Jake West (da grande appassionato) si ricollega direttamente al primo capitolo (dimostrando di conoscerlo molto bene e rispettando il continuity, non solo con il rito della strega per risvegliare il Pumpkinhead, con lo stesso antro lugubre fatto di teschi, topi e tarantole, ma mettendo in scena Lance Henriksen come una specie di spirito guida alla Pascow di
Cimitero vivente) tralasciando del tutto il secondo di Jeff Burr (che, se messi a confronto, questo terzo capitolo risulta alcune spanne sopra più riuscito, nonostante quello di Burr avesse buone intuizioni).
Si respira un'atmosfera necrofora quasi fulciana (le location romene, spacciate per americane, danno un quadro decadente e mortifero dell'insieme) tra cadaveri marcescenti sparsi ovunque, forni crematori che nemmeno nel
Ritorno dei morti viventi (occhio alla drastica decisione finale dell'ultima persona rimasta in vita e che ha evocato il Pumpkinhead per vendetta), omaggi alla
Chiesa di Soavi (infilzato al parafulmine del tetto della villa decrepita sotto la pioggia), reverenze a
King Kong (Pumpkinhead scala la parete della chiesa), espianti di organi alla
Turistas, la vendetta che muta in follia femminea (la possessione di Molly Sue armata di pistola, l'isterismo sghignazzante di Dahlia, strafatta di droga, che ride in faccia a Pumpkinhead scambiandolo per il diavolo in persona) e rinuncia ai soliti teenager per concentrarsi su un mad doctor (un carismatico Doug Bradley fuori dai panni di Pinhead) e parenti mossi dalla sete di vedetta.
Atroce e bambinesca la CG da Commodore 64, ma compensata dalla deliziosa animatronic di Gary J. Tunnicliffe, che, non solo rende la creatura gustosamente prostetica e viscida, ma crea cadaveri degni del Craig Reardon di
Poltergeist, per poi mostrare una trasformazione a vista (il corpo di Lance Henriksen che muta in quello di Pumpkinhead) prettamente artigianale, non dissimile da quella costruita da Rob Bottin per
L'ululato.
West, poi, non lesina su gole squarciate, corpi sezionati, pozze fangose con resti umani e una certa cattiveria di fondo.
Chiusa finale (la strega che viene a riprendersi quel che resta dell'ultima evocatrice di Pumpkinhead) che chiude il cerchio, ricollegandosi al capostipite wistoniano.
Saga, che nel bene e nel male, non mostra cedimenti, e per essere un mero straight to video da cestone, risulta piuttosto godibile e discretamente realizzato (nonostante il budget al risparmio), vieppiù rispettando la fosca malia del primo
Pumpkinhead.
Ai fanatici della continuità il secondo si può tranquiilamente omettere, un pò come il primo
Nightmare che si ricongiunge al terzo, mandando a remengo il secondo.