Nel segno del thriller: alternativamente a Sanremo
Un pò
I delitti del rosario, un pò
Color me blood red (l'ossessione del dipingere che và di pari passo con la morte e i delitti), questo thrillerone tipicamente novantiano ha azzeccate atmosfere cupe e plumbee e non è del tutto disprezzabile.
In primis un grandissimo Brad Dourif nel ruolo dell'improbabile parrocco/investigatore, dove l'attore presta i suoi tic e le sue espressioni "schizzate" alla figura di un prete combattutto tra i piaceri della carne (cultissima la sequenza in cui sogna di fare all'amore con l'avvenente spogliarellista Nicole) e la voglia di giustizia (acciuffare il serial killer che uccide "donnacce" e che lo stà incastrando, facendo ricadere i crimini su di lui).
Divertente notare i ruoli scambiati: Dourif un parrocco coscenzioso e giustizialista (con quella faccia lì), mentre il serial killer (David Ledingham) è il solito belloccio dannato, invasato dalla misoginia e maniaco della purezza dell'anima, che usa la pittura per rappresentare il lato peccaminoso delle donne, che poi strangola con una corda metallica appendiquadri (lasciando un rosario sul corpo della vittima).
Il prete alla padre Brown di Dourif non si fa problemi ad assistere a spogliarelli audaci nei night (Maria Ford è da sturbo quando mena il sederino), o a fare visite eclesiastiche nei porno shop stile
Hardcore (ma assomiglia più a quella dell'
Ululato) e a ospitare "pecorelle" smarrite come la provocante Nicole, di cui il parrocco non ha certo pensieri "paterni" o salvifici.
Sul lato meramente thriller, Morneau (poi specializzatosi in sequel da bancarella di alcuni cult movie) si affida ad una fotografia postmoderna da apocalittico metropolitano, anticipando alcuni stilemi del
Resurrection mulchayiano (che a sua volta scimmiottava
Seven), mostrando omicidi esangui (gli strangolamenti ai danni delle ragazze), ma almeno quello commesso sulla bionda Sherrie Rose non è malaccio, con la ragazza prima accalappiata alla gola, eppoi impiccata al cartellone pubblicitario e il pestaggio ai danni Kristin Dattilo.
Un improbabilissimo Isaac Hayes come detective della polizia che è convinto che sia Dourif l'autore dei femminicidi, Dourif che deve farsi in quattro per scagionarsi e catturare il vero colpevole, che nel frattempo dà di matto ad una mostra d'arte.
Il confronto finale, nello stabile dove vive e dipinge il killer, simile all'abitazione squallida di Seth Brundle ne
La Mosca, avviene tra fiamme , violente lotte corpo a corpo e sparachiodi, ma si risolve, ahimè, in un nulla di fatto, lasciando un pò l'amaro in bocca.
Karen Black (che lascia sempre il segno) appare nel ruolo della madre sfatta e fanaticamente religiosa del killer, Maria Ford è da infarto, tutta curve e tacchi alti, Simone Allen ha un viso dolcissimo (sembra la Phoebe Cates dai capelli corti) e da antologia quando scopre il macabro e infernale dipinto che le ha fatto il killer (di cui, lei, inconsapevole dei suoi "vizietti", ne è innamorata) e su tutto regna un mood quasi da "satanic movie" (amplificato dal tronfio e poco adatto commento musicale di Terry Plumeri, più consono a roba tipo
Giorni contati)
Alla fine un discreto thrillerino, tenuto in piedi dalla buona professionalità di Morneau, dall'interpretazione del sempre ottimo Dourif, dal comparto femminile e dalle capatine nella zona a luci rosse di Los Angeles.
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Del tutto assurdo il divieto ai 18 (per l'home video) nel retro cover della vhs.