a fare a questo film è che non sembra un film italiano; sarà il guazzabuglio di lingue, sarà che i dialoghi sembrano quasi recitati a braccio e che il casting è quasi perfetto, sarà che finalmente si vede una fotografia degna di tale nome, sarà che la regia è curata e che non sembra di stare in una fiction. In questo clima di cose fatte bene si riesce a sopportare anche il solito Battiston conciato come non mai (ce n'era bisogno?). Una storia abbozzata e breve, diretta bene, un bellissimo film.
La laguna ben si adatta a dar sfondo alla vicenda: malinconica e nebbiosa con le sue maree orienta gli umori dei personaggi. La coppia protagonista è credibile e umana, meno il resto del cast (a parte Paolini) che, pur provenendo dalle vicinanze, accentua troppo la recitazione. Un epilogo dignitoso e toccante completa un film riuscito. Buona la fotografia.
Dalla fotografia singolare, dove il paesaggio e la Venezia da cartolina sono del tutto assenti e per questo molto aggiungono all'intimismo di certe situazioni, "Io sono Li" è un film raro, che scorre tranquillo come l'alternarsi delle maree in laguna. Il film - effetto psicologico - sembra essere sempre ripreso in soggettiva, visto da tre occhi diversi: quello di Li, del pescatore slavo a cui viene ricordato che non è più uno straniero e del piccolo popolo del bar chioggiotto dove tutto comincia e, in parte, finisce. Poetico, vero, amaro.
Andrea Segre, già documentarista, firma un'opera prima di notevole valore che utilizza in modo delicato e sentito il canovaccio dello straniero in Italia. Lasciando da parte africani e slavi lo applica stavolta alla apparentemente impermeabile comunità cinese. L'assenza di scene madri, la cura dell'immagine e la prova degli attori impreziosiscono un film che non manca di qualche pausa ma che vale sicuramente la visione.
Potente esordio nel cinema di "finzione" del documentarista Andrea Segre. Una storia all'apparenza piccola fortemente simbolica dei problemi relativi all'inserimento e all'integrazione degli immigrati nel nostro paese. Riuscito il ritratto della protagonista, pedina in un business più grande di lei che trova inaspettata solidarietà umana in un personaggio a suoi antipodi, geografici e umani. Bellissima la rappresentazione della laguna veneta, ostile e nel contempo dolce e poetica. Da vedere.
Poeti finti e poeti veri. Bepi era un poeta finto? Direi di no e forse i poeti finti non ci sono, ci sono solo i poeti. Andrea Segre fa i film, ma è un poeta, scrive le sue poesie con la macchina da presa. Poesie piene di volti, di voci, di silenzi, di cieli e di mari, o di lagune. Poesie ma anche storie, storie che possono essere vere, storie più profonde di quelle gridate, storie che stanno negli occhi di chi le vive, negli sguardi e nei gesti; gesti delicati ma importanti, come il Taijiquan di fronte a un mare grigio e a montagne innevate.
Ottimo debutto cinematografico del documentarista Segre, con un film di grande sensibilità sul tema dell'immigrazione. La dignità e la disciplina della cinese Shun Li si confrontano con uno spaccato di varia umanità, tra cui spicca lo spirito libero del pescatore/poeta jugoslavo con cui instaura un legame speciale. Il contesto lagunare crea un effetto di coinvolgimento cupo ma sospeso, che quasi valorizza i diversi percorsi umani e sociali della condizione di straniero. Intenso, triste, poetico.
Noi siamo qui. Arrocati nel più micragnoso e pavido provincialismo. Timorosi della casba che siamo. Mentre d'intorno e dentro l'integrazione è un'onta che si paga cara, come anche l'umanità che la veicola. Scansando le feritoie del civile e del sociale a tutti i costi, Segre sceglie la via più dimessa e delicata per dirlo (sussurrarlo), ma le tinte sono tutt'altro che mezze, a partire da quelle di un Bigazzi che fotografa straordinariamente il pianeta lagunare come nessuno prima, riuscendo a farlo sembrare caldo. Poesia lunare, che annulla ogni servizio di frontiera tra Oriente e Occidente.
Uno sguardo semplice e sincero per raccontare una storia che nella sua esilità contiene temi importanti della contemporaneità, dalla riduzione in schiavitù dei migranti alla provincia xenofoba. La purezza della giovane cinese incontra quella del vecchio pescatore in un emozionante sodalizio, circondato da un coro pettegolo in cui si riflette l’antropologia di un certo Nord Est. Ottima la fotografia che insegue la verità della luce senza artifici, negli interni e nella struggente laguna, per rispecchiare la genuinità intima del racconto.
Il racconto di una favola soave e leggiadra, evitando però giochi di specchi emotivi per giungere alla spettro umano. L'incontro tra i due protagonisti è un'occasione pretestuosa per mettere a confronto culture differenti. Il plot è frammentato non in chiave socio-politica bensì dando una visione più mirata alla sociologia. Titolo che analizza la mancanza di identità e il senso di appartenenza ma che, nonostante l'apprezzabile onestà di intenti, viene purtroppo penalizzato da una tendenza troppo marcata al melodramma e da un finale quasi scontato.
MEMORABILE: "La ragazza è giunta dall'oriente per servire la mia gente".
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Molto d'accordo con la visione di Ford: un bel film, di quelli adatti ad aver successo anche all'estero.
Pare che da noi abbia incassato poco e se dovessi commentare adesso, a caldo, i gusti del pubblico italiano nello scegliere i film temo sarei squalificato come un Balotelli qualsiasi.
Fuori leggo che Roger Ebert 3 stelle e mezzo gliele ha date, in Germania e Francia ha raccolto consensi.. speriamo abbia avuto miglior fortuna oltreconfine.
Lo devo vedere in questi giorni; che abbia incassato poco non mi meraviglia, si parla bene del suo ultimo film La prima neve
DiscussioneZender • 26/10/13 08:26 Capo scrivano - 47790 interventi
Trovo che sia molto azzeccato anch'io; soprattutto è ben reso l'ambiente chioggiotto e si respira molto l'aria della laguna. D'altra parte è tutto fuorché un film commerciale che possa ambire ad alti incassi (anche per i suoi ritmi non certo altissimi) e di certo non mi stupisce che sia rimasto confinato nel cosiddetto cinema "di nicchia".