Robert Wise, in ambito horror, è prima di tutto l'autore del classico GLI INVASATI, uno dei più spaventevoli film di fantasmi mai girati. In AUDREY ROSE, pur in un contesto molto più quotidiano, cerca di recuperare le medesime atmosfere di angoscia (presenti comunque in altri suoi lavori, come l'ottimo ANDROMEDA ad esempio), mantenendole però in un insieme più realistico, cercando di farci ammettere la possibilità di una vera e propria reincarnazione. E, va detto, lo fa con la dedizione di chi il cinema lo conosce da una vita (gli esordi di Wise risalgono alla Seconda Guerra Mondiale) e...Leggi tutto sa condurre il gioco con estrema professionalità. La scelta di Anthony Hopkins per il personaggio più “improbabile” (il padre della defunta Audrey Rose, che si vorrebbe reincarnata nella piccola Ivy Templeton) dà subito la misura di una scelta oculata: Hopkins sa caratterizzare il suo padre di famiglia affranto con una fermezza e un controllo encomiabili, impedendo così di confonderlo con un pazzo furioso senza arte né parte (un tranello in cui molti film simili sono caduti). Ma corretta anche la coppia Marsha Mason/John Beck, lei preoccupata lui scettico fino all'ultimo. La giovanissima Susan Swift, con il suo sguardo allucinato, è il prototipo della bimba in odore di possessione modello ESORCISTA, e calza a pennello fino all’inattesa conclusione (prolungata e colma il tensione). L’atmosfera di angoscia mantiene alto l'interesse anche al di là di qualche lungaggine evitabile, ma è la dimostrazione che Wise, per il cinema horror (genere qui in fondo solo sfiorato e per volontà dello stesso Wise, che volendo avrebbe potuto calcare ben di più quel tasto facendoci facilmente sobbalzare) resta uno degli esponenti maggiormente quotati. Ben condotta la parte giudiziaria centrale.
Discreto horror ben diretto dallo specialista Wise e interpretato correttamente da un buon cast, su cui spicca il solito, intenso Anthony Hopkins. È infatti da quest'ultimo che prende l'avvio questa angosciosa vicenda, tutta giocata su una ragazzina sosia perfetta della figlia defunta di Hopkins. Ci sono alcune ingenuità e il finale è tirato per le lunghe ma tutto sommato non tradisce le aspettative.
Da Il giardino delle streghe a Gli invasati: bastano questi due capolavori ad ergere Robert Wise nel mio personale empireo dei registi horror. In "Audrey Rose" c'è tutto quello che ci deve essere in un film che faccia paura: fantastici attori (la Mason e Hopkins su tutti) che ci portano a identificarci nel dramma di Audrey, bimba morta in un'incidente automobilistico; una regia accorta e una sceneggiatura avvincente che sonda i territori della reincarnazione. Inizia come un Esorcista senza scene truci, poi diventa un po' dottrinale nella parte "legale". Molto bello.
Dramma paranormale ben diretto e ben interpretato (spicca la bambina, vittima di una reincarnazione a dir poco invasiva). L'argomento trattato poteva far scivolare il tutto nella banalità, nell'horror gratuito, nel solito tentativo di spaventare. Ma per fortuna, qui si bada più alla psicologia dei personaggi (la moglie, riflessiva e dalla mente leggermente più aperta del marito, che invece reagisce quasi solo in modo violento; e il padre della reincarnata, ossessivo perchè sicuro della sua teoria). Avrei evitato il processo, privilegiando la fase di studio del caso. Comunque, riuscito.
MEMORABILE: Le crisi, sempre più violente, della bambina; La spiegazione di Hopkins ai genitori, a dir poco allibiti; Il test ipnotico-regressivo.
Esorcismo? No, questa volta reincarnazione. Certo, bisogna dire che la piccola ricalca a pieno titolo le gesta di Linda Blair, anche se questa volta nel suo corpo non c'è satana bensì Audrey Rose, figlia defunta di un grandissimo e glaciale Anthony Hopkins. Lento ma fascinoso, triste ma realistico.
Bel psico-horror diretto da Wise, che coglie a piene mani dall'Esorcista tralasciando però gli effetti scenici più plateali e preferendo dare al film un taglio più psicologico. La parte iniziale con un ottimo Hopkins che tenta di infiltrarsi nella vita familiare dei coniugi Templeton (Marsha Mason e John Beck) è da manuale. Nel finale c'è molta tensione, ben messa in scena tramite un'ipnosi e soprattutto zero banalità.
Struggente e avvincente dramma psicologico che dell'horror ha soltanto l'idea di fondo. Wise era regista troppo raffinato per propinarci vomito verde e amenità simili e opta per un approccio molto più serio e ancorato alla realtà. Hopkins è ammirevole nel ruolo potenzialmente più insidioso, ma a impressionare sono una perfetta Marsha Mason e la piccola Susan Swift, la cui credibilità lascia basiti. Per la tematica mi ha ricordato lo sceneggiato Rai Il figlio di due madri, ma qui il finale è decisamente più triste.
Per Frank De Felitta la reincarnazione è una forma di possessione: nella sintomatologia, non negli esiti, persino più ineluttabili di quelli previsti dal Maligno. Sontuosa regia del veterano Robert Wise, accusa un netto calo di tensione nella svolta processuale (in anticipo su Emily Rose) che prevede inserti documentaristici e dottrinali sull'induismo; ma il classicismo trasuda ad ogni inquadratura e il finale addensa un'angoscia pressoché insostenibile. Notevole l'approccio austero e la verosimiglianza dei conflitti psicologici. Le crisi isteriche della piccola Audrey non si dimenticano.
MEMORABILE: Le inquadrature dall'esterno del palazzo sotto la pioggia, lungo le finestre dell'appartamento: dentro, la piccola Audrey in preda alle urla.
Meccanismi psicologici semplicissimi (l'amore dei genitori per un figlio, l'irruzione dell'inspiegabile nella felice normalità quotidiana) e una messa in scena essenziale e quasi elegante nella sua compostezza. "Nulla di troppo" è il motto di Wise. Qualche cedimento nella fase processuale, ma il finale straziante (bravissima la piccola protagonista) rimane indimenticabile così come le interpretazioni misurate del cast. Un film da far proiettare in qualche corso per futuri registi horror.
Psico-horror che, pur attingendo da film più conosciuti, riesce ad avere una sua cifra stilistica (si parla di possessione spiritica e reincarnazione). Ottima prova del cast (in particolare della Swift e di Beck, ma tutto il cast è ben diretto, anche se Hopkins a volte esagera). Interessante la descrizione della comunità e buone le scene di possessione (resta impressa Ivy che piange come una bimba di 5 anni quando invece ne ha 11).
In un incidente stradale una bimba muore tragicamente, qualche anno più tardi "un'altra" bambina mostra preoccupanti segni di instabilità. Una storia molto intrigante, specie per i risvolti spirituali e metafisici che muovono azioni e reazioni dei protagonisti, ma anche perché Wise non si lascia prendere dai cliché orrorifici limitandosi ad allusioni implicite. Si regge quasi tutto in virtù della prima parte, nella quale si intersecano e si scontrano gli elementi in gioco, mentre lo sviluppo risulta imperfetto e dai risvolti etici molto discutibili.
MEMORABILE: L'incidente ripercorso nella mente di Ivy; L'insinuarsi di Hoover nell'equilibrio della famiglia; La lungaggine del processo.
Soggetto intrigante, che Wise dirige con il giusto piglio riuscendo a farci percepire la vicenda sempre come realistica pur sfociando praticamente nell'horror. Hopkins è una scelta indovinata perché dona al suo personaggio la dignità e l'umiltà da non farlo sembrare un semplice invasato, meno riuscita l'interpretazione della bambina che a volte appare forzatissima. Scorre bene nella prima parte, un po' meno in quella processuale fino ad un finale tesissimo e d'effetto. Buono.
Anche se le manifestazioni di furia sono simili, non si tratta di possessione ma di reincarnazione di un'anima che, a causa del passaggio troppo rapido da un corpo all'altro, non ha avuto il tempo di "purificarsi": regista di un capolavoro sui fantasmi, Wise dirige con abilità ma senza raggiungere quei livelli; l'approccio "realistico" lascia paradossalnente troppo spazio allo scettismo invece di favorire l'immedesimazione nei personaggi (nonostante le buone prove di Mason e Hopkins) e l'epilogo "riparatore" lascia perplessi. Più curioso che riuscito.
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CuriositàBrainiac • 16/08/09 12:36 Call center Davinotti - 1465 interventi
Pur se più volte fu dichiarato come tratto da fatti realmente accuduti, è comunque stato scritto basandosi sulla novella ononima di Frank De Felitta, autore anche di un sequel: "For love of Audrey Rose".