Un film incredibilmente scemo e fuori di testa, nel quale la presenza di Lucio Dalla in una parte meno secondaria di quanto non ci si potrebbe attendere (canta anche la bella canzone che apre e chiude il film) è solo una delle tante componenti pazze che fanno del PRATO MACCHIATO DI ROSSO una sorta di trash-cult. La storia racconta di due hippies che, come precedentemente accaduto a un ubriacone (Dalla!) e ad una mezza prostituta (Dominique Boschero) vengono caricati in auto da un uomo misterioso. Accompagnati in una villa lussuosissima con giardino della campagna piacentina, vi incontrano una coppia di strani personaggi (Marina Malfatti, spesso col seno semiscoperto ed Enzo Tarascio, che sfoggia invece...Leggi tutto cravatte attorcigliate sul collo a mo' di enormi papillon!). I due nascondono in cantina un apparecchio metallico degno dei primi film di fantascienza di serie B, col quale succhiano sangue alle loro vittime per rivenderlo ai ricchi che ne abbisognano. Sulle loro tracce un poco convinto ispettore di polizia (Nino Castelnuovo, recitazione "ridicolmente impegnata"). Il film sembra quasi improvvisato (ma la regia di Ghione non è del tutto peregrina), con il ragazzo hippie a recitare con un esilarante accento anglo-tedesco e lunghe sequenze pseudo-psichedeliche (vedi il lungo ballo nudi nella sala con gli specchi deformanti). Sceneggiatura appena abbozzata, con enormi falle (cosa significano gli sforzi tardo-nazisti di Tarascio e la sua idea di creare una nuova razza ariana?) e una totale noncuranza per i particolari. Cosa diavolo voleva dire Ghione con questo film? Qual era l'idea-base sulla quale intendeva lavorare? Sembra dapprima un inno alla linbertà dei figli dei fiori, poi un richiamo ai vecchi horror della Hammer... Se non altro singolare!
Incredibile e dilettantesco film pseudo-thriller la cui sceneggiatura è delirante, farraginosa ed inconcludente (oltre che banale come poche). Per il resto è davvero difficile riuscire a trovare le parole per definire un film così strano e impalpabile. Quel che è certo è che la noia regna sovrana. Piccola particina per Dalla.
Il vampirismo “politico” praticato da una malavita altolocata con manie superomiste a danno di emarginati si sostanzia in un’orgia gotico-kitsch di hippies e robots succhiasangue, catturati in un’insolita ambientazione piacentina con tanto di sponsor (i vini Testa) sulle saporose musiche di Teo Usuelli. Le bizzarrie pervadono anche il variopinto cast, includente una Malfatti serissima e aristocratica, Tarascio mad doctor con papillons giganteschi, Castelnuovo in missione per l’Unesco, Dalla barbone avvinazzato. Nudi di lusso per la Boschero e una Marzano tzigana. Ematofilo, casereccio.
MEMORABILE: La sfrenata danza nella sala degli specchi; il robot di Tarascio in azione.
Due giovani, ospitati da Alfiero (Claudio Biava) e suo sorella Nina (Marina Malfatti), vengono trattati con tutti i riguardi. Ma nella villa i proprietari - compreso il marito di Nina (Enzo Tarascio) - hanno ben altre finalità e presto le ragioni dei loro buoni modi si manifestano in maniera quantomeno singolare. Il sangue è l'obiettivo e vagabondi, poveracci e viandanti occasionali sono invece i fornitori. Vigila su di loro, per fortuna, un agente dell'Unesco (Castelnuovo). Delirante ed eccentrico (Lucio Dalla canta una canzone omonima del titolo) si ricorda tuttavia per la dose d'erotismo.
MEMORABILE: la macchina per l'estrazione del sangue.
Prodotto, di difficile reperibilità, che presenta un certo fascino per i cultori dei "brutti-film". Il perché è facilmente intuibile, vista la realizzazione dilettantesca della pellicola, con una trama assurda e recitazioni non degne degli attori chiamati a raccolta. A parte la curiosità che può suscitare un prodotto così strampalato non ci sono buoni motivi per concedergli un'occhiata, visto che la noia regna sovrana per un'ora e mezza.
Politicamente reazionario-nazistoide e Ghione meglio di una funambola come la mitica Malfatti e di un perfido Catenacci col parrucchino non poteva proprio trovare. L'ignoranza del regista è però abissale in anatomia umana e comparata, altrimenti dovremmo sospettare che una delle attrici, peraltro abbastanza celebre in quegli anni, avesse le forme estetiche perfette, ma il cuore dislocato tra i muscoli cervicali...
MEMORABILE: I corpi dissanguati e congelati in frigo.
Originale, simpatico e ingenuo. Davvero stramba l'idea di malavitosi che rubano il sangue ai poveri per darlo ai ricchi (mi ricordano certi politici...). Non male anche il cast, film che se si sorvola su certe fesserie grossolane è più che guardabile.
MEMORABILE: La Boschero seminuda, sempre uno splendore.
Terribile. Non fosse per la presenza di bravi attori sarebbe uno sfascio totale. Delirante (basta vedere la macchina per pompare il sangue!): la Boschero zoccoleggia, la Marzano legata come un salume tutta nuda fa quasi ridere, ma per fortuna la Malfatti recita e anche bene. E che dire del papillon di Tarascio durante l'orgia nella stanza degli specchi?! Non un trashone completo, ma poco ci manca. Va comunque visto almeno una volta.
Il film di Ghione è in sostanza un grottesco calderone naif, che raccoglie in tutta sregolatezza mini-ingredienti thriller, sotto-pochade paradossale, satira anti-capitalistica, orrore sociale e fantascienza povera anni '50. La recitazione appena abbozzata, le musiche giocose e stranianti e l'assurdità dei personaggi (stracult il Dalla clochard), messi al servizio della candida e datata critica filo-proletaria, concorrono a comporre un quadretto piacevole e originalmente persuasivo, espressione genuina, bizzarra e velleitaria di una decade in rotta definitiva col passato.
MEMORABILE: Il coloratissimo e letale macchinario robotico per l'estrazione del sangue, molto simile ai vari Tobor e Robby the robot del fanta-cinema americano.
Non basta la difficile reperibilità a fare di un film un cult; se un film è brutto è brutto, se è insensato è insensato, se è recitato male è recitato male. Si salva solo la Malfatti, quasi sprecata in una produzione del genere. E Lucio Dalla? Avrebbe fatto bene a cercar di far sparire questa pellicola dalla circolazione... Fosse stato un porno avrebbe avuto almeno un senso. Illogicamente assurdo. Incredibile, ma è stato girato.
MEMORABILE: Tra le tante cose stupide la meno stupida è il papillon a cravatta, immaginatevi il resto.
Tremenda poltiglia di frammenti horror, kitsch, sexy e perfino di impegno sociale. Etichettarlo è arduo, così come vederlo fino alla fine. Peccato per gli attori, tutti abbastanza noti ma sprecati. Tra mignotte, robottoni succhiasangue, agenti dell'Unesco e cravatte-farfalloni non so chi sia meglio...
Vero e proprio tuffo psichedelico in cui vi è la summa di molte componenti tipiche di un certo cinema di genere settantiano ma non solo: troviamo gli hippie, i borghesi annoiati, personaggi folli e sopra le righe, la provincia anonima e apparentemente calma e per non farsi mancare nulla un tocco - allora come oggi vintage - di fantascienza anni '50 (una specie di robot succhiasangue). Il genere? Dovrebbe essere un giallo, ma l'impressione è di un'accozzaglia cinematografica in cui si può trovare di tutto e al limite farselo anche piacere.
Questa volta l'appuntamento al buio non ha sortito lo sperato colpo di fulmine. Senza troppo fascino, con troppa noia e con poche scene da menzionare per fare il cult. Nudi integrali e robot primordiali sono circondati da dialoghi strutturati malissimo, anche per il trash. Si, perchè per fare il trash "seriamente" occorre credere di essere seri fino ad un certo punto, mentre per fare le cose seriamente occorre esserne capaci. Qui emerge poca scaltrezza e molta approssimazione che portano indecisione sulla via, finendo per imbucare un anonimo vicolo cieco.
MEMORABILE: I farfalloni "trasgressivi" dello scienziato pazzo!
Premesso che una tale summa di assurdità fa rimpiangere i tempi in cui sugli schermi ogni delirio era possibile, è difficile capire come si sia potuto concepire una così folle baracconata che mischia psichedelia, contestazione, droga, spy-story, vampirismo, erotismo e fantascienza, ambientando il tutto in una villetta nel piacentino arredata con gusto da formaggiai arricchiti. Nonostante la presenza di nomi di una certa notorietà, la recitazione è all'altezza del resto. La bella Dominique Boschero mostra generosamente le sue pregevoli curve.
MEMORABILE: Lucio Dalla perennemente attaccato alla bottiglia; I papillon giganti di Tarascio; La macchina succhiasangue.
Strambo, sconclusionato, una pellicola che sembra realizzata in stato di ubriachezza (altro che Lucio Dalla, i beoni sono altri). Tutto ha poco senso e logica, dal prelievo casuale e consenziente delle vittime alle apparizioni dello sgangherato robot, e viene cucito assieme senza arte né parte. Tante e tali sono però le pecche mostrate che riesce a guadagnare un suo fascino, sicuramente surreale e alterato ma pur sempre innegabile. Regia inesistente e cast svogliato e fuori parte, ma, alla fine, a chi importa?
Vittima di anni di scarsa visibilità (come scarsamente visibile - in senso letterale - era la copia televisiva) e di fraintendimenti "di genere", uno strambo calderone spensierato e coloratissimo, forte di inquadrature dal gusto squisitamente pulp, di un'avvolgente fotografia (fin troppo luminosa a tratti, ma non è un film che punta al realismo) e di un cast curiosissimo. La storia a ben vedere viaggia piuttosto a vuoto, ma le simpatiche invenzioni non fanno pesare troppo la cosa. Filmetto piacevole e rilassante, da riscoprire.
Gustosa pellicola paesana del buon Ghione dotata di una discreta ost. Per quanto mi riguarda, se non ci fosse un'ultima mezz'ora molto in calo, parlerei di una pellicola che mi soddisfa in pieno. Bellissimo il cast femminile con due delle mie starlette favorite come la Boschero e la Marzano (qui in una scena legata nuda), spaesato Castelnuovo, fantastico Tarascio. Cinema di genere italiano anni 70 puro!
Stralunato e bislacco se ce n’è uno, il film di Ghione se da una parte si riallaccia al filone dell’horror satirico anticapitalista inaugurato da ...Hanno cambiato faccia, dall’altro se ne distanzia muovendosi lungo una tangente talmente weird da ricordare piuttosto le operazioni del duo Morissey/Warhol. Certo però il nostro non brilla per consapevolezza teorica e molte delle trovate son quantomeno lambiccate. Si alternano inevitabilmente lungaggini goliardiche e (in) sano divertimento. Tarascio ha l’occhio folle di Norma Desmond.
Questo film di Ghione, colpevolmente sottovalutato dai più, contiene invece messaggi nient'affatto frivoli (la presunta razza superiore di hitleriana memoria). Ovviamente, trattandosi di una pellicola grottesca e fuori dagli schemi, per apprezzarla a pieno si deve restare al gioco (il robot succhia sangue), senza dunque essere particolarmente razionali. Così facendo, gli ottanta minuti trascorreranno piacevolmente. Nel prato macchiato di rosso ci si può alquanto divertire: **!
Film difficile da catalogare: è una satira sulla borghesia? un horror malriuscito? o semplicemente un pasticcio di film? Forse tutte e tre le cose, probabilmente solo il regista ha una risposta... Lasciano allibiti i papillon del padrone di casa, Dalla ubriacone, il robot gigante e la spiegazione finale! le psicologie dei personaggi variano dal comico al drammatico senza soluzione di continuità, la storia zoppica pesantemente e tranne un paio di scene interessanti (la festa “psichedelica) il film annoia anche per colpa del ritmo catatonico.
MEMORABILE: Il "prelievo" di sangue; La festa psichedelica.
Strano e per certi versi infantile nella sua malignità. Fuori dagli schemi, non ordinario. Niente di trascendentale per carità, ma nonostante qualche inutile lungaggine che lo appesantisce non poco risulta essere una malsana favoletta sexy/horror con tanto di scienziato pazzo. La solita tenebrosa Malfatti. Da riscoprire.
Delirante finto-giallo senza spaventi e con qualche nudo, che ha assunto un'immeritata fama leggendaria a causa della sua precedente invisibilità. Ridicole anche le pretese allegoriche (il vampirismo degli "ariani") e le citazioni colte (il "prato" richiama il "Campo di papaveri di Monet). Curiose analogie con La polizia brancola nel buio, con cui condivide i puerili gadget fantascientifici, i dialoghi assurdi, le traversie produttive, ma purtroppo non la godibilità del comico involontario.
MEMORABILE: Lucio Dalla nei panni del barbone ubriaco; Gli enormi foulard annodati a farfalla di Tarascio.
Uno dei pochi prodotti della controcultura italiana (non della commedia classica) che critica il capitalismo mondiale ricorrendo a metafore grottesche e stranianti sulla scorta di certo pop-cinema europeo. Il risultato è altalenante e il sospetto che si tratti di goffa ingenuità invece che di dissacrazione rimane ben saldo. Non si riesce, tuttavia, ad affondare il coltello della critica: si intuisce buona fede e, soprattutto, a distanza di anni, sopravvive una divertente scorrevolezza. Dalla si disimpegna niente male (e la canzone è gradevole).
Da dove si può partire? Dalla stereotipizzazione galoppante di personaggi che più monodimensionali non si potrebbe, a esempio. Anzi no: da un Dalla ubriacone bonario che ciancica bazzecole per tutto il tempo. Ma che dico: spazio alla meravigliosa sanguisuga robotica che prosciuga la linfa dei poveri disperati per innervare le membra di un Frankenstein piacentino. Un momento, forse è meglio ricominciare da capo, magari dall'Unesco (!)... Forse. Se la ragione dice * e la ghiandola pineale *****, chi conviene ascoltare?
Secondo un detto popolare, bere vino rosso fa buon sangue. E se il sangue facesse buon vino? Allo scopo di mettere in pratica l'ipotesi, alcuni tizi con rotelle mancanti attirano nella loro ricca villa alcolizzati, prostitute, hippies... Lo spunto è originale ed il cast incuriosisce a cominciare dal Dalla barbonizzato, peccato che il film sia diabolicamente noioso data l'insensatezza della trama e la banalità dei dialoghi. Solo la bizzarria di alcuni momenti (i macchinari costruiti da Tarascio, Castelnuovo agente dell'UNESCO) salva dal totale anonimato questo horror brutto e fatto male.
La canzone di Lucio Dalla che accompagna i titoli di testa e di coda e la presenza del grande cantautore bolognese è l'unica nota felice di questo film, ascritto al genere horror ma che di horror non ha nulla. È più un grottesco, peraltro mal riuscito, con una trama confusa e una sceneggiatura piena di buchi. Qualche nota simpatica (la macchina succhiasangue), ma non basta. Non così male il cast, con una buona Marina Malfatti, un Lucio Dalla che dimostra discrete capacità e un Nino Castelnuovo un po' improbabile ma che ci prova. Tante le scene inutili. Brutto.
Lavoro veramente curioso, principalmente per una sceneggiatura scombiccherata che spesso sembra non sapere bene dove andare a parare; il tema portante del macchinario che estrae il sangue dalle vittime è affrontato più che altro nel finale - trash ma spassoso - mentre il resto del film sembra prender tempo con confronti tra la mentalità hippie di sinistra e i borghesi nazifascisti, in una metafora azzardata che lascia il tempo che trova. Si apprezzano perlopiù le location del piacentino, normalmente poco battute dal cinemabis, e la partecipazione di Dalla, specialmente nella ost.
MEMORABILE: Il prelievo di sangue; Dalla ubriacone; Le copiose quantità di Gutturnio che scorrono nel film.
Da un film con un soggetto tanto delirante era lecito aspettarsi ben altro rispetto a un giallo-horror piuttosto fiacco e noioso. Ghione punta tutto sull'accumulo di stranezze (i papillon di Tarascio, il ridicolo robot gigante, Dalla attore in un prova di raro masochismo) ma complessivamente tira lo sbadiglio e anche i tentativi di data alla vicenda uno spessore sociologo vanno clamorosamente a vuoto. Almeno ci sono le belle musiche di Usuelli, la canzone di Dalla in colonna sonora e qualche gustosa nudità a rialzarsi in parte l'insieme, ma è davvero poca cosa.
MEMORABILE: Tarascio con assurdi papillon che insulta Dalla e la Malfatti (un capra pre-Sgarbi); La festa nella sala degli specchi; Il robot kitsch vampiro.
Pronti, via, con l'improbabile sigla cantata dal buon Lucio Dalla e la presenza di hippies sulla scena e la mente va già all'Estratto dagli archivi di Freda/Ratti. In realtà, Ghione gira con un certo stile ed è chiaro dove voglia andare a parare (la critica antiborghese); tuttavia, nel rutilante e bizzarro cinema italiano seventies, difficilmente si ricorda un prodotto così delirante e stravagante: dalle cravatte di Tarascio, all'interpretazione naïf di Dalla, al robot assassino... un concentrato di stramberie che alla maggior parte dei palati potrebbe risultare indigesto.
MEMORABILE: Il gigantesco robottone succhiasangue.
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DiscussioneFauno • 28/01/13 09:35 Contratto a progetto - 2748 interventi
Forse ci assomigliava tantissimo e ho avuto un flash. D'altronde nel 2010 mi lasciavo trasportare molto dalla foga e già un'altra volta ho confuso la Blanc con la Stewart.Se è Biavia il marito della Malfatti intendevo lui, sì, grazie Dusso. FAUNO.
DiscussioneDusso • 28/01/13 11:36 Archivista in seconda - 1867 interventi
Fauno ebbe a dire: Forse ci assomigliava tantissimo e ho avuto un flash. D'altronde nel 2010 mi lasciavo trasportare molto dalla foga e già un'altra volta ho confuso la Blanc con la Stewart.Se è Biavia il marito della Malfatti intendevo lui, sì, grazie Dusso. FAUNO.
No io intendevo (l'amante), il marito è Enzo Tarascio
Mco ebbe a dire: A supporto specificativo di quel che ho scritto qualche post fa, posso riferire - sempre evincendo ex documentario curato da Nocturno a complemento della pellicola - che è l'aiuto operatore fotografico Lindo Zappieri (il cui padre fece anche una breve parte come attore) a parlare di prima nazionale a Fiorenzuola D'Arda (location di gran parte delle riprese) nel 1973. Ho da visionare la versione di Retemia da anni, ma sconfortato dalla qualità ignobile non l'ho ancora fatto. Ora che scopro l'esistenza di un master finalmente decente lo farò, anche perchè questa cosa che è girato a Fiorenzuola e che gli extra del DVD parlano di Piacenza e dintorni mi incuriosisce non poco, essendo di questa zona. Tra l'altro in rete ho trovato questo flano, che immagino essere fake, ma che comunque mi ha fatto ridere:
Hahah vero, a meno che gli autori all'epoca non avessero fatto un fotomontaggio al volo pur di avere un flano, anche se mi pare improbabile dato che una locandina ufficiale esiste.. Però da un film girato a Fiorenzuola mi aspetto questo e altro! :-P
Potrebbe essere uscito un 45 giri promozionale di quelli semi-invisibili (coi 45 giri ci sono scoperte ogni settimana) o ancora, parlo del brano principale, potrebbe essere stato incluso in qualche cd o lp di Lucio Dalla o di Teo Usuelli.
L'accesso alla sala con gli specchi è un chiaro riferimento alla celebre scultura "Hon" di Niki de Saint Phalle, Jean Tinguely e Per Olof Ultvedt del 1966.
Il tema di una porta d'ingresso costituita da una vagina gigante venne anche ripreso da Piero Schivazappa in "Femina Ridens" del 1969.