Fusione, riduzione dei posti di lavoro, delocalizzazione; l'azienda cartaria per cui Bruno Davert (Garcia) lavora come ingegnere non si fa troppi scrupoli nel licenziarlo e lasciarlo col mutuo da pagare e due figli - più la moglie (Viard) - da mantenere. Visto l'alto profilo professionale non sembrerebbe un problema ricollocarsi sul mercato; invece passano i mesi e il posto non si trova. Così, quando il figlio gli mostra un video nel quale qualcuno come lui sta facendo esattamente il suo lavoro alla Arcadia Papers, elabora un piano diabolico per arrivare a sostituirlo ed eliminare la possibile concorrenza: si finge a sua volta un'azienda cartaria e pagandosi un annuncio dice...Leggi tutto di voler assumere qualcuno che abbia il suo tipo di competenze. In questo modo individua chi potrebbe superarlo come curriculum e... li ammazza, così da esser certo che, una volta eliminata anche l'attuale figura che lavora all'Arcadia, l'azienda non potrà che assumere lui. Un piano omicida, in poche parole, che trasforma Bruno in un autentico serial killer; lucidissimo però. Attento a non lasciare alcuna traccia di sé, avvia la strage mentre la polizia percorre piste sballate e la famiglia cerca di conosolarlo standogli vicino quando torna mesto dall'ennesimo colloquio fallimentare. Scelto l'ottimo José Garcia come protagonista, Costa-Gavras vi costruisce intorno un film ricavato dal buon romanzo di Donald Westlake "The Ax". Bruno è il centro inamovibile della storia, che inizialmente funge anche da narratore e spiega la misera condizione in cui si trova. L'analizza però con la spietatezza di chi si rende perfettamente conto di come gira il mondo e capisce che senza una soluzione drastica difficilmente le cose possono cambiare. Il film è quindi il resoconto dei suoi appostamenti, degli agguati, dei colpi a bruciapelo, di una vita segreta condotta all'ombra di una famiglia con cui al contrario conduce la normale esistenza del disoccupato comprensibilmente depresso, alle prese coi problemi del quotidiano come quelli del figlio che ruba programmi elettronici nei negozi e viene sorpreso in flagrante. Il canovaccio base, più volte sfruttato dal thriller, trae nuova linfa e sprazzi di apprezzabile originalità dall'approccio disinvolto, gelido, del suo protagonista. Anche per merito di Costa-Gavras, prevedibilmente, che mette il suo stimato mestiere al servizio della storia sfruttando bene gli spunti di una sceneggiatura mai banale, che negli scambi tra Bruno e le sue vittime azzecca alcuni momenti molto alti (si veda come sa toccare le corde dell'emozione col personaggio del commesso nel negozio d'abbigliamento) e cerca di svisare introducendo figure non strettamente necessarie come quella dello psicologo di coppia che la moglie pretende di consultare. E' un modo per non fossilizzarsi su uno schema a rischio ripetitività che a volte si perde in qualche lungaggine di troppo (soprattutto durante gli appostamenti). Sono da scontare pure qualche semplicizzazione eccessiva nell'idea da cui si parte (non il massimo della credibilità) e un finale elementare quasi aperto che lascia con l'amaro in bocca, ma al netto di certi zoppicamenti che minano la scorrevolezza e di un avvio a flashback assolutamente pretestuoso, il film si fa vedere e colpisce per l'impeccabile, matura performance di Garcia, che spinge a una pericolosa complicità in chi guarda instillando molti dubbi sull'eticità dell'operazione; soprattutto considerata l'assenza di vera ironia, sostituita da un clima di beffarda superiorità imposta dal decisionismo del protagonista. Fotografia e messa in scena di serie A.
Bruno Davert, dirigente licenziato dall'azienda, si ritrova a cercare lavoro inutilmente per alcuni anni, fino a quando non decide di cambiare strategia. Ottimo esempio di cinema che combina la denuncia sociale al thriller come già in altre opere di Costa-Gavras (Missing). Il film descrive abilmente la metamorfosi di un uomo che da onesto lavoratore e padre di famiglia diventa un criminale incallito cercando di mantenere un'apparente, ma sempre più faticosa, normalità. Ottimo l'interprete José Garcia.
Bel film del vecchio Costa-Gavras, un tempo specializzato in opere di cosiddetto "impegno sociale" (quelle cui spesso seguiva dibattito, per intenderci). Anche questo è il ritratto di una situazione sociale ben precisa, quella della disoccupazione manageriale, però è affrontata in modo brillante, con tocchi di humor nero, per cui l'omicidio diventa un'alternativa non più crudele di altre assunte a tavolino, all'insegna del motto "il fine giustifica i mezzi". Buona parte della riuscita si deve a Garcia, ottimo protagonista.
MEMORABILE: Il dialogo nel camerino del negozio di abbigliamento.
Costa-Gavras porta su grande schermo un bel romanzo di Westlake (del quale va caldamente consigliata la lettura) rispettandone integralmente lo spirito. Un dirigente di azienda, specializzato nella produzione della carta, viene licenziato a causa della fusione e riorganizzazione aziendale. Dopo un paio d'anni, essendo ancora senza lavoro, escogita un modo per cercare di rientrare nel mondo del lavoro: eliminare i potenziali concorrenti. Pur con toni leggeri, il film tocca temi molto importanti ed estremamente attuali. Da vedere.
Gavras affronta il problema della perdita del posto di lavoro ad una certa età e lo fa col suo solito sguardo sardonico e con la sua consueta ironia tagliente e beffarda (vedi il finale). Il risultato è un film interessante che però funziona solo a tratti e finisce poi col ripetersi fino ad arrivare ad una coda “suggerita” che non giunge certo inaspettata. In ogni caso buono, ma da un regista così è lecito attendersi di più.
Non riuscendo a trovare lavoro dopo essere stato licenziato, il manager Bruno Davert decide di far fuori la concorrenza in senso letterale. Costa-Gavras firma questa deliziosa unione fra dramma e humour nero, descrivendo l'omicidio come un'alternativa degna di nota nel mondo aziendale e, in generale, nella società odierna. Ottima la prova di Garcia protagonista, un uomo intraprendente che ricorre alla soluzione estrema da tutti condannata ma che, come mostra il finale beffardo, non è tanto diversa da altre prassi manageriali.
Poco coinvolgente: nei primi minuti espone una teoria chiara (la società attuale spinge l'uomo alla frustrazione e alla ferocia) e poi, invece di sviluppare il concetto, non fa che riproporlo nelle restanti due ore. Insomma, un film con una tesi ben precisa, forse troppo: ogni volta che viene inquadrato un cartellone pubblicitario compaiono richiami a una sessualità patinata, tanto per ribadire una volta di più l'antifona consumismo = desiderio frustrante. Meglio riguardarsi Un borghese piccolo piccolo.
La scelta di far parlare il protagonista con una voce interiore, meditativa, rende bene il disagio paranoico di chi, perdendo il lavoro, si trova solo a combattere il nemico invisibile del mercato globalizzato. In questo caso egli sceglie coscentemente un nemico con cui prendersela e il regista, con un thriller alla Hitchcock, ci porta a parteggiare per lui, ad essere complici di un assassino. Perché dietro bisogna difendere la posizione sociale, la famiglia, a tutti i costi...
Il signor Davert (Josè Garcia) non ha un'azienda, anzi è stato licenziato da quella in cui lavorava; incurante del fatto si mette a fare l'headhunter; ma non per trovare il manager più adatto, bensì per fare ciò che lo strumento del titolo originale suggerisce. Tensione è ciò che il film principalmente procura, ma lo scopo non è quello; solo verso la fine si capisce che ciò che più vuole evidenziare è il problema sociale alla base della trasformazione del protagonista. Si capisce anche perché i crimini (impuniti o puniti?) siano così facili da compiere.
Si può tifare per un pluriomicida? Certo, se è un povero disoccupato e padre di famiglia premuroso. Da un'idea non banale, uccidere la concorrenza per riottenere il lavoro, un film che fa sorridere amaro e riflettere, specie in tempi come questi dove, a botte di delocalizzazioni e ristrutturazioni aziendali, il lavoro spesso non dura più tutta la vita. Il finale, poi, è un autentico colpo di genio: sarà proprio Bruno il prossimo? Buona la prova del cast, soprattutto il simpatico protagonista.
MEMORABILE: Le uccisioni senza rimorso; I poliziotti imbambolati davanti alla ragazzina in slip; I colloqui di lavoro; Lo sfogo del collega nel negozio di abiti.
Lavoro a due velocità di Costa-Gavras, di livello inferiore rispetto ai grandi gialli politici della sua fase migliore. Mentre la pellicola è formalmente ineccepibile, come da prassi per il regista greco, la vicenda tende ad accartocciarsi sul dramma personale del protagonista e perde la valenza sociale di altre opere, anche perché non è facile per uno spettatore medio identificarsi con un manager di alto livello. Il cast è discreto, con Garcia volutamente sottotono, ma il film resta un buon esercizio di stile che non riesce a graffiare, troppo generico e vago nella denuncia.
Denuncia, a tinte noir, dell’amoralità di certe politiche aziendali che sacrificano persone e competenze in nome del profitto, cui il protagonista/vittima (interpretato dall’eccellente Garcia) reagisce in modo altrettanto amorale (pur con qualche scrupolo). Se l’intreccio può apparire ripetitivo, e il finale sospeso sembra avere poco nerbo, appare invece densa di contenuti la riflessione sulla disoccupazione, una condizione in cui alla perdita del lavoro si accompagna la perdita di sé è di senso, in una guerra all’insegna dell’”ognun per sé e nessun dio per tutti”.
MEMORABILE: Gli ammiccanti manifesti anonimi; Il colloquio di lavoro; Le conversazioni con il barista e con il commesso del negozio d'abbigliamento.
Costa-Gavras dirige un aggiornamento della lezione di Verdoux intriso di humour nero, una crudele satira su una società che genera mostri, schiava degli status symbol e amorale. Se il protagonista (ottimo Garcia) ha qualche scrupolo (inizialmente è un serial killer abbastanza pasticcione) le grandi aziende che puntano solo al profitto no e il quadro che ne esce è quello di un'umanità allo sbando, dove l'individuo è desolatamente solo (pure nel contesto familiare). Forse c'è un po' troppa carne al fuoco ma l'abilità narrativa del regista è indubbia e la confezione di gran classe.
MEMORABILE: I cartelli pubblicitari; Il dialogo con il commesso; Il colloquio di lavoro; L'incapacità della polizia; A casa di Machefer; Il fotogramma finale.
Manager licenziato elimina i possibili concorrenti per un nuovo posto. La critica alla delocalizzazione industriale è limitata in quanto il messaggio che passa è quello che il fine giustifica i mezzi. Prima parte piatta, come in una sorta di commedia nera, risveglio quando l'attenzione passa sulla famiglia. Il protagonista risulta piuttosto anonimo e tutte le sue fortune criminali passano in secondo piano. Costa-Gavras si fa notare in qualche scelta dei tempi.
MEMORABILE: Il colloquio con la donna; La pistola in acqua; La refurtiva nell'armadio.
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Compe riportato dai titoli di coda,gli onnipresenti cartelloni pubblicitarianonimi che il protagonista Bruno Davert incontra lungo la sua strada sono opera di OlivieroToscani.