Pamphlet contro gli errori e gli abusi della giustizia e contro la pena capitale. Il tema è risaputo e trattato in modo un po’ troppo affrettato e semplicistico, ma la sceneggiatura – cui partecipa il valente Clerici – si colorisce di differenti registri (un inizio idilliaco, una parte di mezzo descrittiva, l’angosciante finale giudiziario) e tutto il cast è ottimo: accanto a Delon ci sono la dolce Farmer, il flemmatico Gabin (doppiato da Cigoli), il persecutore Bouquet e – ad onore della quota italiana – Alberti e la graziosissima Occhini.
MEMORABILE: Durante il processo i giurati sonnecchiano e il giudice fa le parole crociate...
Pur tagliato con l'accetta e girato un po' tirando via, il film si fa vedere per via dei due protagonisti che stanno al noir come il sedano alla coda alla vaccinara (citando Manfredi...). Aria di Francia, tono dimesso, destino senza scampo; un film minore davvero ma non infimo, dato che il regista/scrittore ben conosce questo universo.
Il valido regista Giovanni si lancia in un film contro la pena capitale (fatto che lo riguardò nel '54 quando fu condannato a morte e poi riabilitato 30 anni dopo..). Delon e Gabin ottima coppia affiancati da una spenta Farmer e dal perfido ma sempre ottimo Boquet. Bellissimo il finale, quasi poetico. Grande film per riflettere.
Fin dall'inizio, seguendo il commento "off" di Jean Gabin, si intuisce come si concluderà la vicenda, ma questo non è certo un difetto. Quello che rende questo film qualcosa meno di "buono" sono i particolari un po' troppo calcati per condannare la pena di morte (forse si poteva evitare il giudice che durante l'arringa dell'avvocato difensore fa le parole crociate o il giurato che dorme). La Farmer è bella ma spenta mentre Delon se la cava e Gabin è grande. Non male nel complesso.
La giustizia applicata con troppo zelo può produrre effetti opposti a quelli desiderati? E’ questa l’importante domanda che sembra porre il regista. Un dramma nero, riuscitissimo atto di denuncia contro la società e le istituzioni, oltre che ovviamente contro la pena di morte, tema in quegli anni al centro di aspri dibattiti in Francia (verrà infine abolita nel 1981). Regia un po' piatta, per contro ottima la prova del duo Gabin-Delon e di tutto il cast; veloce apparizione anche per un giovanissimo Gérard Depardieu. Assolutamente da vedere.
Giovanni non era regista particolarmente raffinato e lo dimostra soprattutto nella fase processuale (i giurati che dormono e il giudice che fa il cruciverba sono un po' troppo...), ma sapeva indubbiamente cogliere nel segno. L'atto d'accusa nei confronti della pena di morta qui è ancora più accorato rispetto al precedente Solo andata, perché a farne le spese è un ex detenuto seriamente intenzionato a redimersi, ma spinto a uccidere dall'assurdo accanimento di un odioso poliziotto. Ottimo il trio Delon-Gabin-Bouquet, discreti i caratteristi.
Film riuscito a metà, nel senso che ci si perde a volte in eccessive lungaggini. Meno intenso dalla seconda metà in poi; per non parlare del noioso processo, anche se questo ci fa cogliere, mostrando il disinteresse dei giudici ad esempio, quanto la "legge" fosse bianca o nera, senza nel dubbio procedere per vie più concilianti. Il tema è comunque forte, contro la pena capitale (all'epoca ancora applicata, in Francia). Bravi gli attori, da Delon a Gabin e la Farmer.
Il titolo italiano lascerebbe pensare al solito polar con due attori di sicuro richiamo, ma ci si trova in realtà in un film amaro che riflette sulla difficoltà del reinserimento nella società di un ex detenuto che cerca di riabilitarsi vivendo onestamente. La narrazione procede coi ritmi del buon cinema francese, con attori ben calati nel ruolo a parte una Farmer buttata in mezzo a mo' di richiamo come sempre, chissà perché. L'inquietante Bouquet è lì, perfido come sempre. Film potenzialmente valido che si gioca tutto nel finale.
MEMORABILE: Le sequenze del processo; La voce di Cigoli.
Il pessimismo e l'asettica rappresentazione del noir arrivano direttamente dall'idea di polar tipica del maestro Melville. Giovanni cambia però le carte in tavola e realizza un cupo dramma abile nello smarcarsi dalle più banali forme reazionarie dei coevi poliziotteschi e in cui la donna (grande assente in ogni capolavoro melvilliano) gioca un ruolo fondamentale. Molto bello il personaggio di Gabin, la cui filosofia ("è necessario difendere i criminali prima di tutto da loro stessi") offre un'idea di garantismo che non può lasciare indifferenti.
Un pamphlet molto prevedibile sulle storture dell'apparato giudiziario e poliziesco (con qualche riflesso autobiografico da parte del regista). Per sua fortuna Giovanni ha in canna due divi che tengono viva l'attenzione dello spettatore con la loro sola presenza. La narrazione di Gabin che, all'inizio, già allude all'epilogo della vicenda, insinua una apprezzabile nota di malinconia e rassegnazione.
Fino a due terzi è un noir abbastanza anonimo ma corretto, con un "miserabile" Delon novello Jean Valjean che cerca di inserirsi nella società, perseguitato dallo sbirro infame Bouquet (novello Javert); poi nell'ultima mezz'ora il dramma esplode trasformandosi in accorata invocazione civile contro la pena capitale (ancora in vigore in Francia), affidando al volto nazional-popolare di Jean Gabin un'indignazione morale la cui sincerità rende accettabile gli eccessi retorici e il nichilismo di Giovanni tocca vertici poetici da capolavoro.
MEMORABILE: L'ultimo cicchetto e l'ultimo tiro di sigaretta, imboccati quasi a forza sulla soglia della ghigliottina.
Basterebbe la sequenza finale, con gli occhi di Delon e quelli di Gabin che si incontrano in un contesto triste e silente, per comprendere la grandezza di questo film. La storia di un predestinato e del suo ineluttabile futuro, la teoretica sulla pena capitale, il manicheismo di chi pontifica dal suo trono dalle basi d'argilla. Tutto accade in fretta, amore, amicizia e dolori si inseguono in fretta giusto per farsi seppellire dopo una sentenza già scritta. Al prestante Delon risponde l'eccellente Bouquet, di inarrivabile frustrazione.
MEMORABILE: Le arringhe difensive dell'avvocato di Delon; Delon che dà di matto nell'autodemolizione.
Uscito di galera dopo aver scontato una condanna per rapina, Gino cerca di rigar dritto ma tutto congiura contro di lui: gli ex complici cercano di riportarlo nel giro, i poliziotti non credono che abbia perso il vizio, la sorte si accanisce strappandogli l'amata moglie... Intenti lodevoli ma risultato modesto in questo pamphlet contro la giustizia umana cinica e bara dalla sceneggiatura troppo schematica e dagli snodi forzati in cui anche i due divi in cartellone offrono prestazioni professionali ma piuttosto tiepide. Nel cast anche due giovani di belle speranze: Giraudeau e Depardieu.
Potente film francese contro la pena capitale, diretto da un criminale collaborazionista che era stato nel braccio della morte per omicidi compiuti nel '45. Soffre di un iniziale schematismo e di una caratterizzazione dei personaggi troppo netta nella prima parte, ma si risolleva da quando Delon trova un lavoro a Montpellier e inizia a rinascere, per poi cadere in un vortice ossessivo a causa delle persecuzioni di un troppo zelante ispettore. Snervante e efficace la tensione che monta, con ottima regia, devastante e intramontabile la parte finale, tra processo e boia. Ottimi attori.
MEMORABILE: Il finale.
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Il valido regista Giovanni si lancia in un film contro la pena capitale (fatto che lo riguardò nel '50 quando fu condannato a morte per una storia di racket e poi graziato e assolto 30 anni dopo..).
In realtà José Giovanni si rese colpevole nel 1945, assieme ad un fratello e ad un ex soldato nazista, di torture e triplice omicidio, fatto per il quale venne condannato a morte nel '48 scampando di poco la ghigliottina ricevendo la grazia presidenziale e vedendosi commutare la pena ai lavori forzati.
Nel 1983 venne riabilitato (ossia reintegrato dei propri diritti civili) ma non assolto, fatto che portò all'attenzione dell'opinione pubblica la sua vera identità (José Damiani) e il suo passato di torturatore e di collaborazionista da lui inizialmente negato, essendosi sempre vantato di un misterioso passato da gangster (allo scopo probabilmente di alimentare la propria credibilità di scrittore noir) la cui fama leggendaria è giunta fino al commento di Daidae.
Ovviamente questo non toglie nulla alla forza civile e poetica delle sue opere, ma tali sono i fatti.