Vista la presenza come protagonista della Rettore ci si aspettava un musicarello. Invece, al di là di un paio di canzoni (una, quella di coda, è la nota “This Time”, ma dei veri classici della Rettore non c'è traccia), si tratta di una semplice commediola giovanile sciocca quanto basta per cercare di strappare il sorriso con l'abuso del dialetto veneto. Siamo infatti nel trevigiano, in un paesello chiamato Allegra e lì la grassissima Miris Bigolin (Rettore) passa il suo tempo tra amiche, scuola e una radio privata dove ha un angolo di “voce amica” che sfrutta per farci sentire un bel po' di rock (Blue Oyster Cult e Saxon, per l'esattezza). Presa in giro dal belloccio della classe (Dario...Leggi tutto Caporaso), si vendica al ritorno da una cura dimagrante a New York che la trasforma nella Rettore maschiaccio che tutti conosciamo. Fortunatamente la regia spiccia di Umberto Lenzi non permette di pensare troppo alla terribile sceneggiatura che sta dietro al film: punta la macchina sulla cantante e le va dietro lasciandola scatenarsi prima in dialetto veneto e poi in un improbabilissimo accento americano inventato per tendere la trappola al rubacuori senza cuore. Salvato il cast di secondo piano con qualche caratterista (Ugo Bologna, il sindaco) e attrici stagionate (Paola Borboni, la nonna rimbecillita e Anita Ekberg, baronessa newyorkese), Lenzi lascia più spazio del previsto alle goliardate e alle canzonature in veneto dei vari comprimari giovani. Il risultato è ahinoi sconfortante dal punto di vista dell'umorismo, ma ha un suo valore trash non indifferente: tra neologismi giovanili ormai anacronistici e sbracature dialettali ci si può anche divertire.
Ametto che a me piace molto la Rettore, sia come cantante che come donna; in questo film ho apprezzato qualche particolare, come il ricorso a canzoni meno famose tra cui la bellissima "Canta" all'inizio e "M'è scoppiata la testa", che fanno parte di "Super Rock" del 1982. Avere visto una cantante che mi piace in un genere che mi piace (commedia italiana anni 80) mi ha portato inevitabilmente ad apprezzare il film. Sceneggiatura e trama però troppo ridicole e infantili con conseguente risultato alquanto trash.
Orrendo, in una parola. Poverissimo a livello tecnico, è inaccettabile anche come storia ed attori (con qualche nobile eccezione), e tutte le scenette che dovrebbero far ridere sono solo patetiche. Il soggetto, di cui è colpevole Giorgio Mariuzzo, è davvero poca cosa, anche se l'intento era solo e soltanto quello di lanciare la carriera della Rettore sul grande schermo, immagino. Salvo solo Paola Borboni, che un paio di sorrisi riesce a regalarli: in un contesto del genere, il suo merito è doppio.
Più sconvolgente che sconcertante. Far capire di che orrore si tratti è impresa titanica, perché non può bastare neppure una accurata descrizione a far immaginare la trama delirante (durante i 5' ambientati in chiesa credevo di sognare), la cagneria dominante, la bassezza delle trovate, l'inverosimiglianza delle cose che si succedono davanti all'attonito occhio dello spettatore. Come se non bastasse, a rendere la cosa ancora più incredibile, la notevole firma del regista. Partecipano, incolpevoli, alla catastrofe: Bologna, Vida, Felleghy, Didi Perego e la Borboni. Su La Notte di Nutrizio, Brambilla e Carbone gli avrebbero rifilato l'onta della sigla N.M.R. (Non Meritevole di Recensione).
Titoli di testa pierineschi e spunti dalla favola del brutto anatroccolo introducono una commedia giovanilistica dallo svolgimento scontato, pur con riferimenti alle tendenze dell’Italia dei primi anni Ottanta (le musiche e le cure dimagranti d’Oltreoceano). Curiosa comunque la presenza della Rettore che, specie nella prima parte - quando agisce sotto l’imbottitura della provinciale, generosa e risoluta “Cicciabomba” e parla nel suo accento veneto - rivela sorprendenti doti di attrice spigliata e simpatica.
Desolante, avvilente, di rara inutilità e stupidità, ma così trash da meritare un’occhiata. La protagonista, con guance gonfiate alla Padrino, è insopportabile e andrebbe presa a calci nei denti dalla mattina alla sera, non per la sua disfunzione alimentare, ma per la sua imbecillaggine, soprattutto dopo la cura miracolosa. La pellicola riesce addirittura a peggiorare nella seconda metà (e già la prima era pietosa). La Rettore canta gioiellini come “M’è scoppiata la testa…io rivoglio la pasta”, mena e dispensa perle di saggezza: "Me culona, ma ti cojone". Vaccatona.
MEMORABILE: La nonna chiama il canarino Mao Tse Tung perchè è giallo; Cicciabomba viene definita "Una mongolfiera di perfidia" dal pluribocciato belloccio.
Colorato, musicale esempio di trash-movie firmato Umberto Lenzi e che ruota attorno alla presenza di Rettore nei panni inusuali di attrice comica, in cui non se la cava poi tanto male. Null'altro che un film Alvaro Vitali-style con battute e gag, alcune delle quali esileranti. Da proiettare subito dopo la Corazzata Potemkin!
Commedia trash di Umberto Lenzi che nel genere comico e dintorni tra questo e l'apocrifo Pierino con Ariani non ha certo brillato. La Rettore brava come cantante (bella "Canta" un po meno quella della testa..) ma mediocre come attrice riesce comunque a strappare qualche sorriso, alla fine non è certo un bel film ma nemmeno la ciofeca che mi aspettavo. Prima di giudicare come scadente questo film consiglio di visionare Che casino con Pierino e Quella peste di Pierina... poi ne riparliamo.
Se per punk s'intende l'assenza di tecnica, lo sprezzo dei generi, sputare in faccia al pubblico, mostrargli il dito medio ed essere sgraziati come un carlino con un gilet di pelle: Cicciabomba è l'essenza del cinema-punk. Commedia scollacciata senza decolletées, film comico senza comicità, musicarello femminista. E "non capisco perchè tutti quanti continuassero a chiamarla Donatella oh-oh-bella" quando potevano chiamarla Miris Bigolin, personaggio nonsense come un ponte su una zona a forte rischio sismico, sfrontata parodia delle svampite divinità del pecoreccio. Chi gliela dà una lametta?
Terrificante. Lenzi dirige con ritmo e coerenza narrativa, senza scadere nel pecoreccio spinto che caratterizzava le commedie dell'epoca, ma il risultato è comunque insufficiente. La Rettore, quasi simpatica nella prima parte e quando parla in veneto, diventa insopportabile in versione "stecchino" ed è difficile parteggiare per lei quando attua la propria vendetta.
Commediola poverissima di mezzi che tenta di lanciare Donatella Rettore nel mondo del cinema con esiti deludenti per non dir di peggio. Storia insipida che dopo i primi minuti porta direttamente lo spettatore allo sbadiglio senza possibilità di recupero. Spiace vedere ingabbiata in un film del genere la deliziosa Paola Borboni.
Scivolone di Lenzi e tentativo attoriale azzardato per la Rettore, che pur risultando piuttosto genuina nei panni della protagonista veneta deve far i conti con uno script a dir poco mediocre; se il primo tempo, make-up e imbottiture improbabili a parte, perlomeno si lascia seguire, nel secondo la vicenda e il personaggio perdono di mordente e ci si trascina stancamente tra qualche esibizione canora e alcune gag malriuscite. Si ride pochissimo e il film rimane più che altro una bizzarria che potrà ispirare simpatia solo ai fan della Rettore.
Pellicola a suo modo geniale, una sorta di parodia (non saprei dire se volontaria o meno) dei musicarelli e dei vari film di genere "pierinesco" tanto in voga in quegli anni. Una farsa sempre sopra le righe, all'insegna di un umorismo senza peli sulla lingua ma mai veramente volgare. La Rettore poi se la cava piuttosto bene e soprattutto sembra la prima a non prendersi sul serio. Insomma, nonostante un livello tecnico bassissimo e una trama a dir poco sconclusionata, c'è di che divertirsi. Da recuperare!
Ci sono parti piacevoli (la canzone "Canta", il balletto di "Mi è scoppiata la testa"), con facce note fra attori e caratteristi che talvolta fanno sorridere senza nemmeno uso di volgarità. Purtroppo la trama è di una fiacchezza insostenibile, fino alla conclusione insulsa (lancio di carrube in chiesa?) e al video finale squallido (cantato in un inglese scolastico). Sarebbe stato meglio ampliare la parte musicale, invece di usare la Rettore solo come specchietto per le allodole.
MEMORABILE: Il giubbotto della Rettore con scritto SBI: "Salvation (Bear? Bail?) For Idiots".
Sarà che mi aspettavo qualcosa di molto infimo, ma in realtà questo (strano) prodotto di Lenzi l'ho trovato meno peggio di quanto immaginassi. Mediocre (eccome!), però a tratti simpatico. La Rettore si diverte come una pazza a vestire i panni di Miris Bigolin (Cicciabomba) in questa sorta di teen-movie de noantri. Cast davvero fenomenale (Borboni, Ekberg, Bologna e tantissimi altri caratteristi) e (strano, ma vero) non l'ho trovato neppure eccessivamente lento. Ci sono tantissime pecche, ma una visione ci sta!
MEMORABILE: La Borboni smemorata; L'ineguagliabile inespressività (e antipatia) di tal "Dario Caporaso" (nel film Mirko).
Niente, Lenzi non demorde. Salutati in via permanente i fasti furiosi del merliziesco e del milianoir, l'oramai intisichita regia massetana ritenta il test di "vitalitudine" già (im)pietosamente cannato alcuni mesi prima. In questo frangente la commediola adipofila s'addiziona al neo-musicarello giovanilistico centralizzandosi sull'incantatrice di kobra Rettore, insilata alla meno peggio in tenuta grassoccia e protopaninaresca. Il preteso anticonformismo femministico/libertario della vedette trevigiana resta però murato dietro l'ipocrita frivolezza di un fat-shame&revenge a dir poco irritante.
MEMORABILE: La Rettore che tenta goffamente di spacciarsi per grassa indossando ingombranti vestitoni di gommapiuma e imbottiture gengivali modello "Corleone"...
Rettore dimostra una certa predisposizione a un ruolo brillante, ma sembra proprio che l'operazione costruita attorno alla sua figura sia stata messa in piedi con un forte pressappochismo. In regia Lenzi rinuncia a qualsiasi barlume di inventiva, limitandosi a dirigere con forma anonima, tanto che per il regista deve essere stata un'esperienza meramente alimentare. Estenuanti i momenti canori (a questo punto si poteva fare un musicarello), pochissime le battute divertenti. La Ekberg, tutto sommato, non è stata sfruttata male, mentre Bologna non riesce a spiccare come ci si aspettrebbe.
Commedia sempliciotta d'inizio Anni '80, a mezza via tra blando musicarello tardivo e instant movie. Pur non essendo una chicca memorabile ha il merito di trasmettere un certo senso giocoso e ingenuo, nella cornice realistica di un'Italia esterofila che all'epoca mirava a emulare l'edonismo di altre culture specie degli Stati Uniti. La Rettore come attrice si esibisce disinvolta in una discreta e simpatica performance, ma rivestita di gommapiuma è poco credibile nel ruolo di obesa. Nel complesso accettabile, per una visione leggera tra qualche sorriso e una spolverata di nostalgia.
MEMORABILE: La scena del sogno, in cui Miris contempla felice una ricca tavola imbandita e al termine la bilancia esplode.
Altro che splendida splendente, un’esperienza hellraiseriana: a rotolarsi nudi in campi di ortiche e rovi si soffre molto meno. Donatella brutta anatroccola che si incigna via american dream fa aggricciare da capo a piedi sia in veneta salsa Pippi Calzelunghe barra Cicciottella che in quella vamp finto-ammeregana in cerca di rivalsa. Che dietro a sto odioso colmo di nulla ci sia il Lenzi cannibalico e zombesco non ci si crede neanche presi a sberle da Jackie Chan. 86' di ballboosting che saettano d’ufficio tra i primi posti dei 10 machimmelhafattoffà di tutta una spettatoriale vita.
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I brani presenti nella colonna sonora del film sono in parte farina dell'ugola della medesima Rettore (tratti dalla raccolta Super-rock Rettore - Le sue più belle canzoni e dall'album Kamikaze Rock 'n' Roll Suicide, entrambi pubblicati nel 1982) e in parte opera di band rock/metal prestigiosissime come quella degli statunitensi Blue Oyster Cult e quella dei britannici Saxon (pezzi rispettivamente tratti dai loro album storici Fire of Unknown Origin del 1981 e Wheels of Steel del 1980):
Altri due pezzi della Rettore udibili in sottofondo durante il film, tratti rispettivamente dagli album Magnifico delirio del 1980 e
Brivido divino del 1979: