il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

IL PAESE DI MONTECELIO
uno spicchio di Sud a Roma
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  • Film: Diabolik - Chi sei? (2023)
  • Luogo del film: La piazza dove i rapinatori in fuga sparano alle gomme del pullman scolastico
  • Luogo reale: Piazza dei Martiri 1943 - 1945, Bologna, Bologna
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  • Film: Cosa sarà (2020)
  • Multilocation: Terrazza Mascagni
  • Luogo reale: Terrazza Mascagni, Livorno, Livorno
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Marina Jlina

    Marina Jlina

  • Gianni Gori

    Gianni Gori

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Noodles
Cortometraggio degno di nota dell'esperto Vittorio De Seta. Pur essendo un documentario, il regista riesce a dare un ritmo da film a soggetto, ed è in grado di mostrare un momento della vita dei pescatori siciliani come un film. La preparazione, l'attesa, la festa, con abbondante sangue (purtroppo dei poveri tonni). Vincente anche la scelta di lasciare fare tutto all'atmosfera sospesa, evitando un'inutile voce fuori campo, che in quegli anni risultava spesso fastidiosa. Lavoro notevole che mostra dal vero un spaccato di vita vera e di grande povertà. De Seta da riscoprire.
Commento di: Flazich
Margherita è un genio matematico che vive nella sua bolla di confort zone fino a quando, a causa di un insuccesso accademico, decide di abbandonare tutto e, così facendo, affrontare il mondo con le sue regole. Film di formazione personale, anche se il personaggio di Margherita ha venticinque anni. La regista gira una pellicola molto delicata con grande sensibilità. L'evoluzione del personaggio è credibile ed Ella Rumpf è veramente centrata nella parte della ragazza anafettiva e rigida.
Commento di: Giùan
"Non gradito" negli States, gangster di origini italiane viene rispedito nel suolo patrio dove si metterà sulla retta via. Girato tra Napoli e Toscana, curioso ma disordinato noir che, nonostante la regia attenta di Siodmak, la sceneggiatura "folkloristica" fa vieppiù scivolare negli incerti territori della redenzione artificiosa e del conflitto manicheo bene contro male. Se la Toren e la Berti se la cavano bene nei ruoli dell'aristocratica benefattrice e della femme fatale popolare, Chandler c'entra come i popcorn a colazione, al confronto anche con gli ammirevoli Rizzo e Minciotti.
Commento di: Harden1980
Ennesimo epigono di James Bond privo di qualsiasi charme e carisma (e anche di budget). Tutto langue, a cominciare dalla storia che è praticamente inesistente (durante la Guerra Fredda agenti della C.I.A. fanno il doppio gioco). Il ritmo è fiacco e a poco o nulla può il fascino dell'ambigua Bouchet nei panni di un'agente traditrice in incognito. Un piccolo prodotto di terza visione non brutto ma noioso. Trascurabile.
Commento di: Buiomega71
Cinema prettamente femminile, una storia di donne in cui la Mészáros immerge il tutto in un'atmosfera fosca, sospesa, intinta di decadenza viscontiana (gli interni della grande villa), con echi a Bergman (viene in mente Sinfonia d'autunno) e al connazionale Szabó (lo spettro del nazismo come avverrà in Mephisto), soffermandosi sui crucci esistenzialisti (la sterilità) e su pudici attimi d'amore. Nonostante il grande rigore formale della messa in scena (costumi, fotografia, scenografie e musiche), il tutto è pedante, narcolettico, fastidiosamente uterino/autoriale e non poco snob.
Commento di: Franz
Incalzante e mastodontico, una gioia per gli occhi e per i sensi; i mezzi meccanici strampalati con i quali i personaggi corrono, lottano, scappano o sfondano cancelli e muri ecc sono ancora più fantasiosi e parossistici dei film precedenti. La storia è coinvolgente, è per certi versi un romanzo di formazione, di vendetta e compimento di un destino, la protagonista sia bambina che ragazza convince nelle sue motivazioni e nel suo percorso. C'è molto di epico e di filosofico, anche di "attuale". Fotografia da brividi. Riuscitissimo.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Elspeth McGillicuddy (Ferris), un'anziana signora, è seduta nello scompartimento del suo treno a osservare divertita quello che accade fuori dal finestrino quando, incrociando un altro convoglio, si accorge con orrore che lì qualcuno sta strangolando una povera donna: la visione di un attimo, ma nitida. Tanto che, appena scesa, Elspeth decide di denunciare l'accaduto. La polizia naturalmente indaga, ma quando la signora torna in centrale con l'amica che stava andando a trovare, ovvero Miss Marple (McEwan), viene trattata come una visionaria, presa in giro dall'agente...Leggi tutto che le spiega come nessun cadavere sia stato trovato nei vagoni e del supposto delitto non esista traccia alcuna.

L'unica a credere a Elspeth è Miss Marple, che le fa capire come, perché anche la polizia si convinca del delitto, è esiziale che il corpo salti fuori. Studiando il tragitto del treno, le due capiscono come l'unico punto in cui l'assassino può essersi sbarazzato del cadavere sia la tenuta dei Crackenthorpe, a fianco dei binari. Per questo Marple chiede alla sua bella nipote, Lucy Eyelesbarrow (Holden), di farsi assumere come cuoca e governante dai Crackenthorpe e, nel frattempo, di cercare di capire dove potrebbe trovarsi, all’interno della tenuta, il corpo scomparso. Lucy accetta e con lei conosciamo la numerosa famiglia proprietaria della splendida villa, composta perlopiù dai figli di un uomo che ha da poco (nel prologo) perso la moglie e che si rivela felice di assumere Lucy alle sue dipendenze.

Il cadavere spunterà in breve tempo, ma ci sarà da capire - cosa più importante - l'identità del killer; e a questo penserà soprattutto Miss Marple, prevedibilmente, che tra uno sherry e l'altro si intrufolerà negli intrighi della ricca famiglia scoprendo molti altarini.

Un intreccio classico, per la Christie, che l'episodio ambienta perlopiù all'interno della meravigliosa villa con parco annesso che funge da set. I personaggi che vi gravitano intorno sono molti - come sempre - e piuttosto ben caratterizzati, mentre si scorge nella sceneggiatura qualche tocco ironico in più rispetto alla norma, con una Marple particolarmente acuta e sorniona. Variante interessante un avvelenamento di gruppo (rispetto al quale si avrà una soluzione geniale), ma a lasciare soddisfatti è anche la conclusione di questo "finestrino sul cortile" (l'inizio ricorda proprio una versione "da treno" del classico hitchcockiano) ben congegnato che segue piuttosto fedelmente la traccia del romanzo. Non che le dinamiche interne alla famiglia si rivelino troppo interessanti (né si rilevano interpretazioni particolarmente convincenti), a dire il vero, e l'inevitabile staticità data dalla location unica non aiuta a dare varietà, però il meccanismo soddisfa a sufficienza e l'appassionato gradirà.

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Quasi nulli i collegamenti col primo capitolo, dal quale il “sequel” eredita esclusivamente la presenza di Kevin Hart nella parte di se stesso e la sua ossessione per l’interpretare film action in un’epoca in cui lo costringono quasi sempre a recitare davanti al green screen.

Dopo aver tentato invano...Leggi tutto di convincere una produttrice a leggere il suo copione - distruggendo un locale per una messinscena distruttiva in cui una banda di falsi criminali irrompe per poi farsi menare da lui per dimostrare quanto potrebbe essere efficace un film così - Hart accetta di presentarsi da un misterioso produttore svedese (Kriek) che ha detto di voler investire su di lui. In realtà questi lo narcotizza e lo lega confinandolo insieme alla sua collega Jordan (Emmanuel) in un buio scantinato dove s’aggira minaccioso un gigantesco uomo in maschera con un’ascia. E’ solo un film, una scena inventata per metterlo alla prova? No, ma ben presto il protagonista capirà che il vero pericolo è uno stuntman da lui licenziato tempo prima (sempre interpretato da Hart naturalmente, con dentatura finta) che si vuole sostituire a lui per viverne in prima persona il successo. Insieme al proprio fedelissimo assistente, Andre (Schwartz), e a Jordan, Hart cercherà di risolvere il problema andando a parlare con un altro stuntman (Cena) amico di Doug…

Un intreccio piuttosto caotico e slegato che nella seconda parte trova il suo assestamento grazie anche a qualche gag che va a segno. La brillante, petulante invadenza di Andre dà a Ben Schwartz la possibilità di azzeccare un personaggio abbastanza centrato, mentre l’impronta caricaturale di molte scene indirizza il tutto verso la commedia a tratti demenziale. Un po’ troppo esagitata, comunque, perché Hart strilla e protesta per buona parte del tempo, tanto che la calma olimpica di John Cena (notevole la prima scena in casa col te bollente) offre una ventata di piacevole tranquillità. Sufficientemente indovinata anche Paula Pell nel ruolo di madre di Andre, che ospita Hart ferito in casa mentre suo figlio e Jordan vanno in città scoprendo come Doug abbia sostituito Hart senza che nessuno si sia accorto di nulla.

Più commedia che action, come in fondo era il numero uno, con un gruppo di scatenati che fa il diavolo a quattro provocando tuttavia più rumore che divertimento. Comicità fracassona insomma, tipica di una certa Hollywood, con Kevin Hart aspirante action hero e un po’ di buffe figure a fargli da spalla alternativamente. Un film inconsistente e nel complesso anonimo, che fa trascorrere un’ora e mezza strappando di tanto in tanto qualche sorriso mentre la regia cerca soprattutto di tenere alto il ritmo con dialoghi veloci, stacchi e battute; ma la noia impiega poco a fare capolino…

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Nel portare su grande schermo la pièce di David Mamet vista a teatro nel 2017, Luca Barbareschi celebra l'autore Premio Pulitzer riconoscendone di fatto l'acume e le indubbie capacità di scrittura. Che non mancano di evidenziarsi anche qui, naturalmente, ma prigioniere di un involucro che le avvolge in un oceano di parole in apparenza troppo spesso ripetitive, reiterando un modesto numero di concetti espanso in dialoghi talora interminabili che accorciare non sarebbe stato certo un delitto.

Ambientato in una New York plumbea molto ben fotografata ma perlopiù...Leggi tutto girato in interni, il film racconta i tormenti del dottor Carlos Hirsch (Barbareschi), psichiatra ebreo che aveva in cura un giovane (Ciavoni) il quale, con una pistola, ha compiuto una strage nel college dove studiava. Fino a che punto arriva la responsabilità del medico, in questi casi? E' lecito passare agli investigatori gli appunti delle sedute in spregio al vincolo di segretezza imposto dal mestiere? E' giusto rifiutarsi di testimoniare in difesa del proprio paziente? O accettare senza agire legalmente contro le false, spregevoli accuse di un giornale che ti accusa di aver definito aberrante il comportamento omosessuale? E' soprattutto quest'ultima la chiave interpretativa che, almeno nella prima parte, funge da fulcro intorno al quale ruota una lunga serie di interrogativi che prevedono anche inevitabili implicazioni filosofiche e religiose.

Confrontandosi lungamente con la moglie (McCormack) e il proprio avvocato (James), Carlos mette in luce un carattere duro ma non irragionevole, forte di convinzioni derivate da una fede in Dio che diventa progressivamente un altro dei cardini della storia, impostata sulle relazioni fra soli tre personaggi (più un quarto, il Pubblico Ministero interpretato da Adrian Leister, che compare sì in un'unica scena, ma di lunghezza estenuante).

La regia di Barbareschi ha il preciso compito di dare in qualche modo dinamicità a un'opera palesemente costruita sulla sceneggiatura di Mamet, e in questo può dirsi riuscita. Con una buona alternanza di primi piani, giochi di campo e controcampo, riprese fluide in interni ottimamente arredati, Barbareschi mette in luce buona tecnica. Il problema sta piuttosto nella sceneggiatura di Mamet, oltremodo prolissa e agganciata a frasi che raramente riescono a rivelarsi efficaci quanto vorrebbero. E' in particolare l'incontro col Pubblico Ministero, in cui più subentrano le scomode domande connesse alla fede di Carlos, a far emergere - nonostante la maturità e lo spessore umano evidenziati - la pedanteria di frasi e concetti che sembrano girare perennemente intorno a se stessi, in cui le ambizioni di uno script ponderato, a tratti profondo, si scontrano con l'incapacità di renderle accessibili attraverso una sintesi che avrebbe permesso di renderle incisive come meritavano.

Più originali e interessanti gli scambi sui dubbi relativi alla linea di attacco da tenere contro il giornale che ha infamato Carlos distruggendone la reputazione, con l'avvocato impegnato a far capire quanto sia sciocco pensare di poter vincere contro chi ha chiaramente distorto i tuoi pensieri ma ha dalla sua studi di avvocati pressoché imbattibili. Barbareschi si conferma ottimo attore in grado dare la necessaria intensità al proprio personaggio e non si può dire che le sue “spalle” non siano all’altezza; tuttavia i lunghi confronti con la McCormack ad esempio, che analizzano la medesima situazione filtrata però dall'ottica sentimentale e dal rapporto coniugale, non risultano - per quanto accesi - granché coinvolgenti. Non trascurabile l'apporto delle musiche, a conferma di una confezione di qualità e del desiderio di proporre una rilettura compiuta e riflessiva dell’opera di Mamet che ne colga la saggezza conferendo ai personaggi una statura intellettuale superiore. In alcuni passaggi un film notevole, in troppi altri macchinoso e traccheggiante.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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