Se cinema per voi è evasione, sogno, spettacolo, emozioni e poesia, avventura, divertimento, fantasia, ricerca della bellezza e simili, non è questo il film che può piacervi. Se cercate un film drammatico con una valida sceneggiatura potrebbe interessarvi. Se volete invece un film drammatico, neorealista iraniano, pesante, lento e con un finale tragico, correte in sala a vederlo!
Farhadi conferma l'alta densità ed intensità (gli ultimi trenta minuti sono davvero notevoli e per certi versi "sfibranti" ed "insostenibili") del suo stile narrativo. Un cinema adulto, maturo e complesso che svela particolari e verità a poco a poco, col passare dei minuti. Un cinema che richiede concentrazione ed attenzione e magari anche più di una visione. Un cinema che ripaga ed appaga pienamente gli sforzi dello spettatore. E' una cosa rara e quindi degna di grande merito. Chapeau!
Storia di una violenza subita all’interno della propria casa da una giovane donna (che non farà denunce alla Polizia) e di un marito intenzionato a vendicarsi. Storia dell’autore della violenza che è un povero cristo, malato di cuore. Come già in Una separazione, il dilemma su quale comportamento tenere avvince i protagonisti e li oppone man mano che la realtà si scopre. Grande abilità del regista nel tradurre in immagini e parole il succedersi delle reazioni emotive, dallo choc alla rabbia alla paura alla pietas, inserite in una trama di vita quotidiana con perfetto realismo.
Farhadi ripropone una storia drammatica in ambito familiare in una Teheran livida e in degrado, con un andamento che genera nello spettatore un crescendo di tensione e sofferenza. La violenza subita in casa dalla moglie a opera di uno sconosciuto fa crescere nel marito elementi di forte destabilizzazione e impotenza, favoriti anche da un ambiente umano circostante descritto con impietoso realismo. La ricerca di vendetta avrà sviluppi amari e sorprendenti. Cinema impegnativo di grande intensità.
Farhadi con la sua tecnica d'acciaio ci pone di fronte a un'altra storia sull'agghiacciante del quotidiano, come già era parzialmente stato per Una separazione, un dramma estenuante per quanto mai avventato, che si consuma nel banale fluire degli eventi (tra cui una bellissima meta-cornice teatrale). Non si può non inchinarsi alla sensibilità sconfinata che avvolge ogni evento che l'iraniano Farhadi ci mostra e ci dimostra di conoscere profondamente, tanto da ricordare per certi versi l'ultimo Bresson. Un cinema che non si vede quasi più.
La storia di una violenza subita da una donna a casa sua a opera di uno sconosciuto e della voglia di vendetta del marito di questa. Il regista parla di vita quotidiana e degli effetti che può avere una violenza simile all'interno di una coppia qualunque. Il film è un continuo crescendo di emozioni che esplodono negli ultimi 30 minuti talmente potenti da diventare quasi insostenibili, in cui non ci sono più vittime e carnefici ma solo vittime che mostrano il loro lato più umano e indifeso. Ottima la regia e la fotografia.
Per arrivare alla resa dei conti finale, che registra un buon crescendo della tensione e sviluppi inaspettati, bisogna purtroppo passare per tre quarti del film abbastanza insipidi dove l'inconcludenza del narrato non è compensata dalle abilità degli attori. Rimangono dei dilemmi etici che possono salvarlo, sempre legati all'epilogo, ma nel complesso Fahradi ha fatto di meglio.
Nella casualità di un trasloco un’aggressione sconvolgerà per sempre le dinamiche di una coppia. La priorità alla sceneggiatura non è data dal fatto violento in sé, tanto che resta avvolto da una nebulosità sulla dinamica, ma sull’implicazione psicologica che ne deriva. Giocando sulla commistione tra il teatro e la realtà, Farhadi dimostra che sono facce della stessa medaglia; inoltre non vengono risparmiate critiche alla società iraniana e sul modo di affrontare i problemi. Chiusa perfetta e simbolica.
MEMORABILE: La recitazione aggressiva; Il ceffone.
Un banale equivoco, la leggerezza di una porta lasciata aperta: basta poco per cambiare la vita di una coppia fino ad allora molto unita... Farhadi si conferma maestro nel ritrarre drammi di vita quotidiana, di fronte ai quali è impossibile stabilire un confine netto fra giusto e sbagliato. Tutti i personaggi in campo hanno le loro ragioni e questa ambivalenza, frustrando le nostre certezze, pone di fronte a dilemmi morali urticanti: parte lentamente ma nell'ultima mezz'ora monta una tensione quasi insostenibile. Cinema adulto, impegnativo ma ripagante con spunti di riflessione non banali.
Una prima mezz'ora di rodaggio, poi il film si innesca e rivela un soggetto robusto e moralmente stimolante, abile nello sviscerare le psicologie dei suoi personaggi svelandone i lati nascosti con efficaci ribaltamenti dei binomi (forte/debole, vittima/carnefice) enunciati nelle premesse. L'eccesso di melodramma verso la chiusura (dalla discesa delle scale in poi) e le non funzionalissime parentesi teatrali inficiano solo in parte sul (buonissimo) risultato. Cast efficace, regia sobria ma non trasandata. Superiore a Una separazione.
Farhadi si conferma uno dei talenti più virtuosi e intensi del cinema mondiale attuale. Con ascetismo stilistico da Maestro Sufi e una irredimibile visione laica delle umane cose, il regista iraniano tesse una trama fittissima, procedendo per accumulo di elementi, riuscendo pefino nell'impresa cinematografica di dir qualcosa di nuovo sul rapporto vita-teatro. Con sguardo etico preciso e palpitante siam condotti tra le scenografie d'interni come nei complessi rapporti interpersonali, sbigottiti dalla loro fragilità e dalla cattiva coscienza di Emad.
MEMORABILE: "L'interrogatorio" di Emad al vecchio Barak.
Uno spaccato iraniano, medio borghese, che viene colpito da un'aggressione che cambia tutto il modo di pensare, nonostante la religione e la vergogna popolare. Ottimi dialoghi e interpretazioni eccelse per una pellicola validissima che ci offre pensieri persiani e mostra punti di vista variegati tra i due sessi. Talvolta basta una buona sceneggiatura per fare un film di ottimo livello.
Un buon film: calibrato, ben fatto e con attori meritevoli. Senza inutili voli pindarici, ma in modo realistico e asciutto, Farhadi narra il quotidiano e i suoi drammi con grande sensibilità. Non enfatizza e non minimizza: apprezzabile semplicità. Però. Il film dura due ore. E per un'ora e mezzo accade ben poco: quel poco poteva essere ristretto e condensato a favore dell'epilogo incalzante, struggente che confonde le idee e gli idealismi. Dove non esistono buoni e cattivi, ma solo persone in balia dei propri demoni, debolezze e paure.
Asghar Farhadi dirige una storia attuale, che parla in modo non diretto (per ovvi motivi di censura) dell’Iran moderno. Una coppia a cui un’evento drammatico (mai completamente chiarito) provoca una evidente frattura nei rapporti personali, con il marito che cerca vendetta e la moglie che tende alla negazione del fatto. Grande lavoro sulla caratterizzazione dei personaggi e sulla tensione che cresce inesorabilmente fino ad un finale magnifico e ambiguo nello stesso tempo, che fa capire che nulla sarà come prima. Ottime le prove degli attori.
Film sconvolgente in una Teheran che cade a pezzi. Il dramma della piece teatrale e quello della vita reale si annodano in una morsa talmente stretta e soffocante da mandare tutto in malora, persino un amore che sembrava indissolubile. Sono l'odio e la sete di vendetta a vincere su tutto. Premiata a Cannes 2016 l'interpretazione di Shahab Hosseini, un volto che non si dimentica.
Una famiglia è costretta a lasciare la propria casa perché il palazzo sembra crollare. Occuperà l'appartamento che un tempo era di una donna con una brutta reputazione. La storia è semplice e viene narrata con delicatezza nonostante la sua drammaticità. Qui viene rappresentato l'essere umano che non riesce a perdonare e a perdonarsi. Quando qualcuno ci riesce, quasi per rabbia, il compagno deve farsi carico di tutto il rancore che l'altro non riesce o non vuole più provare.
Gran film diretto da Asghar Farhadi, in cui le recite teatrali dei protagonisti riescono a far emergere il loro carattere più di quanto sappia fare la vita di tutti i giorni. Al contrario, la quotidianità sembra essere il luogo e il tempo della vera messa in scena, in cui la strada verso la verità appare tortuosa e soprattutto opaca. Regia solida e ottima prova dell'intero cast.
Nella vita di una coppia affiatata irrompe all’improvviso da una porta socchiusa un fatto che cambierà la loro sorte e farà riaffiorare in ognuno reazioni inaspettate. Farhadi confonde i due piani, quello “reale” e quello “rappresentativo” (i protagonisti lavorano su una celebre opera di Arthur Miller), mettendo in luce le differenze tra la morale del suo popolo e quella cristiana, basata sul caposaldo del perdono. In una ragnatela di bugie si attaccano le verità apparenti, su cui la società sembra basarsi, nell’ attesa che tutto possa crollare (come il palazzo definito pericolante).
Un palazzo rischia di crollare: catastrofe naturale? Macché: un capo cantiere maldestro. Il destino è sempre una brutta bestia nell'opera di Farhadi, ma il più delle volte lo stesso è determinato dagli sbagli delle sue "pedine umane". Anche in questa storia di disgrazie ed equivoci è naturale perdersi nei "se" e negli "invece di", in un lento ma costante crescendo tensivo che tocca lo zenit durante l'ultimo atto, dove suspense e dilemmi morali raggiungono il perfetto equilibrio. Protagonisti come di consueto ottimamente tratteggiati definiscono il fondamentale realismo del narrato.
MEMORABILE: L'inquietantissimo piano fisso sulla porta lasciata aperta; La moglie non riesce a recitare la parte; Il teso confronto con l'autista del furgoncino.
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CuriositàZender • 28/02/17 14:25 Capo scrivano - 46958 interventi