Adam resurrected - Film (2008)

Jeff Goldblum probabilmente aspettava un'occasione del genere da lustri, imbrigliato tra particine secondarie in filmetti semi-invisibili. Ecco arrivare dunque un ruolo di/da mattatore, che gli permette di recitare a 360° e di cambiare registro ad ogni cambio di scena, di dimostrare che la classe non è acqua e che lui è (ancora) un grande attore. Per il resto il film è abbastanza solido eppure un filino deludente sia per un impianto drammatico piuttosto prevedibile e scoperto sia perché da Schrader è lecito aspettarsi sempre un qualcosa in più.

Film che avrebbe potuto essere bello ma che talvolta gira a vuoto e vanifica, in parte, una buona prestazione di Goldblum. Sarebbe stato necessario dare migliore sottolineatura ai momenti drammatici (che pure non mancano) e limitare i flashback nel passato. Dafoe appare sprecato come comandante nazista mentre i personaggi del sanatorio, ben fotografato come ambiente anni 60, dopo un po’ perdono energia.

Artista da circo, reduce dai campi di sterminio dove ha perso moglie e figli, Adam ora vive in Israele, ospite forzato di una clinica nel deserto che accoglie altri sopravvissuti con problemi psichici. L'unica cura per lui sarà curare un altro paziente. Il presente di architetture astratte e follia contagiosa si alterna ai ricordi atroci del passato (Adam faceva da "cane" al comandante del lager) in un film imperfetto ma vivificato e reso prezioso dalla straordinaria prova di Goldblum, alle prese con un personaggio ricco e sfaccettato.

Vivere la vita o recitarla? Recitare anche quando non si vorrebbe, abbaiare per salvare la propria vita (forzatamente) ed esprimere la propria disperazione suonando più in fretta il violino. Da un lager all'altro, tra perversioni cattive e perversioni "buone" e avere l'occasione, attraverso gli occhi di un bambino, di ricordare e capire, ritrovare la propria coscienza e scegliere nel giusto modo, anche se gli altri non capiscono. Jeff Goldblum al suo massimo, protagonista assoluto di un film che parla in un modo diverso, ma incisivo, della Shoah.

Tralascio l'interpretazione magistrale di Jeff Goldblum, assolutamente fuori dai canoni di un giudizio umano, ma forse unico elemento positivo del film. Un film che tenta di affrontare l'Olocausto, la Storia più assurda, con l'assurdità, l'ironia sardonica, forse eccessivamente mutuata in sadismo. Purtroppo questo tentativo azzardato appare abbastanza fuori controllo e con eccessiva naturalezza "meccanica" si precipita nel grottesco e nella morte stessa del senso della tragedia. Troppo fuori controllo.

Approcciare il tema dell’Olocausto in maniera inconsueta e suscettibile di alternativi punti di vista era evidentemente una missione possibile solo per un visionario del dolore come il regista di Hardcore. Schrader innesta così la Storia della shoah nella vicenda personale di un “bigger than life” come Adam Stein, riconducendola nel proprio universo filmico di resurrezione messianica. Non completamente riuscito ma di una temerarietà che merita condiscendenza. Ha il merito aggiuntivo di offrire a Goldblum un ruolo degno della sua istrionica umanità.

Storia di vertigini umane e metamorfosi animali, quella del clown ebreo nel manicomio per sopravvissuti ai lager: discesa negli abissi della memoria e risalita grazie a un ragazzino. Plot intenso (col segno-chiave della trasformazione canina o col parallelo carcerario tra passato e presente) da un romanzo che si intuisce notevole, ma che qui non ingrana bene, nonostante Goldblum (nella sua miglior performance) e alcuni bei momenti. Ma i flashback zavorrano verso l’ennesima (scialba) rievocazione della Shoah e l’insieme è un po’ scoordinato.

L'olocausto del manicomio, il manicomio dell'olocausto. La sintesi superiore di lager e malattia mentale, ambedue risanate dalla sacca resistenziale e maieutica dell'energetismo artistico. Schrader al passo più lungo d'ogni gamba (specie delle quattro zampe di Adam Stein e del suo doppio anamnestico), fatto in virtù di un incontenibile Goldblum alla sua prova più tellurica carismatica e commovente, cronotrasportata ed eleatica mosca bianca d'una maschera tragica che riconduce a Keaton come a Totò e ci ricorda che retrogusto lascia in bocca l'acqua. Quando il cinema è antiossidante.