Titolo buonista per un film di qualità indubbia ma di fin troppa facile presa. I temi sono tanti e mai del tutto approfonditi, ma sopra tutto è raccontata la natura aggressiva dell'uomo che non conosce età anagrafica o latitudini. Una violenza che non porta lontano, evidentemente. Lo stile è un'edulcorazione di Lars Von Trier, di cui la regista è allieva, il contenuto soffice. Bella fotografia.
Se nel precedente Dopo il matrimonio, le inquadrature e i dettagli la facevano da protagonisti, qui la Bier, pur non dimenticando la propria raffinatezza, prova a giocare un poco di più con trama e personaggi. Ne risulta un quadro un filo più animato, specie a causa di una vicenda dai caratteri forti che, tuttavia, non convince negli snodi principali (finale in particolare). Resta comunque efficace la riflessione sulla violenza e gustoso il comparto visivo.
MEMORABILE: La reazione di Christian al momento del dramma
La Bier è regista capace e misurata che non calca mai la mano e che riesce a non scadere nella banalità o nella lacrimosità forzata. Tuttavia stavolta la storia, pur offrendo interessanti spunti di riflessione sul modo di ognuno di affrontare il dolore e sui rapporti familiari, è troppo prevedibile e non riesce a tenere alta l'attenzione dello spettatore risolvendosi in un happy-end abbastanza edulcorato e molto, forse troppo, pacificatore. La bellissima fotografia e la professionalità del cast danno comunque vita ad una discreta pellicola.
Se alcuni caratteri (quel bambino così risoluto) e snodi della trama sono attaccabili ("big man" che accetta le richieste del dottore, la bomba sotto la macchina), va detto comunque che la Bier sa metterli in scena con bravura. La trama è abbastanza semplice ma interessante nel mettere sotto la lente vizi e angosce del nostro mondo con la consueta durezza e maturità della cinematografia danese.
Abbastanza prevedibile sia negli intenti che nelle dinamiche e negli sviluppi narrativi
E' forse per questo che non riesce a coinvolgere più di tanto, nonostante avrebbe dovuto e potuto trasmettere un certo pathos. Invece si avverte una certa freddezza, anche se la regista è sobria e misurata: non spinge sul pedale del patetismo e del sensazionalismo, e questo è un bene. Poi c'è quel finale sembra uscito da un altro film e attaccato flebilmente al resto della storia. Deludente.
La violenza nel mondo degli adulti e dei bambini. I soprusi nei villaggi africani. La natura che prevarica se stessa. Predatori e prede, vittime e carnefici… Le contrapposizioni messe in campo sono facili e schematiche, insufficienti a generare una complessità verosimile. Susanne Bier addizione troppi elementi senza preoccuparsi di farli convergere in una riflessione compiuta, così personaggi e situazioni appaiono troppo sovraccarichi ed esaspera(n)ti. L'enfasi finale con cui ribadisce l'esistenza del male e la necessità del mutuo soccorso lascia tiepidi. Qualche dogmatica (evitabile) zoomata.
Un'amicizia sincera tra due ragazzini, ognuno dei quali vive con il proprio fardello di problemi esistenziali, si trasforma in una pericolosa complicità nel voler porre rimedio alle ingiustizie, usando tutti i mezzi possibili. Anche nelle (apparentemente) migliori famiglie, si può nascondere una rabbia sempre sul punto di esplodere, nelle città danesi come in qualsiasi altra parte del mondo. La storia è interessante, anche se si fa un po' fatica a star dietro ai salti da un continente ad un altro e ben interpretata.
La regista danese Susanne Bier dirige una storia di incomprensioni e dissidi coinvolgenti due nuclei familiari, già lacerati al loro interno. La storia non è particolarmente originale ma la Bier la elabora in modo adeguato, scegliendo due piani narrativi diversi (la parte africana e quella europea) forse troppo didascalici ma sicuramente funzionali al racconto, anche se stona un po’ il finale buonista. Bravi i due giovani protagonisti.
La mezz'ora finale che plana paciosamente verso il solito romanzo famigliare vanifica il corpo centrale di un film che sembrava presentarsi come perturbante parabola (luterana?) e interrogazione su un grande tema morale: la risposta civile e nonviolenta all’ingiustizia che ci circonda, vista in parallelo dagli occhi dei ragazzini votati alla vendetta (questo il titolo originale) e dal medico senza frontiere nelle contraddizioni africane. E invece, ecco un ‘semplice’ discorso sul valore della comprensione e della solidarietà, comunque ben fatto.
Storia non originale che scorre su due binari, nell'Africa della miseria, delle malattie e della prevaricazione e in una Danimarca sicura e patinata che si interroga su temi etici, sul male, la vendetta, il perdono. Raramente i due piani sono di uguale spessore e di impatto narrativo, con un risultato poco credibile, discontinuo e un tantino snervante. Ottima la prova del cast, nonostante una certa schematicità e freddezza in alcuni dei personaggi. Finale buonista e incongruo rispetto ai drammi evocati. Coinvolgenti le scene in Africa.
MEMORABILE: La prova attoriale dei due giovani protagonisti; La scena della bomba.
Pellicola provvista di doppia narrazione in cui il tema della rivalsa, ottenuta in maniera dolorosa ma sostanzialmente giusta, si osserva in due continenti ben distinti. Cinica e pericolosa la vendetta del giovane orfano lacerato familiarmente come il suo pavido complice. Finale forse buonista ma pregno di speranza. Belle le immagini e avvincente lo sviluppo sceneggiativo.
Ciò che la Bier ci racconta e su cui ci vuol far riflettere è qualcosa di inestirpabile, qualcosa che le civiltà evolute tentano di controllare (con scarso successo) ma che nello stesso tempo arrivano a esasperare, per non dire a mal interpretare (vedi i professori che difendono il bulletto). Stiamo parlando della parte cattiva dell'uomo. Siamo quasi felici quando Christian punisce il compagno bullo, ma sappiamo che non va bene; o va bene? Quanta letteratura e quanti film coinvolgenti si potrebbero fare se l'umanità diventasse tutta buona?
Elias, vittima di bulli e con i genitori in procinto di separarsi, viene difeso dal nuovo compagno Christian, che ha perso da poco la madre ed è in cattivi rapporti col padre. L'amicizia fra i due ragazzi dovrà però affrontare molte prove... Attraverso una storia di confronti padri/figli, Bier riflette sul modo di porsi di fronte alla violenza, con un risultato certo empatizzante ma un poco didascalico, sottolineato da un epilogo troppo conciliante. L'ottima confezione e la buona prova complessiva del cast rendono comunque il film meritevole di visione.
MEMORABILE: L'incontro in officina con l'uomo che ha schiaffeggiato il padre di Elias
Susanne Bier racconta uno spaccato di Danimarca borghese attraverso lo sguardo di due giovani protagonisti disadattati, che hanno in comune traumi causati volente o nolente dalle rispettive famiglie. Interessante l'idea di sovrapporre alla storia dei ragazzini quella del padre di uno di loro, medico che aiuta i poveri di un villaggio presumibilmente africano. Buona la fotografia, così come ben in parte è il cast. Un film che ha la qualità di presentare una storia di per sé triste ma senza melensaggini o drammi inutili. La regia ha diversi spunti interessanti, in alcune parti.
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E' uscito in BR e DVD con queste specifiche tecniche (fonte dvd-store.it)
Formato video 2,35:1 Anamorfico 1080p
Formato audio 2.0 Stereo Dolby Digital: Danese
5.1 DTS HD: Italiano
extra Trailer
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DiscussioneDaniela • 12/10/15 10:47 Gran Burattinaio - 5930 interventi
ancora grazie della dritta Galbo. Con un finale meno accomodante e qualche sottolineatura didascalica di meno sarebbe stato un ottimo film ma anche così merita ampiamente la visione