L'attacco è di quelli potenti: un bel pezzo ritmato firmato da Franco Campanini ed eseguito da tali Panama Red (fosse stato solo strumentale sarebbe stato meglio). Si entra subito nel clima teso di un film che alterna azione a base (spesso) di truculentissimi ettetti speciali a fasi più riflessive in cui le due star Enrico Maria Salerno e Joe Dallesandro (insieme ai suoi due amici) si dividono la scena. I due s'incontrano in un centro informatico, dove il secondo lavora come impiegato ai computer e il primo frequenta un corso di Cobol, un linguaggio di programmazione tuttora esistente. E' un commissario, trasferito dalla mobile a un lavoro meno d'azione a causa del solito...Leggi tutto "eccesso di reazione" contro un malvivente. Toccherà a lui indagare sugli efferati omicidi che proprio Dallesandro (in apparenza un un giovane rispettabilissimo) e due suoi coetanei compiono nella Torino degli anni di piombo. Begli scambi di battute, dialoghi leggermente sopra la media soprattutto quando in scena c'è Salerno, alle prese con colleghi a corto d'intelligenza sullo sfondo di una Torino in cui il fenomeno dell'immigrazione è molto sentito. Effetti speciali sanguinosi ma un po' tanto artigianali, violenza cieca e la noia di giovani pronti a seguire le gesta dell'Alex di ARANCIA MECCANICA o di chi, nel 1975, commise la terribile strage del Circeo. Un prodotto scritto e diretto con mestiere, discretamente avvincente. Buono.
Arancia meccanica in salsa sabauda? Solo in parte... ad una trama spesso inverosimile si accompagna per fortuna una buona realizzazione. Molta violenza ed almeno un paio di sequenze davvero ben dirette, anche se Sal Borgese doppiato in veneto non può che far sorridere, ed il tema musicale (bello, di Franco Campanino) è ripetuto un po' troppe volte. Ma nel complesso è un buon film, che per di più ha un'ambientazione molto efficace. Da riscoprire.
Nella società industriale si annida il morbo della violenza gratuita che colpisce la piccola borghesia materialista, annoiata e stressata: tesi interessante, condotta tuttavia sotto forma di una disturbante e monotona escalation di nefandezze (risse, stupri, omicidi, investimenti con l'auto) sulle orme di Arancia meccanica. Dallesandro e De Grassi sono sempre perfetti come teppisti, analogamente a Salerno nel ruolo di un commissario intuitivo e dal grilletto che non perdona. Nella rissa allo stadio si notano Galimberti e Capanna.
Stupendo esempio di cinema. Contesto a questo film solo alcune scene di eccessiva violenza che lo rendono grottesco (una su tutte quella del muletto). Stupendo Dallesandro e grande sopratutto Enrico Maria Salerno. Film che incalza sopratutto nel finale.
Un film che nonostante l'ambientazione e le musiche anni '70 (un prog-rock che rimane in mente) riesce comunque a risultare molto attuale, visto il tema della violenza urbana sempre più gratuita e dilagante; qui l'attacco è però rivolto alla classe borghese. I tre disgraziati sono ben interpretati da un Dallesandro particolarmente ispirato e dai validi De Grassi (sempre inquietante) e De Carli; bravo come sempre anche Salerno. Efficaci le scene di violenza e il finale cinico.
MEMORABILE: L'impressionante scena del muletto, veramente brutale; Dallesandro che ordina la bara per telefono; il finale.
Cinema di genere rozzo ma godibile sul tema dei ragazzi borghesi annoiati e violenti, con un occhio a Kubrick e un altro al poliziottesco. La regia non bada alla forma e punta tutto sugli effetti, con ritmo veloce e alcune scene (tagliate in certe versioni) di una violenza che sfiora il grottesco. Dallesandro inespressivo come al solito, Enrico Maria Salerno (fratello del regista) nella solita parte del commissario funziona, così come De Grassi e De Carli in quella degli altri due "drughi" nostrani. Incalzante colonna sonora rock. Niente male.
Addetto ai calcolatori elettronici intravede una via di fuga al grigiore di una vita da passare al lavoro: si applica, con crescente carriera e accompagnato da alcuni colleghi, a compiere atti criminali destinati a sfociare in un omicidio. Sulle sue tracce si mette il commissario Santagà. Interessante noir diretto dal fratello di Enrico Maria Salerno (anche qui, ancora una volta, nei panni del commissario) e co-sceneggiato da Gastaldi. può contare sull'indovinato anti-eroe wharoliano Dallesandro.
Ciò che inquieta veramente, nel rivedere questo bello e intenso film di denuncia dei mali oscuri delle società avanzate diretto da Vittorio Salerno, è constatare che il film sembra girato ieri, non 35 anni fa! Infatti non è cambato niente: ci si continua ad accoltellare negli stadi, a stuprare, a uccidere per banali motivi di traffico, a scaricare nevrosi e frustazioni nela violenza urbana spesso gratuita, senza alcun rispetto per la dignità umana. Secondo me il buon Dio un giorno o l'altro ci manda un bel fulmine a ciel sereno! Cristo, dove sei?
MEMORABILE: Ovidio: "Questa società produce di tutto... Non potrebbe generare anche mostri?" Commissario Santaga': "Già... perché no?" Ovidio: "Infatti, perché no?"
Ben diretto da Vittorio Salerno, questo film sorprende per la freschezza e il ritmo e ci immerge nella violenza urbana della Torino degli anni di piombo. È un viaggio senza ritorno e senza speranza, un crudo ritratto delle folli gesta di 3 disgraziati annoiati che stuprano e ammazzano per divertirsi un po'. Molto bravi Dallesandro, De Grassi e il terzo compagno di merende (colui che in Reazione a catena di Bava si beccava la mannajata in pieno volto) e solito marpione il grande Enrico Maria Salerno... Da vedere.
Come una band degli Anni Settanta che suoni live nel 2010, il film è tanto invecchiato bene nello spirito quanto gremito d'impietose rughe a solcarne il viso. Le anacronistiche (per dinamica) risse da stadio, il pestaggio a rallenty esasperato, il proto-calcolatore modulare che sfancula il mondo: hanno quella consistenza ammuffita del cracker lasciato troppi giorni nella dispensa. Al contrario l'alienazione del trio di balordi, la maschera amara e vendicativa di Salerno, il prog, e non ultima l'assurda presenza scenica di Dallesandro riflettono l'immagine d'un film molto più che coevo.
MEMORABILE: Sulle cavie: "C'è sempre uno che comincia a mordere gli altri"; "E succede anche agli uomini?"; "...se qualcuno li mette in gabbia"; Stacco: stadio.
Discreto film dai ritmi e gli svolgimenti godibili che pur non convincendo sul piano
delle "tesi" portate avanti, si dimostra efficace sul piano dello spettacolo anche se a tratti troppo inverosimile pur non essendo poi così lontano dalla realtà e dai nostri tempi (per ciò che riguarda la violenza gratuita di certi fatti di cronaca)
Al solito simpatico il canagliesco Dallesandro. Molto violento e perciò difficile da vedere in versione integrale.
MEMORABILE: La telefonata di Dallesandro per un "ordine" molto particolare mentre la moglie mangia la zuppa inglese con "sorpresa".
Joe D'Allesandro è come la Garbo: non si sa se sappia recitare ma è perfetto. E anche in questo film del fratello di Enrico Maria buca lo schermo alla grande. Un po' Arancia Meccanica, un po' poliziottesco, è stranamente un mix di taglio con scure e riflessione. Breve e spartano, sbrigativo ma talvolta costruito bene. Si sente un po' la mano di Balestrini e sebbene sia un piccolo film il sentore 70 c'è appieno. Il pericolo sembra annidarsi nei piccoli borghesi, anche il "buono" nasconde desideri violenti. Piccolo film e invisibile; ma da recuperare.
MEMORABILE: L'ordinazione della bara della moglie mentre questa si sbafa una zuppa inglese all'arsenico.
Tre giovinastri insospettabili ed ineccepibili lavoratori diventano senza un motivo apparente degli spietati assassini, lasciando una lunga quanto illogica scia di sangue. L'alienazione umana che porta alla violenza efferata è vista con un discreto taglio narrativo anche se, lievemente, si punta pure al sensazionalismo.
Il più piccolo dei Salerno dirige questa sconcertante storia di stanchi giovinastri qualunque, tran-tran lavorativi disumanizzanti e nevrotiche propensioni represse da sfogare in sperimentali scorribande teppistiche. Sul valido terzetto di protagonisti spicca il warholiano Dallesandro, in un personaggio vagamente ispirato al McDowell di Arancia meccanica, con in più una dose di diabolico charme alla Helmut Berger. La violenza esibita è di quelle senza compromessi, tipica dei selvaggi anni '70. Un Quattro bravi ragazzi ante litteram ma molto più paradigmatico.
MEMORABILE: L'incredibile realismo della scena con la donna infilzata senza pietà dalla pala di un muletto: una delle sequenze più barbare e gratuite mai viste!
Indubbiamente è un buon film, ma da due mostri sacri come Dallesandro e De Grassi, viste le prestazioni magistrali ad esempio ne il Tempo degli assassini e ne L'ultimo treno della notte, ci si aspettava una valorizzazione da cinque pallini. Di grande interesse il concetto dell'omicidio ecologico, scoppiato come un virus di Ebola nei decenni successivi. Trovate al limite del pulp, forti emozioni, ottima colonna sonora... ma il film non agisce come un blocco di marmo e ha anche dei cali... paragonarlo ad Arancia meccanica è una parola grossa. Ok Salerno.
MEMORABILE: "Siamo invitati a cena dal primario" "Che mangiamo? Mammelle neoplastiche infarcite di coglioni con orchite?".
Piccolo grande film che compendia in poco tempo gli stilemi del genere senza inventarsi ridicole giravolte o improbabili stili di ripresa, cosa frequente nel periodo. La trama è leggermente forzata ma la narrazione è lineare e contiene diverse perle di grezza perfidia e acuta riflessione sociale. Grande il sound di Campanino, attori intonati tra cui riesce ad emergere addirittura Dallesandro. Peccato per i tagli nella versione da 80' e per non aver sviluppato il tema del calcolatore/laboratorio.
MEMORABILE: Il parallelo topi/tifosi. "Scava, scava". L'ordine per la moglie.
Non mi ha convinto completamente. Ci sono ottime intuizioni sociali (stressor devastanti, la massa violenta senza cervello, l'assoluta alienazione dalla vita che porta alla dissoluzione dell'esistenza), ma lo sviluppo è statico ed inopportunamente dotato di parti ironiche (l'impallinata). Anche il grande Maria Salerno è meno incisivo del solito, ma forse è solo il suo ruolo che è stato previsto in quel modo. C'è anche qualche ingenuità (come non identificare subito i balordi, dai), ma ci sono anche scene di forte impatto, comprensibilmente vietatissime.
Vittorio Salerno dirige discretamente, mettendo sotto accusa la classe borghese: instabile, oppressa e frustrata, capace di nefandezze d'ogni sorta. Diversi momenti imperdibili (l'aggressione al camionista; l'incredibile scena del muletto); meno interessanti l'indagine poliziesca e il personaggio di Enrico Maria Salerno. Incalzante, anche se un po' invadente, la musica di Franco Campanino. Splendida la battuta finale.
L'ho trovato veramente interessante, precursore di tematiche attuali e non lantane dalla realtà. La noia di un'esistenza, la voglia di superare oltremodo tutti i limiti attraverso un prodotto finito quale è la violenza! Bravo il regista che associa i momenti di più intima depravazione ai movimenti sistematici e ripetitivi dei calcolatori del centro meccanografico; meno entusiasmante il fratello con la soluzione del caso fra le mani... Pittoresca la scena in Piazza Palazzo di Città, con quei corpi straziati e sanguinanti.
Arancia meccanica incontra il poliziottesco, si potrebbe dire. Il risultato, lungi dall'essere paragonabile al film di Kubrick, è comunque buono e, straordinariamente per il genere, anche attuale. Brutalità assortite, a tratti quasi grottesche e narrazione veloce e dinamica, senza tempi morti.
Ottimo esempio misconosciuto di film "sociologico". Fango bollente è un omaggio evidente al masterpiece di Kubrickiana memoria con tre drughi nostrani alle prese con un climax crescente di malefatte ai danni dei malcapitati di turno. Dallesandro ottimo, così come il sempre eccellente De Grassi, che già aveva sfoderato una prova maiuscola ne L'ultimo treno della notte di Lado. Notevoli alcune scene e colonna sonora leggendaria. Ottimo.
Ha qualcosa di interessante che non so ben spiegare, seppure ci sia la solita escalation di violenza qui motivata solo dalla monotonia e da poco altro. Ci sono scene notevoli (la più disturbante a mio avviso è la torta con arsenico e telefonata in diretta). Buona la regia di Salerno. Da visionare necessariamente in versione integrale, da 84 minuti e passa.
Con le sue problematiche relative a integrazione, immigrazione e lavoro, Torino si rivela cornice ideale per questa interessante riflessione sulla violenza dilagante nella società industriale, frutto del malessere e dello stress di cui soffre soprattutto la piccola borghesia. Il ritmo serrato impresso alla vicenda impedisce un’analisi approfondita del percorso che trasforma i protagonisti da impiegati modello a feroci criminali, ma è comunque un prodotto che va oltre i canoni del genere. Buona prova del cast e belle musiche di Franco Campanino.
MEMORABILE: L'omicidio della Scarpitta; La torta all'arsenico; Il finale.
Mantiene, nonostante il passar dei lustri, notevole provocatorietà cinematografica, scaturente paradossalmente dallo stesso crudo realismo spiccio che inficia tante pellicole del periodo. L'intuizione di Salerno jr. e Gastaldi è sottrarre la cifra stilistica della violenza reiterata al genere poliziottesco per innescarla in una rozza ma fruttuosa metafora metropolitana, che cita l'alienazione ferreriana e il grottesco di Petri. Non è un caso sia il ruolo più aderente del "ciclo" italiano di Dallesandro, capace di duettar con l'understatement di Salerno.
MEMORABILE: Il pappa e la prostituta appesi ai ganci; Il temibile volto sardonico di De Grassi; La battuta di caccia propedeutica alla promozione della Brochard.
Buon poliziesco di genere, con attori calati nelle rispettive parti e ruoli azzeccati in pieno. Le atmosfere sono quelle giuste, tipiche dei bassifondi, in odore di sporco e degrado. Iniettato di dosi di violenza psicologica e fisica, rende appieno le potenzialità di uno script duro, in stile Il poliziotto è marcio. Tra venature noir e il male oscuro di vivere, regole fai da te e una società che ti sta stretta. Cupo.
Forte del volto istituzionale del fratello e di quello underground di Dallesandro, il regista gira uno di quei polizieschi sui generis che vorrebbero intercettare anche il pubblico più snob. Purtroppo le ambizioni sociologiche della pellicola sono compromesse da una sceneggiatura superficiale e urlate da una regìa troppo didascalica (le cavie in gabbia accostate ai tifosi nello stadio). Migliore il secondo tempo, salvato da gustosi picchi di cattiveria (la bara ordinata per telefono, il beffardo finale aperto).
Come per Hanno cambiato faccia, vale per questo film la sentenza di Marcuse: "L'inferno di oggi è la tecnologia". La disumanizzazione del lavoro e dei rapporti personali ha come unico antidoto la disumanizzazione crescente dell'individuo: solo gli psicopatici sono a proprio agio. Salerno condisce questo reportage sociale con accensioni grottesche o di raggelante cinismo (il vecchio che chiede l'elemosina, l'avvelenamento). Ottimo Dallesandro, impassibile Italian psycho; bravo De Grassi; Enrico Maria Salerno si adegua con mestiere.
Strano ibrido di poliziottesco, noir e pulp "sociologico" derivato da Arancia meccanica, la storia di tre bravi impiegati che la sera si svagano commettendo delitti sempre più efferati. La profondità dell'analisi è quella che è, del resto i colpevoli non hanno altro movente che la noia di vivere. Non male il cast, su cui spicca il bravo Salerno, in un altro bel ruolo di commissario torinese dopo Un uomo, una città. I tre ragazzotti funzionano, meno i ruoli di contorno. La "pochade" laterale con l'adulterio a fini di carriera è posticcio. Curioso.
Prodotto originale, terribilmente attuale sul tema della violenza scatenata dall'insulsa quotidianità e dal lavoro stressante; un'escalation di cattiverie gratuite verso chiunque incontri il terzetto di compari annoiati, cinici e sadici. Ottima prova per la coppia selvaggia De Grassi-Dallesandro e azzeccatissima la ost rock di Campanino. Da vedere.
MEMORABILE: I calcolatori elettronici; Le aggressioni.
Ottimo film di Salerno (anche sceneggiatore in tandem con Gastaldi), migliore dell'altro caso felicemente risolto. Tre colleghi trovano sfogo alle proprie frustranti esistenze con una violenza accentuata (non a caso è presente il ladiano De Grassi) ma non eccessiva. Molto bene Dallesandro nella consueta parte dell'ambizioso gangster, ma Salerno attore è eccezionale come sempre, riuscendo con la limpidezza interpretativa a migliorare anche le altrui performances. Straordinarie le scene dei raptus, specie quella ambientata nel capannone.
MEMORABILE: L'(in)calzante tema musicale della follia, un incrocio tra la strumentistica Black Sabbath e la voce in dissolvenza della beatlesiana Helter Skelter.
Tre giovani dall'aspetto inerme, sul luogo di lavoro, hanno il brutto vizio di diventare dei sadici nei momenti di disimpegno; il che si traduce in sonno eterno per chi ha la sventura d'averci a che fare. L'opera di Vittorio Salerno segue un filone violento che allora - in maniera in parte compiaciuta - esibiva scelleratezze alla mercé di un pubblico forse un po' smanioso. Rivisto con occhi contemporanei il film assume valore aggiunto per l'estetica Anni '70 e nel paragonare l'allora libertà di atti e concetti rispetto al bonario cinema d'oggidì.
Nel filone cinematografico sui figli annoiati e viziati dai padri che avevano fatto la resistenza si colloca a metà strada tra il pariolinismo e il nichilismo post industriale, con un deficit nella sceneggiatura che, con un più marcato sviluppo narrativo, avrebbe forse conferito diverso spessore all'intero film. Impeccabile, come sempre, Enrico Maria Salerno ma Joe Dallesandro non è affatto da meno; anzi, la psicosi del suo sguardo anticipa il De Niro di un Taxi che verrà.
MEMORABILE: "Se becco un paio di stronzi ci torno alla mobile, eccome se ci torno!" (Enrico Maria Salerno).
Tre impiegati in una fabbrica che produce elaboratori elettronici, stressati sia nella vita lavorativa che in quella familiare, commettono una serie di brutali omicidi mentre la polizia brancola nel buio indagando negli ambienti malavitosi. Ma un poliziotto testardo intuisce che potrebbe trattarsi di altro... Da uno spunto non dissimile, Kubrick aveva già girato un capolavoro. Qui siamo ovviamente in un'altra categoria ma non si può negare a questo film violento, scorretto ed anche volgare, una certa rozza efficacia che lo salva dalla banalità.
MEMORABILE: La sorpresa alla moglie che sta mangiando una torta
Tre giovinastri che lavorano in una grande azienda torinese, abbrutiti dalla meccanizzazione del lavoro e dalla povertà della loro vita privata, si dilettano a torturare e uccidere con sadica intenzione. Scordatevi Kubrick, qui solo derive sociologiche a buon mercato e tanta violenza verso i vari malcapitati di turno (camionisti, tassisti, prostitute ecc.). Alza il livello il buon Enrico Maria Salerno (diretto dal fratello) nel congeniale ruolo di ispettore paziente e implacabile.
Una domanda preventiva sul metodo d’analisi del film: si può condannare la dilagante violenza metropolitana dei ferrigni anni ‘70 girando un film traboccante di atrocità sadiche e saturo di violenza disturbante? Questa insincerità di fondo invalida, nel merito, la forza di denuncia civile e il vigore accusatorio della pellicola, che per il resto convince per l’interpretazione intensa ma allo stesso tempo meditativa di Enrico Maria Salerno e Joe Dallesandro, per una scrittura sbrigativa ma efficace, per un ritmo sostenuto e per la capacità di cogliere il clima culturale di un'epoca.
Poliziesco sorprendente, in cui non ci sono sparatorie e inseguimenti ma un crescendo inquietante di violenza psicologica e fisica (questa, però, nella versione televisiva tagliata non si vede). La storia funziona nonostante alcuni passaggi forzati (come mai Salerno sospetta da subito di Dallesandro?), i passaggi danno una certa emozione e gli attori sono bravi e credibili. Peccato per il commissario torinese che parla milanese, ma ci può stare.
MEMORABILE: La scena del portasigarette con le impronte digitali.
Dopo No, il caso è felicemente risolto, i fratelli Salerno ancora assieme, col fido Gastaldi a scrivere il soggetto: posto che l'accostamento a Kubrick è blasfemia (siamo più dalle parti di Lizzani, anche se nessuno dei tre scapicollati ha il carisma di Volonté/Canestraro), il film non annoia affatto, forte di ritmi piuttosto sostenuti e di una regia che non si perde in ciance. Salerno, col bastone, è un po' dimesso e non ha la tempra dei giorni migliori, mentre De Grassi, uno dei tre teppistelli, ha una somiglianza non casuale con il famigerato Alex Delarge.
Le gesta di tre criminali per caso: frustrati dal lavoro e annoiati, si scagliano contro una società già divisa, asfaltando divisioni sociali e gerarchie. Alle loro calcagna non il solito pisquano ma Enrico Maria Salerno, calato perfettamente nel ruolo di poliziotto tormentato, ingaggiato nella lotta sottile all'arroganza di un perfetto Dallesandro. Un poliziesco intriso di cinismo e di ottima fattura - forse un po' sbrigativo nell'avvio -, che intrattiene con ferocia senza mai scadere nel gratuito. Né messaggi né morali: nelle azioni forse, solo l'inizio del declino di una società.
MEMORABILE: L'inizio, con l'esperimento delle cavie e lo stadio; L'omicidio col muletto; La descrizione della "pelliccia" al telefono; L'ultimo atto negli uffici.
Pur pagando il budget non altissimo e la natura evidentemente derivativa, il film di Vittorio Salerno individua con chiarezza il marcio di una società in rapida evoluzione dipingendo il nichilismo dei tre protagonisti con tinte forti. A rimettere il tutto sul piano del poliziottesco ci pensa suo fratello Enrico Maria che cesella col talento dei grandi un commissario tignoso e ostinato nella ricerca della verità meno ovvia. Un film che pur nella sua rozzezza riesce a farsi seguire con un certo coinvolgimento, grazie anche al buon ritmo impresso e ad alcune interessanti inquadrature.
MEMORABILE: Il ghigno fugace di Salerno di fronte al ragazzo impiccato; Gli occhi della Brochard.
Esseri "umani" (si fa per dire) come topi in gabbia, schiavi delle macchine e dell'orrore quotidiano: come si fa a non impazzire? Capolavoro imbevuto di nichilismo tetro che non fa sconti, apologo brutalissimo all'insegna del "no future" e dunque punk ante litteram, libero e politicamente scorretto, feroce come un rullo compressore che spacca tutto e tutti senza pietà. Una scheggia anarcoide di furia raramente vista anche nel coraggioso cinema dell'epoca. A distanza di quasi 50 anni le cose sono notevolmente peggiorate; ancora peggio, manca del tutto il coraggio per girare film così.
MEMORABILE: Il dialogo tra Dallesandro e la moglie a letto che oggi scatenerebbe, come minimo, mesi di feroci polemiche.
Trio di operai sfoga la propria alienazione nella violenza. La risposta allo stress tecnologico è materia interessante, anche se serve solo come scintilla per i vari crimini. Anche il ruolo del commissario che si riscatta non è disegnata molto bene. Di certo il crescendo è truculento al limite del sadico e cattura l'attenzione. Dallesandro (con serigrafie di Warhol in casa non casuali) dà il meglio come bieco marito e i suoi compari sono ben scelti. Ordinaria amministrazione per Enrico Maria Salerno. L'ironico finale dà la dimensione che il fenomeno sociale è difficile da arginare.
MEMORABILE: L'omicidio col muletto; Le impronte digitali sul portasigarette; L'ordine della bara; Il servizietto al primario.
Secondo poliziesco diretto da Vittorio Salerno; per quanto grottescamente improbabile in certe sue dinamiche, risulta nettamente superiore al precedente No, il caso è felicemente risolto sia a livello di sceneggiatura che di movente delle azioni criminali dei tre drughi. La violenza spaventa non tanto per la sua efferata brutalità ma per la sua continuità quotidiana che la porta a normalizzarsi e palesarsi nella società perbenista borghese
MEMORABILE: La moria dei topi; Il furto d'auto; L'omicidio della prostituta e del pappone; La torta all'arsenico; Il beffardo finale: "Ma voi stasera che fate?".
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DiscussioneZender • 15/11/20 07:40 Capo scrivano - 47726 interventi
Rileggendo un po' i vari commenti ho notato con gran divertimento che il nome di Joe Dallesandro continua a soffrire di storpiature ortografiche dure a morire (anche da parte del sottoscritto, eheh):
"Dalessandro", con una l e due s (Gestarsh99) "Dalessanro", con una l, due s e senza d (Giùan) "D'alessandro", con l'apostofo, una l e due s (Graf) "D'Allesandro", con l'apostrofo (Reeves)
Caro Zender, come dice giustamente Gestarsh99 urge la correzione da "D'alessandro" a Dallesandro nella mia recensione del film...Ho commesso ben tre errori di ortografia in una sola parola...Una specie di record.. Poi, anche se confermo le mie serie riserve al film, alzerei il mio giudizio da due pallini a due pallini e mezzo. Grazie.
DiscussioneZender • 17/11/20 08:04 Capo scrivano - 47726 interventi
Curioso che non l'abbia corretto, ne avrò corretti non meno di duecento di Dallesandri scritti male in questi anni. Ancor più dei Johnny Deep al posto di Depp e dei Mastrandrea invece di Mastandrea.
"Probabilmente, all'origine, il cognome di famiglia era "D'Alessandro", poi storpiato da una di quelle errate trascrizioni anagrafiche in cui incapparono molti nostri compaesani emigrati negi Usa durante i due scorsi secoli (tra cui anche gli avi del nostro Joe)."
@ Zender Gli altri refusi che ho segnalato sopra sono sfuggiti alla correzione :)
DiscussioneZender • 17/11/20 15:37 Capo scrivano - 47726 interventi
Ahah devo essere proprio doppiamente bollito: primo per non averli corretti al tempo, secondo per non essermi accorto che le correzioni erano ben quattro! Grazie Gest.