Kim Ki-Duk, con questo film, introduce un nuovo elemento nella sua narrazione: la guerra di Corea o per meglio dire gli effetti che ha prodotto sulla generazione successiva alla stessa. Lo fa indirettamente mostrando la vita di tre persone il cui dolore è conseguenza del conflitto avvenuto negli anni 50. Il film è duro, un pugno nello stomaco. Non c'è spazio per la felicità o l'amore (se non rubati). Uno dei più bei film di questo straordinario regista.
Il regista cinese abbandona il mondo surreale de L’isola. Siamo negli anni ’70, tre giovani (Chang-gook, Ji-hum e Eun-ok) sono accumunati da un passato meschino. Viene descritta la situazione in cui vivevano i coreani e i soldati americani in quell'epoca. L’incedere con situazioni grottesche, le sterzate verso la violenza fisica ed autolesionista sono gli elementi che Ki-duk porta con sé dal film precedente. Questa volta però alza il tiro: vengono messe ben a fuoco le derive dei protagonisti, il melodramma è tagliente e corale: si divide tra deliri e sadismo.
MEMORABILE: La ragazza che dopo essere guarita si riacceca da sola.
Esistenze ai margini di una base militare americana nella Corea del sud degli anni '70, ancora pesantemente segnati da una guerra civile a cui non è mai seguita la pace. Squallore ambientale e sociale che si traduce in violenza, abiezione morale, rassegnazione, sporcando anche i sentimenti più puri, rendendo vana ogni speranza. Fra i migliori film del suo primo periodo, quest'opera di Kim Ki-Duk trova forse un limite in un pessimismo tanto radicale che rischia di generare assuefazione. Comunque potente, spietato ai limiti del tollerabile, da vedere preparandosi al peggio.
MEMORABILE: L'uccisione e la macellazione dei cani; vagando nei campi gelati, la madre cerca il figlio ed infine lo trova
Intorno a una base americana la popolazione sopravvive tra desolazione umana e ambientale. Descrizione della Corea postguerra che nutre rispetto per chi li ha aiutati ma non sa vivere senza violenza: Ki-Duk insiste talmente con essa al punto da renderne quotidiano l'abuso e farlo diventare una consuetudine. Sprazzi di grande cinema che a tratti diviene didascalico e che lascia un vuoto esistenziale senza grosse speranze. Anche i militari che si esercitano nel nulla divengono la nota grottesca che può portare alla pazzia.
MEMORABILE: L'autoerotismo col cane; L'occhio finto sopra quello offeso; Strozzato dal tirare dei cani; Il corpo che fuoriesce dal terreno.
Kim Ki-Duk HA DIRETTO ANCHE...
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Il regista cinese abbandona il mondo surreale de L’Isola, e ci trasporta in una cittadina coreana a lungo dominata da una base militare USA. Siamo negli anni ’70, tre giovani: Chang-gook, Ji-hum e Eun-ok sono accumunati da un passato meschino, le loro vite sono state profondamente segnate dalla guerra di Corea conclusasi cinquant’anni prima. Viene descritta la situazione in cui vivevano i coreani e i soldati americani in quell'epoca. L’incedere con situazioni grottesche, le sterzate sulla violenza fisica ed autolesionista, lo spiazzare lo spettatore, sono gli elementi che ki-duk porta con sé dal film precedente. Questa volta però alza il tiro: vengono messe ben a fuoco le derive dei protagonisti, il melodramma è tagliente e corale: si divide tra deliri e sadismo. L’amore e la felicità vengono annullate in favore di un senso di impotenza e solitudine misto a tragedia e rabbia. Tende forse a sfilacciarsi dal punto di vista narrativo nella seconda parte, ma il respiro rimane vivo.