La palese dimostrazione della grandezza di Lang, il quale riesce, partendo da un soggetto non certo originalissimo e di altà qualità, a dar vita ad un film per nulla banale (basti vedere lo scioglimento dell'intreccio... un vero gioiellino) in cui riesce a trattare alcune tematiche del suo cinema, elevando il film da semplice operzione commerciale a piccola perla del noir. Inutile dire che tecnicamente è innapuntabile. Piccolo cameo per Nat "King" Cole.
È possibile aver ucciso un uomo e non ricordarlo? È questo l'incubo che la giovane Norah inizia a vivere al risveglio da una notte di alcol e di follie. Se il film restasse incentrato sul dilemma interiore della protagonista, sarebbe un tesissimo, angoscioso noir. Invece, viene posto in maggior risalto il conflitto tra le indagini non autorizzate di un giornalista e quelle ufficiali della polizia. Rimane comunque un ottimo poliziesco, arricchito da una giusta dose di humor.
MEMORABILE: La serata nel night club, con Nat King Cole che canta "Blue Gardenia".
Non mi pare possa essere avvicinato ai migliori lavori del regista tedesco: la trama non brilla certo per originalità (anche se, forse, nel 1953 l'idea poteva essere stata ancora sfruttata poco) e la sceneggiatura ha sviluppi piuttosto precipitosi e poco credibili. Comunque la mano di Lang c'è e riesce a sollevare un po' il livello del film. Buona la prova della Baxter, molto meglio di quella di Conte. Burr risulta abbastanza odioso, ma giustamente è quello che la parte richiedeva. Comunque merita una visione.
Opera minore nella filmografia di un maestro, per la scarsa originalità della storia, certi passaggi troppo sbrigativi o implausibili (tipo l'innamoramento fulmineo del giornalista), uno scioglimento dell'inghippo tirato via, interpretazioni non particolarmente memorabili. Rimane una certa eleganza formale, l'atmosfera creata dalla voce di Nat King Cole (che si esibisce al piano nella parte di se stesso) e il gusto di alcuni particolari, come il volto di Burr - dongiovanni dallo sguardo languido - riflesso nello specchio che viene frantumato.
Una giovane donna, fedele e premurosa, viene crudelmente liquidata dal compagno partito per la Corea; per dimenticare, la ragazza si getta tra le grinfie di un mefitico donnaiolo. Da qui il pretesto per uno svolgimento che non rappresenterà uno che sia un uomo degno di questo nome. Profittatori, superficiali, materialisti, menzogneri, doppiogiochisti... A ben vedere neanche la protagonista ci fa una bella figura: ingenua come una lattante. Leggermente artificio il turbillon finale, apprezabile tuttavia l'indizio ad inizio pellicola. Datato.
La mano di Lang si riconosce nonostante il film non sia uno dei suoi migliori. La storia non sarebbe male, eccettuati alcuni punti tirati un po' via, ma secondo me la scelta dei due interpreti maschili, contrapposti alla brava Anne Baxter, è stata completamente sbagliata. Raymond Burr è più che antipatico e questo va bene, ma la sua corpulenza e i suoi occhi non sono adatti alla parte di ritrattista dongiovanni. Richard Conte non è l'eroe che fa innamorare, ma viceversa sarebbe andato bene nella parte di Burr. Rimane un'ottima fotografia da noir.
Se da un lato si assiste all’ennesima, pleonastica dimostrazione del talento visivo del regista – l’eleganza della messa in scena, gli specchi, gli immancabili chiaroscuri, il vortice onirico che accompagna il deliquio della Baxter - , dall’altro se ne evidenziano i limiti narrativi, affioranti nella fragilità dell’intreccio e nelle lentezze che inceppano tutta la seconda parte. Unica interpretazione rimarchevole è quella di Burr, specializzato in personaggi più o meno secondari e negativi prima di riscattarsi con i successi di Perry Mason e Ironside.
Dopo l'embargo maccartista, Lang gira un film di genere senza troppe pretese. Un delitto, una subdola campagna stampa, un'indagine che cerca solo un colpevole da dare in pasto al pubblico. E il tema della rimozione dei fatti, l'assunzione di colpa per un fatto che forse non si è commesso, che porta a un'ingiusta condanna ma che risponde al bisogno di liberari dal peso dei sospetti. Le spie nascoste nei luoghi più impensati. Che Lang, oltre al delitto della Gardenia Blu, stesse pensando ad altro? Come al solito, impeccabile fotografia di Musuraca.
Lang è un signore della cinepresa, anche quando deve gestire una storia scialbotta e con falle logiche (soprattutto nel finale astruso). Interessante il tema della stampa, col giornalista che guida il gioco indagatorio condizionando il comportamento dell’assassina smemorata fino a farla costituire a lui stesso. Ma i rari momenti d’effetto (lei che entra nella redazione al buio) galleggiano nell’ovvietà, sospesa fra atmosfera thriller e retrogusto sentimentale. Senza infamia e senza lode, col cameo (piatto pure quello) di Nat King Cole.
Più artista della mise-en-scene che organizzatore della narrazione, Fritz Lang in questo film ci seduce con l’attizzatoio che frantuma il grande specchio sul caminetto, con la fioraia cieca capace di riconoscere il fruscio particolare di un vestito, con la stizzita critica all'universo spietato dei mass media. Schegge, frammenti del mondo, inghiottiti in una spirale vorticosa e che velocemente roteano nella mente debole della protagonista Norah che si crede autrice di un delitto... Film noir imperfetto ma dal grande fascino visivo. Regia inesorabile.
MEMORABILE: Raymond Burr si conferma attore di razza, molto portato per certi ruoli da "vilain": il suo Harry Prebble è un giornalista di rara antipatia.
Con le note di un giovanissimo Nat King Cole sembra consumarsi l'omicidio di un viscido playboy per mano di un implacabile attizzatoio. Fritz Lang abbandona gli usuali sfondi bellici tuffandosi nell'opulenza americana di quei tempi, dove abbondano il vizio e la superficialità, contrastati dal miracolo virtuoso di un singolo. L'ottimismo di una nazione che è una superpotenza. Thriller sociale di gran classe.
Ogni film di Lang parte da una base non comune a tutti che rappresenterebbe per molti un punto di arrivo. Il bianco e nero è elegante e il gioco di luci accurato, mentre nella costruzione delle scene e nella scelta delle inquadrature è assolutamente impeccabile. Basterebbe già questo per considerarlo un ottimo lavoro. Ha l’unico difetto, se così si può dire, di avere uno sviluppo della sceneggiatura “normale”, forse sbrigativa in alcuni passaggi, che in un’opera di Lang rappresenta quasi un anomalia poiché ci ha abituati a ben altro.
MEMORABILE: Il frammento di specchio che si rompe e riflette il viso della vittima.
Noir commerciale e normalizzato di Lang dove lo stile visuale e di conduzione degli attori del Maestro è gustabile solo per frammenti, poiché l'insieme, minato anche da una sceneggiatura artificiosa e a tratti paludata, non riesce a convincere. La splendida fotografia di Musuraca rende espressiva e vellutata la superficie, certi passaggi colpiscono l'immaginazione (la scena dello specchio, per esempio) ma è poco o è solo il minimo sindacale che basta giusto a incuriosire e a non sprofondare nell'indifferenza.
Bel dramma/giallo di Lang. I topoi del suo cinema ci sono tutti: qualcosa che non si ricorda sepolto sotto una brutta esperienza, un po' d'ironia caustica che non guasta, una donna tormentata protagonista, uso del bianco e nero esemplare in fotografia (anche ad accentuare luci e ombre della situazione). Il ritmo è svelto, la sceneggiatura ben scritta e con momenti davvero riusciti e anche brillanti. Bravissima la Baxter, in parte Conte e uno sgradevolissimo Burr (ripreso poi da Hitchcock). Finale prevedibile, per i fruitori del genere.
Bellissimo noir firmato Fritz Lang che tiene con il fiato sospeso sino alla fine. Una donna addolorata dalla notizia che il suo fidanzato si è innamorato di un'altra donna finisce ubriaca tra le mani di un Don Giovanni. Nel cercare di proteggersi lo colpirà con un attizzatoio. Musiche e atmosfere al top per un grande classico del cinema che non si può non vedere almeno una volta nella vita.
Il ritorno di Fritz Lang a Hollywood non è dei più memorabili. La storia infatti è scialba, sia nella sua idea principale che nei contenuti e nel suo svolgimento. Sono parecchie le cose poco credibili. A salvare la pellicola è la mano del maestro, che si intravede sempre, anche in pellicole non esaltanti come queste. Alcune scelte registiche e fotografiche sono da manuale. Peccato siano inserite in un film che forse non lo meritava. Altro punto a favore, la presenza di Nat King Cole.
Noir estremamente femminile ma non del tutto femminista nel quale gli uomini sono tutti tronfi e al potere e le donne belle come trofei da esibire. Paradigma distorto ma che porta con sé i connotati tipici della società degli anni 50: dal boom economico al trionfo dei mass media. La regia di Fritz Lang è incalzante e la Baxter una protagonista perfetta. Da riscoprire.
Primi venti minuti da commedia sentimentale, poi si consuma il misfatto ed entriamo in ambito noir e nelle tematiche più care a Lang (il labile confine tra colpevolezza e innocenza, il senso di colpa, l’invadenza dei media), che anche qui regala alcuni lampi della sua classe. Resta comunque opera minore nella sua filmografia, anche a causa di uno scioglimento fin troppo repentino e conciliante. Molto brava la Baxter, mentre Conte e Burr avrebbero probabilmente funzionato meglio a ruoli invertiti.
MEMORABILE: Lo specchio frantumato dall'attizzatoio; La testimonianza della vecchia fioraia cieca.
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Con questo film Lang torna a girare dopo un periodo di forzata inattività dovuta la maccartismo. Il suo nome fu, infatti, segnalato come comunista "potenziale" e tanto bastò per fermare la sua carriera. Tuttavia ad altri è andata decisamente peggio. La loro carriera fu completamente stroncata e non si ripresero più.