Miniciclo: Quegli amori balordi
Capitolo secondo:
feticismo malinconico
Quando credi (colpevole una distribuzione invisibile, la cover di una vhs che lo spaccia per uno squallido erotico da bancarella sullo stile di Lorenzo Onorati) di vedere una porcata e ti ritrovi un piccolo gioiellino delicato, intenso e ben condotto da una regia attenta e ispirata, che racconta, con finezza e profonda instrospezione psicologica, di un'alienazione mentale, di solitudine, di impossibilità ad amare, di sentimenti congelati che si gettano nell'amore totale verso un oggetto inanimato
Tra
Life size e
Love Object ma senza morbosità, la storia di Stefano (un eccellente Francois Guètary), un giovane impiegato di banca che vive (e ama intensamente) la sua real doll (che però è gonfiabile) interpretata da Stefania Orsola Garello, che si estranea dal mondo nel suo piccolo appartamentino di un anonimo palazzone romano, e vive una storia d'amore alternativa con l'inquietante oggetto del suo desiderio, finchè una sua collega (Maria Vittoria Felli) tenterà di portarlo sulla retta via, cercando di traghettarlo verso l'amore di una donna vera, forse riuscendosi, forse no (l'inaspettato finale suggerisce che la passione per l'oggetto freddo e inanimato è ben più forte dell'amore carnale)
Opera peculiare, stralunata, bizzarra, di un autore tanto interessante quanto incompreso (il cinema di Ninchi darebbe la polvere a registi ben più blasonati e osannati), che rifugge morbosità e facili cadute nell'erotismo da quattro soldi, per concentrarsi sulla solitudine (di rara tristezza il pranzo tra Stefano e la bambola seduti a tavola, con lui che le parla dei suoi progetti e lei che lo fissa gelidamente), a attimi quasi poetici che sfiorano la dolce follia (Stefano porta Brunilde, chiusa in un borsone da viaggio, a teatro, a sentire Mozart, accarezzandole, di tanto in tanto, le dita che escono dalla borsa, finchè una signora, seduta accanto, si accorge della strana "accoppiata") su momenti stranianti e quasi fiabeschi (il picnic nel bosco tra Stefano e la bambola, che, ad un certo punto, le "parla" di quanto anche lei lo ami, con un effetto "favolistico" che tira in ballo dame, castelli e cavalieri), sino a onirismi che sfiorano l'horror (l'incubo "teatrale" notturno di Stefano, dove la bambola, che si chiama Brunilde, prende vita, corre verso una gondola e affoga tendendole la mano), a scoppi d'ira (Claudia che, in un momento di follia dettata dalla gelosia, accoltella Brunilde, e la getta, sgonfia, dietro il divano del salotto, per poi gettarla nella spazzatura), sino al finale , dove Strefano non può non rinunciare all'amore ossessivo e "malato" (e in questo caso balordo) per Brunilde.
Stefano e Claudia che vanno al cinema a vedere
Top Gun, e nell'atrio ci sono i manifesti di
Cobra,
Il colore viola,
Follia d'amore e il prossimamente di
Brivido, la gita in barca a vela, la confessione di Claudia , la scommessa tra colleghi (per portare Stefano a convertirsi alle donne in carne e ossa)
Toccato dalle note struggenti di Marcella Pasquali (sotto la direzione di Bruno Nicolai) e pervaso da un sentore di malinconia disillusione e di struggente solitudine è un film che avrebbe meritato molto di più dell'oblio a cui e stato ingiustamente confinato, trovando in Ninchi un autore di rara finezza e lucidità (si vede che veniva dal teatro), dando al film un aurea molto personale e , a suo modo, poetica.
Insomma, Stefano e una ragazza tutta sua...
IMDB lo dà, inspiegabilmente, come "short" da 40' minuti (!)
Sequenza cult amorbalordiana: Stefano porta Brunilde (la sua amatissima real doll) a fare un picnic domenicale, discutendo con lei di dame e cavalieri, lei le "risponde" con frasi amorose, abbagliata da una luce fiabesca, poi, fanno l'amore...