Rassegna estiva: Italian Graffiti d'agosto Maselli guarda a Antonioni e a Visconti, ma le manca una personale vena autoriale e il film ne risente.
Freddo, prolisso e noiosetto esercizio di stile che racconta del nulla, dove le uniche cose che rimangono sono la decadenza della famiglia altoborghese in disfacimento e la suggestiva fotografia, fatta di chiaroscuri, di Gianni Di Venanzo.
Impianto teatraleggiante piuttosto statico, riverberi goticheggianti nell'immenso giardino della funerea villa con fontana, eppoi una marea di dialoghi più o meno interessanti (che sfociano nel didascalico come quelle del ribelle rampollo di Tomas Milian) e le solite manfrine degli amorazzi incrociati e della fredezza dei sentimenti.
Non si capisce poi il perchè Maselli abbia preso attori stranieri (quando il nostro cinema, all'epoca, pululava di mostri sacri) e l'unica italiana sia la Cardinale (personaggio piuttosto sciapetto e incolore la sua Carla), che seppur mastodontici (Steiger e la Winters su tutti) mancano di quell'italianità tipica di quel periodo.
Ma aldilà della scelta del cast, l'opera maselliana (seppur abbagliata da bellissimi primi piani e da scenografie esteticamente notevoli-si veda l'appartamento di Steiger-) risulta asettica, senza particolari slanci emotivi, che ciondola nella sua verbosità sterile e nella sua tediosa messa in scena.
A poco servono gli slanci pseudoincestuosi di Steiger verso la Cardinale, la Winters che si mostra insospettabilmente sexy in sottoveste nera nel letto con Milian, la crisi della Goddard che si strappa la collana di perle, la chiusa con la Goddard truccata dalla Cardinale, che diventa una maschera grottesca di vecchiume funereo alla
Viale del tramonto, le uscite notturne di Milian sotto una pioggia battente, i ritratti da fosco melodramma nella penombra dell'immensa villa.
Manca la passionalità, la carnalità, il livore, e tutto si risolve in una messa in scena tanto stucchevole quanto ben poco coinvolgente, dove Maselli pare più interessato alla forma che non alla sostanza, pescando dalla decadenza viscontiana e dall'incomunicabilità antonioniana , senza averne l'occhio impietoso e cinico.
Di scarso interesse gli intrallazzi amorosi (manca la morbosità, o almeno, non è stata pervenuta, dove Steiger diventa una specie di playboy di mezza età, anzichè essere un untuoso vecchiaccio viscido e libidinoso) e men che meno la villona data all'asta su cui il personaggio di Steiger ci specula sopra.
La colonna sonora di Giovanni Fusco, sui titoli di coda, assume poi le sonorità di uno spaghetti western (sentire per credere).
Non resta poi molto del pomposo e algido drammone del buon Citto, se non appunto l'indifferenza spettatoriale di quel che si racconta e passa sullo schermo.
Note a margine: Mi accorgo ora che per la rassegna avevo scelto
I delfini (sempre di Maselli) , leggendo prima alcuni commenti per indirizzarmi. A film finito noto che i commenti non corrispondevano con
Gli indifferenti, faccio mente locale e mi rendo conto di aver sbagliato ad acquistare il film, al posto de
I delfini ho preso a occhi chiusi
Gli indifferenti, convinto che fosse
I delfini.
Ormai il dardo è tratto.