Come sempre i film di Avati poggiano sulla felice interazione tra attori diretti molto bene, che generano rapporti mai banali nel loro sviluppo grazie a una sceneggiatura attenta ai dialoghi, capaci di dosare con garbo ironia e drammaticità. Ma va anche rimarcata l’espressività di un cast scelto con cura e che riserva barlumi di grandi interpretazioni non solo grazie alla risputa bravura di un De Sica che non poteva deludere e non delude, ma anche di uno strepitoso Luca Zingaretti e naturalmente di un Nicola Nocella che, nella parte del figlio più piccolo (e un po’ ingenuo per non dire scemo) offre al personaggio esattamente ciò che serviva per fornirne il necessario spessore psicologico: è...Leggi tutto suo lo sguardo candido sul mondo becero popolato da loschi intrallazzatori di cui suo padre (De Sica) è quintessenziale rappresentante. Lo sguardo spaurito, stupito, mai rassegnato, buono di chi entra in un gioco più grande di lui senza comprenderne nemmeno lontanamente i meccanismi. Dalla Bologna dove vive con una madre (Laura Morante) lunare e a tratti isterica (da giovane la chiamavano “la scemina”), arriva a Roma per far da testimone di nozze a un padre che non vede da anni e che lo usa come “uomo di paglia” su cui scaricare pesantissime responsabilità, da inserire in un gioco di potere per salvare una serie di società e holding a un passo dal fallimento. L’intrigo economico-politico non viene chiarito in tutte le sue sfumature e forse non è nemmeno importante: è solo uno dei tanti casi in cui un uomo venuto dal nulla e senza scrupoli (De Sica, per l’appunto) si trova a capo di un piccolo impero societario che si rivelerà essere il solito gigante dai piedi d’argilla. Non comprendiamo tutti i contorni dell’affare così come non li comprende il timido ventunenne Baldo (Nocella), che ammira il padre nonostante questi abbia abbandonato lui, sua madre e suo fratello il giorno stesso delle nozze per scomparire d’improvviso e farsi un’altra vita. Baldo studia al Dams, propone una tesi su GUINEA PIG che il relatore guarda come il fumo negli occhi, s’innamora di una ragazza di cui nemmeno sa il cognome e sogna di dirigere uno splatter ambientato a El Paso, Texas. Vanno a prenderlo a Bologna, lo portano nella capitale e il mondo “vero” gli si rovescerà addosso d’improvviso, senza fargli tuttavia aprire completamente gli occhi. Suo padre ha pena per lui ma prima di tutto paura per se stesso, per una situazione dalla quale non sa come uscire. Pare spesso indeciso, sospeso tra improvvisi scatti d’ira. attimi di sconforto e inconfondibili uscite da burino, mentre la sua ex moglie (Morante), rimasta a Bologna, mette in luce un carattere nevrotico e debole che diventa anch’esso parte di un quadro ben preciso, che Avati coglie con la consueta eleganza affidando a un’inquietante Sydne Rome il ruolo dell’amica californiana della Morante (e con lei parte delle Lymnos, duo musicale di dubbio talento). Un film che non eccelle particolarmente in nulla, ma che dimostra quanto un buon cast e una sceneggiatura piacevole abbinata a una regia d’esperienza possano coprire i difetti di un soggetto non troppo originale e un po’ confuso.
"Il figlio più piccolo" fa parte dei film di Avati del gruppo "ritratti di perdenti con ingenuo a seguito", un po' come Il cuore altrove. Qualcuno che è più furbo dà un occasione a chi nella vita non l'ha mai avuta... qui De Sica col figlio (che sembra John Belushi) abbandonato subito dopo il matrimonio, là l'Incontrada col povero Neri Marcorè. La storia, pur non essendo molto chiara, è molto interessante, il problema è che ad una storia vibrante non corrrisponde nessun ritmo. Troppe cose laciate al caso. Zingaretti grande, De Sica di mestiere.
MEMORABILE: Luca Zingaretti che si misura la febbre e ha 42 e mezzo! Il progetto del film del figlio studente del Dams.. un horror ambientato in Texas!
Ottimo film di Pupi Avati che riesce a descrivere la cattiveria di alcuni personaggi riuscendo però anche a renderli simpatici e a farci commuovere per i loro destini. Ovviamente gli attori sono il punto di forza insieme ai dialoghi, su tutti Luca Zingaretti che non perde un colpo per tutta la durata del film; De Sica è anch'egli particolarmente in parte (tranne un paio di cedimenti) e l'esordiente Nocella perfetto nel ruolo del figlio più piccolo (e più igenuo). Un ottimo film italiano come se ne vedono raramente.
MEMORABILE: "Insegne di locande bruciate da sole".
Avati è un bravo narratore; e anche quando il materiale (la sceneggiatura) è quel che è, comunque riesce a confezionare, come in questo caso, un prodotto filmico dignitoso, aiutato dagli attori, che distraggono dal contenuto (poca cosa, tutto facile facile), con le loro interpretazioni (bravo De Sica, che si dimostra attore e non solo giullare, ma anche questo ragazzo, naturale e convincente, che sembra il figlio di Belushi; bene Zingaretti). Solo la Morante schizzata è un po' pesante, ma sopportabile. Nota di merito per l'autista cuoco, con i suoi manicaretti. Non male, dopotutto.
MEMORABILE: De Sica, uomo distrutto, appena apprende dal socio che c'è una speranza, si rivitalizza in un secondo; Il socio: "Ho 42 e mezzo de febbre... a 43 se more".
Soggetto un po' confuso per l'ultima fatica di Avati, che si salva grazie ad un grande cast (de Sica in parte e bravo nel dare il giusto gusto agrodolce al suo Luciano, Zingaretti fantastico sembrava appena uscito dagli anni '80) e a una regia asciutta e piacevole. La storia potrebbe essere uscita dal giornale di ieri, con de Sica che impersona il Cragnotti o il Tanzi di turno che spinge la sua turpitudine fino al raggiro del sangue del suo sangue. In fin dei conti un film gradevole e godibile.
Ascesa e caduta del faccendiere De Sica molto ben narrate da un Pupi Avati che torna in gran spolvero dopo il mezzo flop de Gli amici del Bar Margherita. Un tipico spaccato della vita dei nostri tempi, con società fasulle, prestanomi, scaltri avvocati e politici a perenne caccia di voci. Bravo De Sica che si toglie di dosso l'etichetta di attore da film natalizi caciaroni, superlativo Zingaretti. Fastidiosa la Morante ingenua ed isterica, ottimo esordio per Nocella.
MEMORABILE: De Sica parla al figlio appena giunto nel suo palazzo: "Io quando vado in un albergo mica chiedo una stanza, mi compro tutto l'albergo!"
Un film cattivo, con un incidere tagliente e dinamico degno di un Sorrentino, ha il pregio di non offrire lieto fine, morali, lezioni o tesi da dimostrare. La storia va in una qualche maniera, che ovviamente non svelo, potrebbe andare diversamente ma nemmeno si approfondisce più di tanto coma va a finire. Resta una ricostruzione plastica di un passaggio, una fotografia, il tentativo di restare in piedi comunque ed a qualunque costo. Un Avati sempre nuovo. Molto bravo il figlio più piccolo, Nocella. Bravissimo Zingaretti, in giacca cravatta e sandali per tutto il film. 3 pallini.
MEMORABILE: Mentre fa "outing", il presidente si addormenta.
Acuminato nella critica sociale, carente in alcune interpretazioni (la Morante). Manieristico in certi dialoghi, "monicelliano" in altri (il De Sica-laziale, Quartullo). Avati dirige col piglio di un giovane esordiente, banalizzando qualche considerazione ("gli strani"-sensibili) ma capacissimo di bordate e fendenti contro un paese che s'è arreso ai piccoli-piccolissimi speculatori. Un film discontinuo, assai disomogeneo fra le (pesantucce) sequenze intimistiche e le rasoiate che neanche il Petri più rancoroso. De Sica ricorda il Romolo Catenacci di Scola: la classe-cafonal (non) va in paradiso.
Pupi Avati torna a raccontare la storia di una famiglia infelice come nel suo bel Il papà di Giovanna. Questa storia è l'occasione di mostrare l'Italia di oggi con i suoi scandali finanziari e il sottobosco sociale truffaldino e cialtronesco che vi sta alla base. Film gradevole, con personaggi ben tratteggiati anche se talvolta eccessivamente macchiettistici (si pensi alla figura della madre). Buona la prova del cast con un inedito Christian De Sica e una conferma di Luca Zingaretti.
Buon film di "casa nostra" che mette in mostra cosa si arrivi a fare pur di raggiungere e conservare il dio denaro, il quale sembra essere l'unico valore e obiettivo della maggior parte delle persone. Buona l'interpretazione della Morante. Un film che si lascia seguire.
Nomi famosi per un film che funziona parzialmente. Avati lo porta avanti bene ma eccede con gli spunti presi dalla cronaca (la holding, l'avviso di garanzia) e col ritratto troppo da macchietta dell'opportunismo italico. De Sica versione drammatica denuncia alcuni limiti, la Morante fa il solito personaggio sfigato-elettrico meglio allora Zingaretti e il giovane Nocelli (alla ricerca delle location stile El Paso in ciociaria). Ortolani compone con garbo ma rimane sullo sfondo. Non male.
MEMORABILE: "Voglio una strada diritta in mezzo al deserto, con i pali della luce e le insegne bruciate dal sole".
Quietamente, sommessamente impietoso e feroce, delicato ma amaro nel personaggio di Luciano, "padre prodigo" del figlio più piccolo. Luciano lo vediamo all'inizio della sua scalata da furbetto del quartierino, lo rivediamo anni dopo, quando, arrivato alla vetta, sta per per precipitare. E il figlio più piccolo attutisce la sua caduta, lo accompagna nell'ultimo tratto di discesa... ma nessuna "pacificazione", nessun riavvicinamento, solo una fugace tenerezza. E adesso è Baldo ad allontanarsi, in scooter con la sua ragazza, forse illuso, forse perdente, ma libero di non essere uguale suo padre.
MEMORABILE: I consulenti, gli avvocati, le segretarie, i portaborse... impegnati in futuristiche operazioni di finanza creativa e in intrighi da corte bizantina.
"Scemina" continua ad amare il marito, nonostante questi abbia piantato la famiglia il giorno stesso delle nozze, dopo aver depredato lei e i loro due figlioletti. Anni dopo il bastardo si rifà vivo a danno del figlio minore, ingenuo fino alla povertà di spirito. La storia c'è, anche se certi passaggi risultano macchinosi, e soprattutto ci sono i personaggi, anche bene interpretati, peccato che Avati, come spesso gli accade, difetti della cattiveria necessaria per chiudere in maniera conseguente, per cui il finale in chiave conciliante delude.
MEMORABILE: Nocella parla col relatore dell'idea per una tesi su "Guinea Pig"; Il progetto di finanza "creativa" illustrato da Zingarelli a Nocella
Avati è stato unico nel cambiare (salvare?) la carriera di attori importanti quali Abatantuono, finito dopo il disastro Attila di fine anni 80 e Carlo Delle Piane, prima di Una gita scolastica caratterista di quarta. Poi ha iterato l'esperimento all'infinito, sfuttando attori ormai affermati nel loro genere e senza la fame dei due di cui sopra. De Sica è l'emblema della catastrofe: ridicolo nel ruolo, in perenne difficoltà di dizione e a disagio nel tenere alta la concentrazione. Il film ne risente globalmente risultando moscio e stanco.
La storia è quello che è: risaputa e poco originale con una tendenza ad eccedere un
po'. La cattiveria sembra quella dell'Avati dei bei tempi ma, forse, è un filino troppo programmatica. Alla fine però grazie all'abilità narratoria del regista, il film si lascia seguire senza intoppi, ma anche senza guizzi, fino alla fine. De Sica, una sorta di novello "mostro" che sembra uscito fuori dalla commedia italiana del passato, dimostra di saperci fare anche nel genere drammatico. Buono il resto del
cast che fa la sua parte.
Ho sempre ritenuto De Sica un talento sprecato tra cinepanettoni e pubblicità di quart'ordine e questo film ne dà la conferma: bello il suo personaggio, un uomo con una strana umanità celata nel fondo dell'animo, che però si fa guidare da una cricca di collaboratori affaristi senza scrupoli (splendidi Zingaretti e Betty Chirone). Davvero curata la regia di Avati, che esalta le interpretazioni e delinea dei personaggi mai banali. Memorabili le scene intorno alla tavola rotonda della sede societaria.
Notevole il soggetto, bravi gli attori (De Sica non sfigurerebbe coi mostri sacri della commedia all'italiana, Zingaretti e la Morante si confermano, Ferrari è comprimario di vaglia e Nocella è perfetto nella parte), sfiziose le chiavi di lettura. È per questo che le carenze di sceneggiatura, in un film un po' lento a carburare, sono un peccato qui più che altrove: perché le trovate intelligenti sono molte e il livello della critica sociale è elevato, ma troppo spesso il ritratto resta abbozzato quando avrebbe potuto incidere in profondità.
MEMORABILE: Il soggetto del film illustrato dal figlio.
Un arrivista palazzinaro coadiuvato da un fautore della finanza creativa da una parte, una madre isterica mezza hippy ed un figlio sovrappeso ed ingenuo amante del cinema trash dall'altra. Questo, a grandi linee, lo scenario dell'ultimo film di Avati, che si avvale di un bel cast e di una narrazione lineare molto permeata alla realtà moderna di questa vituperata italietta.
Film confuso che funziona solo in parte. La sceneggiatura ha palesemente dei buchi, lascia delle questioni irrisolte e a tratti non lascia per nulla il segno. Posso apprezzare qualche spunto, soprattutto per quanto riguarda la critica sociale ben presente nel film. Purtroppo non sono riuscito ad apprezzare De Sica che è poco convincente. Bravissimo, invece, Zingaretti. Il film si lascia guardare, ma si avverte la sensazione che il risultato poteva essere decisamente migliore.
Come un coroner davanti a un cadavere già putrefatto, Avati vorrebbe fotografare la fine della borghesia imprenditoriale italiana come classe dirigente degna di questo nome. De Sica è perfetto in un ruolo che sembra cucito addosso a lui, però il consueto registro grottesco di Avati cede troppo spesso il passo ad un umorismo vanziniano (a questo punto ben più efficace), non trovando in questi ignoranti arricchiti nulla che possa sopravvivere alla rovina economica. Alla fine, come nelle commedie analoghe, il film non aggiunge nulla al trailer.
Da ormai un trentennio indiscusso cantore della commedia agrodolce di ambito familiare, Avati anche questa volta non delude, affinando ulteriormente le sue doti di provetto story-teller - il racconto procede veloce, senza ostacoli o inciampi nelle banalità – e traendo come sempre il massimo dalle risorse degli attori: De Sica è un maschera di cinismo solcata da ombre di rimpianto, la Morante è svampita e instabile, Zingaretti sorprendente con il suo perfido commercialista macchinatore e il giovane Morella ha il candore e la goffaggine del tipico “povero illuso” del cinema avatiano.
MEMORABILE: Lo scalcinato duo acustico Morante-Rome; Morella che racconta il soggetto del suo film horror di transessuali cannibali.
L'incursione di Avati nel mondo degli affari e dei faccendieri italiani ha il gusto amaro dei suoi film più pessimisti. Lo sguardo impietoso sulla pochezza del personaggio di De Sica e il pietoso amore con cui vengono descritti figlio e madre contribuiscono ad arricchire quella galleria di miserrimi avatiani inaugurata con film come Il papà di Giovanna, Impiegati ed altri. Purtroppo alla fine il tutto resta un po' abbozzato, pur con ottimi attori (pure De Sica!); non si scava abbastanza sui personaggi e le piatte musiche non aiutano.
Pupi Avati ci apre le porte del mondo misterioso della finanza estrema, piena di intrighi assurdi e totalmente priva di scrupoli. La vittima è un giovane ingenuo (un bravissimo Nicola Nocella), figlio di una madre psicologicamente poco stabile (un altrettando brava Laura Morante) e di un padre spregevole e disonesto (De Sica). La caratterizzazione dei personaggi (compresi anche il socio e l'autista) dà quel qualcosa in più alla pellicola e alla fine ci si alza dalla poltrona con la sensazione di aver visto un buon film.
Avati è perfetto nella descrizione di quel piccolo mondo miserabile, nella definizione dei personaggi, che però meriterebbero qualcosa in più rispetto al compitino ligio: una invenzione, una scena almeno folgorante... De Sica sembra essere nel film solamente per ripetere De Sica, non cambia molto dai Trivelloni ecc.; compare forse un barlume di malinconia in più, ma continua a dare il suo meglio sempre nei momenti da "commediaccia". Zingaretti è invece la vera sorpresa.
Incompiuto: De Sica è bravo, ma alla fine il suo personaggio non si discosta molto da quelli vanziniani; c'è giusto un filo di volgarità in meno. Non comprendo il personaggio della Morante, oramai chiamata solo per ruoli da nevrotica. La differenza naturalmente è dettata da Nocella, davvero bravo con la sua ingenuità piena di chiaroscuri e da Zingaretti, che dona inquietudine in quanto non è mai messo davvero a fuoco. Troppi buchi nel plot narrativo.
MEMORABILE: I sandali da francescano calzati sempre e comunque dal personaggio di Zingaretti.
Del fatto che Christian De Sica non fosse solo un grande attore comico ma anche drammatico ce ne eravamo già accorti in altre occasioni, ma in questo film dalla regale regia di Pupi Avati la bravura dell'istrionico attore è letteralmente esplosa. Non parliamo poi di Nicola Nocella, che in quanto ad esperienza cinematografica può ritenersi un neonato ma in fatto di bravura è qui apparso quasi offuscando la figura di altri talentuosi attori. Non siamo di fronte alla solita commedia di Avati: il regista si rinnova mantenendo il suo stile.
Interessante film polemico-politico del sempiterno Avati. Se il cast maschile è superlativo - De Sica mostra le sue caratteristiche malinconiche e chi l'ha sempre amato nella sua comicità lo amerà anche con la sua maschera drammatica, Zingaretti posato e pieno di classe mentre Nocella è un attore interessante - quello femminile è semplicemente ridicolo - Laura Morante piange sempre, come un po' in tutta la sua carriera, Sydne Rome è diventata un gatto mentre la moglie è l'esempio dei cafoni dei politicanti dell'ultim'ora. Promosso.
Mediocre commedia con sfumature piuttosto drammatiche. Christian De Sica non convince nel ruolo del padre infame che cerca di redimersi; meglio Nicola Nocella e Laura Morante. Pupi Avati sembra non stancarsi a fare storie del genere; beato lui...
Un affresco sugli intrallazzi e inciuci al più alto livello, quello degli appoggi politici, dei ricatti, degli intrallazzi più torbidi, ma l’umanità rappresentata da Avati poco si discosta da quella parimenti vigliacca vista in Regalo di Natale. L’opera è ben fatta, senza pause e, come caratteristica del regista, il cast si dimostra affiatato; su tutti spiccano De Sica e Zingaretti, artefici di una prova di spessore.
Pupi Avati dirige una commedia amarognola dove un credibile Cristian De Sica in versione più seria riesce a convincere lo spettatore. Bene la Morante e Zingaretti che in ruoli da "non protagonisti" fanno un buon lavoro. La Rome torna sulle scene ma non convince, così come il giovane Nocella, che appare impacciato. Il film si fa seguire in modo piacevole.
Ha il laico dono e l’irredimibile difetto dell’ingenuità l’ennesima prova filmica di Avati, il quale, volendo di prender di petto l’italietta quotidiana e la sua irreversibile degenerazione di costumi, sceglie la chiave della semplicità, scadendo talora inevitabilmente in deleteria elementarietà. Se i manicheismi rappresentativi (buoni/cattivi) e i bozzetti moralistici alla Capra non sempre son salvati da sveltezza narrativa e destrezza registica, l’opera conferma però un suo fascino naif. Nel cast tutto a fuoco il più credibile è Candide Nocella.
MEMORABILE: Laura Morante chansonniere intillimana.
Non è tanto un film su un industriale abbastanza cinico e disinteressato ma è la grande illusione di una famiglia che nega l'innegabile in attesa di una speranza che non arriverà mai o almeno molto tardivamente. Nocella è superbo in una parte non facile e anche De Sica conferma le sue grandi doti attoriali per chi lo conoscesse solo come il fedifrago dei cinepanettoni. La storia fila via che è un piacere, nonostante qualche battuta non proprio azzeccata. Un film perfettibile, ma nel panorama odierno una vera sopresa. Grande Avati!
Avati rimane con un piede a Bologna, in questo caso simbolo di sicuro rifugio sonnacchioso e lontano da loschi traffici, ed è l'Avati conosciuto, delle storie popolari, più leggende che verità; e azzarda l'altro piede in zone di opulenze fondate sulle sabbie mobili, di un'Italia della cronaca quotidiana. Il trait-d'union è affidato a un ingenuo (l'esordiente Nocella), il personaggio favorito del regista. Il risultato non è male, film corale, dove anche le figure secondarie fanno gioco, un gioco che finisce però appena le carte vengono scoperte.
Se non fosse per la bravura di Nicola Nocella (il figlio, di cui al titolo) e all'esperienza di De Sica, questo film avrebbe poco da dire. Il pur bravo ed esperto Pupi Avati dirige una pellicola non brutta ma con una sceneggiatura approssimativa che stenta in diversi momenti. Buona invece la costruzione del "non-rapporto" padre figlio e degli interessi del primo sul secondo. Ci sono anche Zingaretti (non lascia particolarmente il segno) e la Morante.
Agrodolce analisi sulla società odierna che Avati affida a una valida squadra di attori (De Sica e Zingaretti in primis) strizzando ovviamente l'occhio, in qualche modo, alla grande commedia all'italiana. Il regista, però, come solitamente tende a fare, punta più sul rapporto tra i due personaggi (padre e figlio) più che soffermarsi su di un preciso contesto. In definitiva ancora un ottimo lavoro.
Presidente di una holding intesta tutto al figlio per evitare la galera. Avati descrive l’ambiente economico di gruppi senza scrupoli e lo contrappone all'ingenuità d’animo di chi viene sfruttato. La critica è blanda perché non rivela niente di nuovo e le varie interpretazioni sono sopra le righe. De Sica non è male nella prima parte (in un ruolo per lui diverso dal solito), la Morante hippy è disegnata male, il giovane protagonista che parla di snuff movie lascia perplessi; Zingaretti tiene bene il ruolo a parte quando racconta del seminario.
MEMORABILE: La tattica di sposare la segretaria con il giovane presidente; L’arresto il giorno del matrimonio; Omar Pedrini che canta al matrimonio.
Avati si dimostra ancora una volta narratore misurato e con il gusto di proporre parti drammatiche a attori inizialmente giudicabili come improbabili in ruolis imili: piace questo De Sica e si scopre che il personaggio interpretato, per quanto in chiave drammatica, poco si discosta, per cinismo e spregiudicatezza, da quello solito dei cinepanettoni. La storia è condotta con quella vena malinconica propria dell'autore e conta su valide interpretazioni: buona la Morante, tra gli altri.
Gradito ritorno della cattiveria avatiana; stavolta i profittatori non sono compagni di poker ma un padre, che si rifà vivo dopo anni solo per coinvolgere il figlio (piuttosto sempliciotto) in una bancarotta fraudolenta. Bravo De Sica ma soprattutto Zingaretti, formidabile nella scena con la febbre, mentre la Morante ha un personaggio, la "scemina", che a volte risulta poco credibile per eccesso di ingenuità. Regia e montaggio senza particolari virtuosismi ma col giusto ritmo. Nell'insieme un buon film.
Per fortuna nel tempo Pupi Avati non ha perso il suo tocco sempre riconoscibile e carico di amarezza e poesia. La storia e la messa in scena sono ottime, ma purtroppo così non si può dire per la recitazione. Nonostante i Nastri d'Argento, anche in questo film il cast segue l'imbarazzante nuovo filone recitativo italiano, tutto sussurri e urla. L'unico che sembra non allinearsi è la vecchia gloria Giulio Pizzirani, ottimo. Per il resto, il film è nel complesso buono. Cammeo per il giornalista Pierpaolo Cattozzi. Nicola Nocelli è la tipica faccia avatiana. Musiche buone. Discreto.
Amarissima commedia a tinte drammatiche, incentrata sui più tragici e beceri effetti del rampantismo italiano. Avati ripropone il collaudato modus operandi delle sue produzioni passate e lo affila in pieno, con dialoghi ferocissimi (che purtroppo cadono spesso nel caricaturale) immersi in situazioni il cui cinismo scatena nello spettatore sentimenti contrastanti, dal disprezzo fino alla compassione. Nastro d'argento a De Sica, premiati anche Zingaretti e Nocella. Il cabarettista Battista addolcisce la pillola. Quasi subito dimenticato dopo l'uscita dalle sale.
MEMORABILE: Le accese litigate alle riunioni di Luciano, contrapposte a innocenti sogni di benessere della famiglia. Quasi non si sa per chi provare compassione.
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DiscussioneZender • 27/02/10 17:53 Capo scrivano - 47386 interventi
D'accordo, d'accordo. Per adesso lasciamo sto benedetto Amici miei in pace, però :). Ruber ha scritto del nuovo progetto sotto Il figlio più piccolo e ha fatto bene.
DiscussioneRuber • 27/02/10 23:00 Contratto a progetto - 9224 interventi
Zender ebbe a dire: D'accordo, d'accordo. Per adesso lasciamo sto benedetto Amici miei in pace, però :). Ruber ha scritto del nuovo progetto sotto Il figlio più piccolo e ha fatto bene.
come sempre sei un vero SIGNORE Zender nel rispettare, le opinioni gli altri; Si ho scritto nel suo ultimo film realizzato, perche' mi sembrava piu giusto.
Tornando a parlare del film vedo che ha beccato 2 Nastri d'Argento: De Sica attore protagonista e Zingaretti attore non protagonista. Ex aequo* rispettivamente con Germano e Fantastichini.
Di questi 4 premi l'unico che non mi convince è proprio quello a De Sica: che va incoraggiato perchè ciclicamente cerca di smarcarsi dal suo personaggio-burlone (che gli riesce da dio) ma che per me quando cambia genere ha una limitata gamma espressiva.
Non riesce insomma a trasmettere drammaticità/malinconia/rabbia come si deve, anche per colpa dell'altro personaggio che lo ha ormai fagocitato.
*I premi assegnati Ex aequo non sono stati pochi.. eeeh bisogna far contenti tutti...
A me De Sica non era dispiaciuto: niente di eccezionale, ma alcuni spunti erano decisamente buoni, specie quando intravvedeva l'ultima speranza oppure nei momenti finali, e mettevano in evidenza una buona capacità attoriale. Per dire il Boldi di Festival era molto più scarso e unidimensionale.
Certo,è vero,a volte ridiventava quello dei vari "Natali", pero nel complesso ho trovato la sua prova più che positiva e devo dire che il suo personaggio mi è rimasto abbastanza impresso, pur con tutti i clichè del caso.
Pur non avendo visto il film, continuo a pensare abbastanza bene di De Sica cialtrone drammatico (che ho intravisto in Compagni di Scuola e Uomini uomini uomini)....ho come l'impressione che più o meno inconsciamente voglia ripercorrere le orme del padre, molto aduso a film alimentari ma sempre con quella punta malinconica di fondo.
Il De Sica di Compagni di scuola era fenomenale, come tutto il film del resto, però era un personaggio più comico che drammatico, anche quando ad esempio implora il macellaio di comprargli il quadro o chiede l'elemosina a 4 zampe.
In questo film gli si richiede di andare più sul drammatico/serio (e lui è quindi costretto ad autolimitarsi) non riuscendo però ad esprimere bene alcuni stati d'animo.
Diciamo prova discreta ma non da premio.
DiscussioneZender • 24/06/10 12:53 Capo scrivano - 47386 interventi
Concordo con Gugly, in pieno. Aggiungo che se in parte nel film mi ha deluso è solo perché mi aspettavo veramente tantissimo, da lui. In realtà l'ho trovato azzeccato per il ruolo e perfettamente in parte. Zingaretti magnifico.
In effetti il ruolo è tagliato su misura per lui che, con il suo portamento da nobile un po' decaduto e pieno di ricordi tra fumo di sigarette e profumi di donne(che in fondo era anche il tipo di De Sica padre), è perfetto per vestire i panni del tipico "fijo de 'na m...tta" italiota come si direbbe nella mia città d'origine. Ripeto a me non è dispiaciuto per nulla: se poi pensiamo che il nastro d'argento l'ha vinto Pieraccioni per Il ciclone, quello dato a De Sica non mi sembra per nulla scandaloso.
@Capannelle:tutto bene(sembra quasi estate), anche se tra un po' dovrai chiedermi come va nelle Fiandre visti i risultati delle ultime elezioni...
CuriositàPanza • 16/06/14 18:53 Contratto a progetto - 5194 interventi
Ad un certo punto del film si vede un articolo di una rivista di cronaca rosa dedicata all'imprenditore Luciano Baietti (De Sica). Il problema è che a fianco al riquadro con Baietti e il suo socio c'è scritto: Nel riq. a sinistra, la conduttrice con il figlio Gabriele...
Dall'altro pezzo dell'articolo capiamo che si tratta di Maria De Filippi. Leggiamo infatti: Serenità per Maria De Filippi...
DiscussioneRaremirko • 10/03/15 00:21 Capo call center Davinotti - 3861 interventi
Che roba il dialogo che cita i Guinea pig!
Non mi aspettavo proprio di trovarli in un film di Avati.