Splendida elegia dei perdenti disegnata da Houston, in cui a interessare più che gli avvenimenti della trama (pochi) è la capacità registica di disegnare dei personaggi soli e disperati che non riescono a trovare conforto nemmeno unendo le loro solitudini. La sconfitta è un qualcosa a cui tutti vanno incontro, chi con spietato disincanto chi con ingenua inconsapevolezza. Tuttavia una piccola nota di speranza è incarnata dalla bella e a tratti disillusa, amicizia dei due protagonisti.
Bel film diretto dal grande John Huston, che rappresenta il tentativo di riscatto di un perdente con la boxe che diventa una sorta di metafora della lotta per la sopravvivenza personale e la rivincita sociale. Ottima la caratterizzazione psicologica dei personaggi che avviene con tinte realistiche e senza alcun atteggiamento consolatorio ma anzi in modo spietato e crudo. Fotografia suggestiva e buona prova degli attori.
Un ritratto asciutto e amarissimo (appunto) del mondo dei perdenti, alibi il mondo della boxe minore. Attori perfetti (Keach e Tyrrell soprattutto), poca trama, piuttosto annotazioni rapide e minimali che rendono ancora più atroce il tutto. La fotografia di Hall e le belle coreografie degli incontri coagulano l'arte hustoniana di raccontare l'amarezza esistenziale e l'amicizia tra uomini forti e deboli allo stesso tempo. Il finale al bar è perfetto.
MEMORABILE: Il boxeur Lucero se ne va solo; in un lampo tutta una solitudine descritta. Keach: "Forse noi siamo felici" e si guarda attorno atterrito.
Due pugili, uno all'inizio, uno alla fine, incrociano le loro strade per un breve periodo, nel mondo desolato della boxe semidilettantistica e dei lavori precari nei campi per arrotondare. Duro e senza sconti, il film non scade nel trito elogio della sconfitta. Mette in scena una lotta tra protagonisti sconfitti in partenza, incontri dove nessuno vince e dai quali si esce di scena tra le luci spente di palestre di periferia, per finire a bere un caffè a notte fonda con un amico a cui non si ha niente da dire.
Affresco di una realtà ai margini, popolata da un’umanità condannata alla sconfitta perenne, presenta una descrizione di ambiente piuttosto incisiva e le sequenze di boxe forse più squallide e deprimenti mai viste sullo schermo. Purtroppo, come in molta nuova Hollywood anni 70 (ma John Huston è uno della vecchia scuola), esagera nel voler dipingere i suoi personaggi come degli sbandati totali al di fuori dal mondo. A questo proposito le sequenze ad alto tasso alcolico tra il pugile Tully e la sua donna sono totalmente innaturali e irritanti.
Ambientato perfettamente in una ipotetica cittadina della California, tra i colori e il disfacimento dei tardi anni '50. I personaggi, seppur giovani, sembra facciano già parte dei vecchi e poveri neri e messicani con cui raccolgono cipolle e pomodori, per sbarcare il lunario. In effetti Billy (Stacy Keach) e Ernie (Jeff Bridges) sono due pugili che fanno parte del mondo minore della boxe e sono due perdenti. Huston crea un'atmosfera di solitudine e assoluto disordine e lascia uno spiraglio solo per Ernie. Bella prova di Susan Tyrrel.
Storie borderline di persone che sognano; reietti della società, donne sole, giovani idealisti che si illudono, sperano, si sacrificano: tutto per una vita presumibilmente migliore, o forse solo per continuare a sperare, tra innocenza e cinismo, che l’esistenza non sia solo un percorso testa a testa in solitaria tra fatica, dolore, sangue e sudore, come sul ring. La regia di Huston si aggrappa alle psicologie, pone risalto ai dialoghi, ai rapporti interpersonali, alle amicizie, andando incontro ad un destino beffardo, disilluso, amaro, come quella città che i protagonisti sono costretti ad assaporare ogni giorno, seduti fianco a fianco, contemplando i propri fallimenti.
Il sogno americano è crollato e l'illusione è registrata nei volti degli abitanti di questa "città amara", volti stanchi e occhi che hanno perso o perderanno sicuramente vitalità. I giorni passano alla ricerca di lavori sottopagati sotto il sole cocente della California – non può che venire in mente Furore – a racimolare denaro sufficiente per sbarcare il lunario, ma consumandolo consumandosi in qualche scadente bar – Bukowski, ora. Si respira un'aria torpida, rassegnata, che vizia i polmoni di chi ha visto i suoi progetti, tutti, fallire.
Un film che sussurra verità in modo quasi inavvertito. La sommessa cronaca di un'umanità sconfitta e senza possibilità di redenzione: dal protagonista (un grande Keach) alla sua compagna ubriacona, dai raccoglitori di cipolle al picchiatore che piscia sangue sino ai manager, apparentemente degli sfruttatori ma in realtà già vittime di quel carnaio infernale che è il circuito pugilistico minore. Unica eccezione il personaggio di Bridges che, però, paga la salvezza con la propria mediocrità. Perfetto il finale.
La "Fat City" del titolo originale è un'espressione che indica la Terra dell'opulenza ma non c'è nessun Paradiso dietro l'angolo, nessun Apollo Creed da affrontare per giocarsi l'ultima occasione di riscatto, per l'ex pugile Billy, ancora giovane ma già logorato, e per Ernie, diciannovenne di belle speranze destinate ad infrangersi sul ring sotto i colpi degli avversari. Fra palestre di periferia, bar squallidi, lavori mal pagati, compagne occasionali, l'unica ciambella di salvataggio sembra essere l'amicizia fra due perdenti nati. Film crudo ed amarissimo, uno dei capolavori di Huston.
Si percepisce sin dalle prime sequenze la disperazione e l’abbandono dei due protagonisti costretti quotidianamente a sopravvivere all’interno di una società pronta a inghiottire i più deboli. Lo stile di Houston è privo di filtri, prossimo al reale e mostra tutto l’accanimento degli eventi sfavorevoli. La boxe rappresenta un disperato appiglio per chi cerca di non farsi sopraffare dalla tragicità del destino e il ring è il carnaio o palcoscenico che simboleggia la lotta della vita che Houston sceglie di sugellare con un epilogo amaro.
Le squallide vicende di due pugili di serie Z in un ritratto amarissimo della provincia americana. Malgrado si muova spesso lontano dal ring, resta uno dei migliori e più realistici film sulla boxe. Huston descrive con lirica disperazione un mondo bestiale e violento con pochi trionfi e molte delusioni. Grande prova di Keach e della Tyrrell perennemente stonati tra infime palestre di periferia, sordidi bar, lavoretti precari e sogni irrealizzabili. Bella fotografia crepuscolare. Sembra un film della New Hollywood ma è opera di un vecchio leone.
MEMORABILE: Tully che si sveglia pigramente sulle note di Help me make it through the night di Kristofferson, L’incontro con Lucero; La raccolta delle cipolle.
La vita sbandata dell'ex pugile Billy, sempre lontana un passo dalla via del riscatto, e quella di Ernie, giovane in balìa delle dinamiche esistenziali. Nel film di Huston tutti sembrano in fuga da qualcosa e fino alla fine si assapora il gusto amaro di una vittoria che poteva essere, o di un ritorno mai riscattato. Stacy Keach, Jeff Bridges e Susan Tyrrell fenomenali anime perse nella città amara di Stockton, California.
MEMORABILE: La sequenza iniziale; Billy che prepara la cena a Oma; La scena finale al bar.
Pugile navigato scova in una palestra un ragazzo dalle buone possibilità. Soggetto bukowskiano tra perdenti nella vita e mal accompagnati da donne ubriacone come loro. Stavolta la boxe è raccontata negli incontri miseri da pochi dollari e nella disillusione di chi ha tutto da perdere. Huston umanizza le parallele vicende dei protagonisti e si sofferma quanto basta sull’aspetto sportivo. A tal riguardo, Bridges sembra solo che scazzotti come si trovasse in una rissa mentre Keach (grande prova nel complesso) dimostra più attenzione al gesto atletico.
MEMORABILE: Ubriaco con la testa a ciondoloni al bar; Vincente ma inconsapevole sul ring; Silenziosi davanti al caffè.
Due storie di ordinaria precarietà e di disagio ambientale e individuale impersonate da due pugili, uno a fine carriera e l'altro all'inizio, che si troveranno a condividere le stesse illusioni e disillusioni. Uno sguardo sull'America dei perdenti, che senza calcare la mano fa riflettere per il taglio psicologico che evita qualsiasi spettacolarità anche sul ring, mostrando una realtà sociale tragicamente inerme. Una grande regia per un finale magistrale sul volto dei due protagonisti (Keach e Bridges), diversi e complementari. Indimenticabile la prova di Susan Tyrrell.
Splendido adattamento cinematografico del romanzo di Leonard Gardner nonché uno dei migliori film diretti da John Huston. Straordinaria l'interpretazione di Stacy Keach sin dalle prime inquadrature. Perfettamente azzeccata la scelta della canzone cantata da Kris Kristofferson per intero durante i titoli di testa e ripetuta solo in parte nel finale (queste le parole cantate alla fine del film: "Yesterday is dead and gone And tomorrow's out of sight And it's sad to be alone Help me make it through the night"): i due amici, i due perdenti non parlano; a parlare per loro è la canzone.
MEMORABILE: La canzone cantata da Kris Kristofferson e il brano di essa ripetuto nel finale.
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HomevideoZender • 27/11/08 10:03 Capo scrivano - 47787 interventi
Uscito ieri, per la felicità di Cotola, il dvd del film per la Columbia.
Audio: mono
Video: 16:9/1.85:1
La farloccandina buiesca di Città Amara del grande John Huston, registrato su Telelombardia, in prima serata, nell'inverno del 1999.
La cover frontale mi e venuta disegnando una città sullo sfondo (molto naif, presa a modello dal manifesto di Luci Nella Città) con in primo piano un paio di guantoni da boxe (all'inizio volevo disegnarli insanguinati!)
Nel retro cover una foto del film presa dal mensile Ciak e la sinnossi, estrapolata dal catalogo della Rca Columbia (che distribuiva il film in vhs)
HomevideoRocchiola • 26/02/20 15:52 Call center Davinotti - 1255 interventi
Un prodotto discreto che incomincia ad avere qualche annetto sul groppone ma sempre reperibile a prezzi medio-bass. Video panoramico 1.85 un pò granuloso e con qualche spuntinatura di troppo ma nel complesso accettabile. Audio italiano originale monofonico discretamente potente e chiaro. Per chi si accontenta della visione in lingua originale c’è il bluray americano della Twilight time, un region free che pare abbia una qualità video davvero eccellente, in alternativa c’è anche il BD inglese Indicator e quello francese Wild Side definibili come altrettanto validi.