Lungometraggio che forma una specie di dittico con I pugni in tasca (Bellocchio appare con l'abito da frate). Il punto di contatto è quello di voler presentare Francesco come una sorta di rivoluzionario sessantottino: il film è infatti girato con un occhio rivolto a quello che stava succedendo in America (da qui il sermone che sembra più un'accolita di hippie che altro). Per il resto si può dire che la povertà predicata da Francesco si attacchi ad ogni cosa; come le scenografie: memorabile quella della corte papale, talmente disadorna e spoglia da sembrare più che altro una cripta.
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Continuo qui la recensione: la consulenza storica di Boris Ulianich non risparmia stoccate alla Chiesa del duecento: interessante infatti l'informazione che ci viene data sui preti di quell'epoca tenuti liberi (tramite il pagamento di una tassa) di tenersi concubine e figli delle stesse in casa. Il papa e il vescovo vorrebbero porsi in contrasto con questa usanza ma di fatto rimangono impotenti. Ed è proprio qui che la povertà di Francesco porta il suo simbolo rivoluzionario e da "i pugni in tasca": nel film è evidente che il distacco dalla famiglia(il padre è un mercante usuraio) appare come rinuncia ai beni e al vivere borghesi. Altro aspetto interessante la discendenza del film da Sergio Leone:nel film sono infatti memorabili gli stretti primi piani sulle facce scavate dalla povertà dei frati e la musica di Peppino de Luca è palesemente morriconiana.