Claudio Bonivento, noto produttore, tenta la via della regia con questa storia di malavita milanese chiaramente ispirata al personaggio di Angelo Epaminonda (detto “Il tebano”). Di fronte al giudice pronto ad ascoltare (in privato) le sue confessioni, Michele Croce (usare il nome vero evidentemente non era possibile) rivive in flashback, di lustro in lustro, la sua ascesa a boss della cosiddetta “capitale economica”. Dalla costruzione di una sua piccola banda personale (vi ricnosciamo Tony Sperandeo, Ricky Memphis e Ugo Conti, già insieme ad Amendola in LA SCORTA e subito dopo in I MITICI...Leggi tutto) all'amicizia con il boss Loris Corbi/Ennio Fantastichini (nella realtà Francis Turatello, più noto per aver subito in carcere una delle morti più atroci: sventrato e soffocata dalle proprie budella, particolare che Bonivento affronta senza insistere sull’efferatezza). Claudio Amendola, protagonista assoluto nel ruolo di Michele Croce, non convince come in altre occasioni. Ma forse la colpa è di una direzione approssimativa del cast e di un copione che non riesce a cogliere i momenti più significativi nella vita del gangster. Milano è impalpabile (giusto qualche anonima panoramica), la confezione troppo laccata e si respira un'atmosfera di generale sciatteria incapace di restituire il giusto clima crudo di cui il film necessitava per raggiungere una soglia minima di credibilità. Inoltre non c'è una figura capace di emergere, tra quelle di secondo piano: Fantastichini si vede pochissimo, la sua promessa sposa Veronica Pivetti sembra recitare in una fiction e a Sperandeo, Memphis e Conti viene concesso uno spazio minimo punto. C'è poco da raccontare!
Storia romanzata della Milano della mala, Turatello ed Epaminonda, qui mimetizzati sotto altri nomi. Il film si concentra sui caratteri, specialmente su quello di Croce/Epaminonda/Amendola, proletario rabbioso e affamato di successo. Ma il ritratto dell'epoca si ferma ai colletti delle camicie, il contesto storico e sociale è inesistente. Nulla si dice sui rapporti tra i gangster e la mafia, altro tassello importante di quella storia. Un film uguale a tanti altri che spreca un buon cast. Inutili i personaggi femminili.
Debutto alla regia del produttore Bonivento, Altri uomini è la storia romanzata del boss Epaminonda che imperversò nella metropoli lombarda negli anni '70 e '80. Il regista ne ha tratto un discreto film di genere, in cui risulta apprezzabile la ricostruziine ambientale della Milano di quegli anni, vista come ambiente grigio ed ostile perfetto sfondo per le vicende narrate. I personaggi sono resi un po' stereotipati dalla sceneggiatura ma nel complesso il film è godibile anche grazie alle buone interpretazioni di Amendola e Fantastichini.
Bellissimo film sulla malavita, pregno di sanguigna voglia di rapportarsi alla realtà delle cose, con crudezze facenti capo a una gang che vede a capo Amendola. Lui, Iuorio e Sperandeo governano prima il settore delle bische clandestine, poi si tuffano in affari troppo garndi stringendo un accordo con il boss Fantastichini e mal gliene incoglie. Cast ottimo, con un'insolita Pivetti (che pare addirittura carina) e una Montorsi conturbante. Per gli amanti del bis.
Un noto malavitoso ormai in galera ripercorre con il giudice che lo interroga la sua carriera criminale. Signore e signori ecco a voi il Quei bravi ragazzi dei poveri. Ovviamente il paragone è impietoso e non regge. Bonivento, infatti, non
sa far altro che infarcire la sua pellicola di luoghi comuni sulla criminalità e di
elementi visti in altri grandi film del genere senza riuscire a dare spessore nè a quello che racconta nè ai suoi personaggi. A peggiorare le cose un epilogo a dir poco
ridicolo e del tutto inverosimile. Buoni gli attori.
Fotoromanzo criminale? Caratteristi che si muovono disinvolti nel macchiettismo cui sono condannati (il Memphis coatto, l'Amendola antieroe che più umano non si può, lo Sperandeo stereotipo del picciotto consigliori, un Fantastichini a tinta unita opaco il giusto); un taglio narrativo che non disdegna di sporgersi pericolosamente dal finestrino del telenovelismo, in cui affiora tutto il Bonivento commediarolo degli 80's; una maniera registica che fa crawl tra reminiscenze poliziottesche e l'incipiente fiction Mediaset. Ovvero tutti i dovuti annessi e connessi per un ideale guilty pleasure. **
Claudio Bonivento esordisce alla regia con questa sorta di Quei bravi ragazzi in miniatura. Il risultato è piuttosto modesto. Ispirato al libro "Io, il tebano" di Epaminonda, non riesce a evitare la retorica e i personaggi appaiono abbastanza stereotipati. Per quanto riguarda le interpretazioni, Amendola e Memphis non aggiungono altro ai precedenti film interpretati insieme.
Al suo debutto dietro la macchina da presa, il produttore Claudio Bonivento si ispira a fatti e personaggi della malavita milanese anni ’70: se Fantastichini è un alter ego di Francis Turatello, Amendola ricalca Angelo Epaminonda, tragica fine a parte. Buona l'idea ma deludente il risultato: la città si vede pochissimo, l'atmosfera del periodo è praticamente assente, la messa in scena troppo scarna e gli attori non possono certo fare miracoli. Chi ama il genere può trovarlo non del tutto indigeribile, ma chi lo evita non si perde nulla.
Biografia romanzata del boss Epaminonda che tenta di raccontare la malavita milanese a cavallo fra il '70 e l'80, dominata da figure come Turatello e Vallanzasca. Nonostante l'impegno del cast la narrazione rimane sterile, anche perché i fatti più succosi, quelli degli accordi trasversali fra mafie e coperture politiche, rimangono fuori dalla vicenda, che si limita ad enumerare le imprese criminali del protagonista in rigoroso ordine cronologico. Qualche scena funziona, ma il film rimane ai margini della sufficienza a causa soprattutto di uno script inadeguato e poco coinvolgente.
L'idea di raccontare le vicende di Epaminonda e Turatello non era neanche una cattiva idea. Il problema è che questo film resta a metà strada tra un biografico (con cenni alla realtà) e un romanzato (fin troppo in alcune parti). Da censurare la scenografia anni 70, con auto ben inquadrate molto più recenti del periodo indicato (Mercedes W126 nel 1977, Regata Weekend nel 1978! E molte altre...). Finale quantomeno affrettato e al limite della credibilità.
MEMORABILE: La parlata milanese di Conti, unico in tutta Milano.
Claudio Bonivento HA DIRETTO ANCHE...
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La grande scritta LUNA PARK VARESINE che campeggiava nel parco (nel fotogramma vediamo quella più piccola all'ingresso)...
...esiste ancora, grazie all'interessamento dell'artista Patrick Tuttofuoco. LUNA (45.48396825502189, 9.243815997127967) e PARK (45.484234433918616, 9.244327089191756) si trovano su due palazzi di via Ventura, a Lambrate (MI).
VARESINE sembra essere itinerante, anche se qui appare in uno studio di architettura di Vicenza.
Scusate, una curiosità, per chi è di Milano o la conosce bene. Al minuto 18.00 (da youyube), la scena con il pugliese che rimprovera Michele di vendere roba tagliata male, per caso sono al Parco Lambro? Altrimenti che zona è?
Claudio Bonivento ha raccontato che il film si doveva intitolare Professione: criminale ma che la produzione preferì cambiarlo con quello (peraltro incomprensibile) con il quale poi è uscito.
Fonte: Luca Pallanch, Domenico Monetti, Per i soldi o per la gloria