"Libera trasposizione dell'Antigone sofoclea", così recita la sinossi. Probabilmente se avessi conosciuto l'opera in questione avrei capito meglio questa pellicola, chiara denuncia al Potere che controlla le masse attraverso la repressione e che non tollera la libertà di pensiero dell'individuo. Film di non facile fruizione poiché quello che interessa alla regista è il contenuto simbolico, non la messa in scena, rendendo a tratti il film ostico da seguire: il mio giudizio risente di questo.
Niente male, solo che pretende di simboleggiare entro uno scenario troppo reale, finendo per risultare un film di parte. Attacchiamo un ordine che non permette manco la sepoltura dei ribelli in quanto tali? Dimostriamo che non c'è forza che possa schiacciare gli ideali di base di una società civile? Ironizziamo un regime mascherato da democrazia come secondo molti era l'Italia di allora? Se è così, cara regista, mi potresti girare il seguito del film sul guazzabuglio dei giorni nostri? Sarei proprio curioso...
MEMORABILE: Fantastica la canzone di Dania, scritta da Gino Paoli.
Un buon film, ancora attuale nonostante qualche leggero squilibrio nella struttura. Ci sono pregi e difetti dei film a tema, ma prevalgono i primo a mio avviso, con una messinscena di ottimo livello e dei bravi attori (peraltro tutti muti o quasi, le battute sono pochissime). Soprattutto la Cavani è riuscita a creare quel forte senso di disagio nel vedere una metropoli (Milano, che comunque non viene mai citata esplicitamente) piena di corpi lasciati a marcire agli angoli delle strade. Finale secco.
All’indomani dei fallimenti sessantottini non poteva tardare una delle tante accuse alla dittatura di un potere controrivoluzionario e militare, qui somministrata tramite una rilettura moderna dell’ “Antigone” di Sofocle; ma l’accatastamento di suggestioni surreali, riferimenti a distopie letterarie e cinematografiche e simbologie evangeliche (il pesce disegnato sui muri da un messianico Clementi) ingenera un intellettualismo pretenzioso e greve, che soffoca la forza emotiva – e politica – del film. La colonna sonora di Morricone rielabora alcuni motivi da Queimada.
Ricalcando le orme dell'Antigone sofoclea, Cavani configura una terra di mezzo sospesa tra l'universalità allegorica della tragedia antica e la banalizzazione del suo significato nella ricostruzione moderna. Così le acute intuizioni figurative cedono il posto alla goffaggine e alla retorica. Milano con le strade cosparse di cadaveri tra i passanti indifferenti è però un'immagine potente che sembra uscire da un film pandemico alla Romero. La recitazione è aggravata ad un'impostazione troppo teatrale e da dialoghi didascalici. Bel crescendo finale. Accattivanti le musiche di Morricone.
Uno stato capitalista che impedisce di seppellire i cadaveri dei ribelli lasciati a marcire nelle strade di una metropoli del nord Italia ed una donna che chiede una degna sepoltura per il fratello, tutto questo e molto di più in una pellicola degna del miglior Antonioni. L'assurdo dilaga in un film che colpisce per la sua particolare visione della società sovrana e per le immagini di corpi senza vita disseminati sul territorio. Epidemico.
Un film girato nel 1969, ma che tranquillamente potrebbe risultare addirittura attuale. La Cavani è una regista all'altezza del miglior Antonioni. Le immagini dei cadaveri sparsi per la città sono alquanto toccanti, così come la musica del Morricone.
Tema freddo e programmatico: la responsabilità politica e la disobbedienza civile. Storia semplice, quasi banale: una nuova Antigone e una sorta di Cristo seppelliscono i ribelli morti che il Potere vuol lasciare insepolti. Un unico concetto visivo: cadaveri disseminati per le strade di una grigia città. Ma che tema, che storia, che visione: avercene così! Cavani coniuga l’elementarità del discorso con una narrazione ispirata, potentemente interrogativa, colma di simbolismo e necessità, che ancor oggi rimbalza nelle immagini di lotte e morte da ogni angolo del pianeta.
Potenzialità ed intenzioni facevano sperare in ben altro, ma lasciano purtroppo spazio
ad un film deludente e che non mantiene quel che promette. Certi squarci visivi sono interessanti e la città disseminata di cadaveri non si dimentica facilmente. Ben presto
però il simbolismo eccessivamente "scoperto" può irritare e non permette di centrare il
bersaglio. Il peggio comunque sono i dialoghi che spesso affondano nella goffaggine. Bello lo score di Morricone. Liberamente ispirato alla meravigliosa tragedia di Sofocle dal titolo "Antigone".
MEMORABILE: La città ricolma di cadaveri ad ogni angolo di strada.
La prima mezzora è folgorante e già vale la visione del film intero (il cui incipit dovrebbe aver ispirato Ibañez Serrador). La lunga fuga del duo (un Clementi simil-Cristo che parla aramaico, disegna pesci e spezza pani, ma anche non sa resuscitare i morti con un bacio, mentre una mela è in bella vista - un'affascinante Ekland) fa calare la tensione, riscattata nel finale. Si volle descrivere un "Potrebbe capitare", ma i morti lasciati scientemente per strada in Italia c'erano già stati, sia nel 1944, sia nel 1945 (anche dopo il 25 Aprile).
MEMORABILE: "Morte per chi tocca i corpi dei ribelli".
Ovvero: quando si riusciva a mettere in scena allegorie politiche senza scadere nel patetico o nell'ermetico. Poche chiacchiere (non a caso il personaggio di Clementi è praticamente muto), a parlare sono le immagini (le strade di Milano disseminate di cadaveri), il contesto futuristico eppure tangibile, l'intrigante e grottesca odissea dei due protagonisti. Il secondo tempo vive un po' di rendita, ma il film convince e avvince. Buon cast, sapiente utilizzo di riferimenti "alti", gustosa OST morriconiana dal sapore tortilla-western. Bel film.
Liberamente tratto dalla tragedia di Sofocle che dà il nome alla protagonista (Britt Ekland). La Cavani non si schiera da nessuna parte e pone domande che più che dare risposte. Cosa è più auspicabile in una società civile? L'ordine mantenuto a discapito della libertà o una libertà senza ordine? I ribelli sono comunque necessari al potere, che così può dimostrare la sua forza. Sembra un ciclo che si ripete all'infinito, ogni volta lasciando vittime in una storia che sembra senza soluzioni, ma portando ogni volta a fatica un briciolo di cambiamento.
Ogni epoca - la nostra compresa - ha la sua Antigone, il disprezzato baluardo della disobbedienza civile che si erge contro un potere cieco, violento e oppressivo (a livello sociale, economico, di genere). Lo spunto narrativo è solare e dalle nobili radici storiche, lo sviluppo sostanzialmente unidirezionale, la metafora esplicita (anche nella scelta di Clementi come coprotagonista incapace di comunicare e quindi simbolo vivente di emarginazione sociale); forse, qualche non detto in più avrebbe reso il film ancora migliore di quello che è già.
Ispirandosi all' Antigone di Sofocle, Liliana Cavani tenta di traferire la scena nella contemporaneità, dove le tematiche di scontro fra libertà di espressione e conformismo (fra sentimento e potere) sono le stesse da che è nato il mondo. Un film di alto impegno politico, dove la rappresentazione delle idee è affidata a un registro surreale e simbolico, dove le immagini e la fotografia fanno la parte del leone.
Film praticamente muto, l'estetica è teatralmente evocativa. Ma è anche per intero ricompreso nell'allegoria, circostanza che l'ha invecchiato di colpo non appena quello spunto s'è fatto maniera. Si può leggere in diversi modi - i sessantottini uccisi dalla disillusione, dal potere paternalistico e dalla pubblicità, il mito sofocleo dell'Antigone divisa tra norma e etica - ma tutti precipitano in un punto, il contesto del 1970 (un anno dopo piazza Fontana) su cui si misurò con ben altra dirompenza Elio Petri. Molte scene di gran taglio fotografico. Clementi cristologico.
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