La lei del titolo è Juliette, una donna che per far quadrare i conti si prostituisce nel tempo libero, ma è anche (anzi, soprattutto) Parigi, filmata da Godard nel pieno di una vasta riorganizzazione urbanistica che la rrasforma in un immenso cantiere. Film-saggio, tanto palloso e datato negli assunti quanto affascinante nella messa in scena (la sintesi del cinema di JLG!). Maneggiare con cura in presenza di terzi, lo scrivente con un'incauta visione anni fa mise a repentaglio l'imminente matrimonio.
MEMORABILE: Un saggio di virtuosisimo nella ripresa di... una tazzina di caffè!
Attraverso lo stile tipico dei suoi film, Godard radiografa in maniera impietosa una società francese ormai allo sbando poiché succube di un consumismo in nome del quale e per soddisfare i cui bisogni le donne si prostituiscono senza che gli intellettuali (di sinistra) riescano a fare qualcosa di concreto se non chiudersi nella loro inanità. Il cambiamento (cui allude la ristrutturazione urbana di Parigi) quindi non è che di facciata e mai reale. Come sempre in questi casi non per tutti i gusti.
Film-documentario sulla trasformazione di Parigi e di chi la abita nel contesto del boom economico. Proprio come la città, ogni persona, oggetto o relazione diviene altro da sé nell'ottica deformante del consumismo. In pratica, diviene merce. Interessante come saggio di cinema alternativo, mi ha colpita in particolare quando descrive, l'effetto "anestetizzante" del denaro sui rapporti interpersonali e sul sesso che, una volta mercificato, si trasforma in qualcosa di tragicamente asettico.
Godard punta l'obiettivo sulla nuova Parigi degli anni 60 e il suo giudizio è impietoso. I nuovi piccolo-borghesi sono ai suoi occhi solo personaggi vuoti, senza coscienza di sé, marionette nelle mani del Sistema. In fondo sia Juliette (che si prostituisce per qualche vestito firmato) che il marito (che coltiva hobby "impegnati") hanno un solo scopo nella vita: la fuga dalla mediocrità. Il taglio sperimentale della pellicola ben si adatta al tema; ottima anche la fotografia. Per molti aspetti datato e talvolta pedante, è comunque un buon film.
"Mamma cos'è il linguaggio? "La casa dove abitano gli uomini"; una chiave davvero decisiva per capire questo film, del periodo marxista-leninista, il più ricordato. Linguaggio cinematografico, delle persone, dei luoghi. Per casa si intende scelta di vita. Quella che si prospetta nei nuovi quartieri parigini è disumana così come disumana è la scelta impassibile della protagonista di prostituirsi. Godard non vuole farsi amare, in parte risente dell'epoca ma un film che scruti il nostro presente a così multipli livelli e ci metta in discussione oggi non c'è.
MEMORABILE: La schiuma del caffè che sembra diventare divisione di cellule.
Praticamente un monologo di Godard. Non solo quando sottovoce fa le sue osservazioni, lo è anche nelle parole e nelle azioni dei personaggi. Chi è la lei del titolo? Un titolo ingannevole, a colpo d'occhio si può pensare che sia la storia di una donna, una donna che, evidentemente ha dei segreti, come tutti hanno, ma quelli di lei più particolari. C'è anche un po' di questo. Forse la lei del titolo è la società di allora che Godard analizza dal suo punto di vista (non so quanto di sinistra), piuttosto pessimista, ma purtroppo realista.
Uno dei film davvero strategici nella filmografia di Godard, giocato come sempre sulle parole (la lei del titolo è la città di Parigi) ma senza mai cadere in calembour gratuiti. Il film è uno spietato atto d'accusa verso il consumismo e la mercificazione dei rapporti tra le persone e al tempo stesso la dimostrazione che il cinema tradizionale stava troppo stretto a Godard e alla sua furia iconoclasta. Lucido, estremo, interessante anche quando è (volutamente) sgradevole.
Una specie di docu-inchiesta per denunciare la politica di sinistra che appiattisce la bellezza di Parigi, affiancando col ruolo della Vlady il consumismo del singolo nella vita quotidiana. Godard è originale nel destrutturare la vicenda tra voce fuori campo concettuale, attori che dichiarano i loro personaggi e personaggi come pedine senza voce. Il pessimismo esistenziale (compreso il Vietnam) è non a caso nel ruolo da prostituta della protagonista, che prima denota vergogna, poi diviene totalmente indifferente. Verso la conclusione perde qualcosa a livello di incisività.
MEMORABILE: Il rossetto per non farsi baciare; I palazzoni nuovi; “Non ancora morta”.
Superato un certo soporifero effetto Cineforum di fantozziana memoria, Godard passa al setaccio le storture di una società in pieno sconvolgimento come la Francia degli anni '60. La profonda trasformazione urbanistica di Parigi fornisce il pretesto giusto per un lungo j'accuse del regista contro mercificazione dei sentimenti, alienazione dell'essere e consumismo infiltrante. Girato in maniera qua e là geniale, scientificamente spietato con tutti, paga appunto questa impostazione iperintellettualistica, ormai (purtroppo ma anche per fortuna) irrimediabilmente datata. Magnifica Vlady.
Sullo sfondo di una Parigi alla vigilia del '68 dove fervono imponenti lavori di ristrutturazione urbanistica, Godard segue con lo sguardo freddo e indagatore di un entomologo la vita quotidiana di Juliette, un'anonima casalinga sposata che occasionalmente si prostituisce per soddisfare i suoi desideri consumistici e che assurge a simbolo di un'umanità disillusa e indifferente. I vividi colori della fotografia, ispirata all'estetica degli spot pubblicitari, ne fanno un'esperienza visivamente affascinante, ma i datatissimi riferimenti politico-ideologici accusano il preso degli anni.
MEMORABILE: "Gli oggetti inanimati sono sempre vivi mentre molte persone vive sono già morte".
Jean-Luc Godard HA DIRETTO ANCHE...
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