il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

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339517 commenti | 64194 titoli | 25472 Location | 12657 Volti

Streaming: pagine dedicate

Location Zone

  • Film: Matrimonio a Parigi (2011)
  • Multilocation: Casa San Giuseppe
  • Luogo reale: Via Aurelia Antica 446, Roma, Roma
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  • Film: Lubo (2023)
  • Luogo del film: Il campo dove Lubo (Rogowski) svolge l'addestramento militare
  • Luogo reale: Malga Fane, Rio di Pusteria - Muehlbach, Bolzano/Bozen
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Gaetano Guacci

    Gaetano Guacci

  • Adriana de Roberto

    Adriana de Roberto

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Luluke
Storia minima, che serve solo da spunto per una specie di "come siamo ridotti" degli ultimi reduci della Magliana, vecchi, sporchi ma ancora cattivi. Migliori però di quelle guardie che uccidono come i fratelli Savi ai tempi della Uno bianca. Pescando un po' qua e un po' là, riproponendo la stessa Roma di Suburra, qui più di giorno e un nuovo intreccio a incastri, Sollima riesce comunque a gestire bene l'eccellente cast a disposizione. Che non delude, anzi sostiene un film che parte un po' troppo lentamente e presenta alcune lacune di scrittura, compreso un finale piuttosto anonimo.
Commento di: Pinhead80
Due fratelli squattrinati cercano in tutti i modi di racimolare i soldi per poter passare una serata di baldori, ma le prime difficoltà arrivano quando si ritrovano a dover pagare il conto della carrozza. Divertente cortometraggio che vede come protagonista la coppia formata da Linder e da Urban (con il secondo che non sfigura affatto), ricco di gag e in generale di situazioni che portano lo spettatore a divertirsi. Interessante anche la trovata della rapina con il finto poliziotto che viene poi ricompensato. Un'opera davvero interessante che merita almeno una visione.
Commento di: Alex75
Una coppia in crisi con sconosciuto in un interno è il nucleo di un thriller opprimente che gioca molto (e piuttosto bene, anche se senza picchi) sull’ambiguità del “terzo incomodo” e della situazione esterna, ma che cala e si rifugia in soluzioni forzate quando questa viene dissipata, fino al secco e gratuito epilogo, che lascia il senso di un’occasione non pienamente colta; la prestazione del cast è piuttosto diseguale: Bell si fa apprezzare per le sfumature del suo personaggio; la Newton mostra carattere; Murphy è l’anello debole (in tutti i sensi) del film.
Commento di: Giùan
Tra le più longeve riuscite di Franco e Ciccio, sorretti dalla patentata vena sovversiva (surreale e coprofagica al contempo) di Cicero. In particolare il film funziona stupendamente fino all'ingresso in scena del congegno elettronico NATO (idea che avrebbe meritato di esser utilizzata con più "cura" comica come il finale in parata per il 2 giugno), inanellando una serie di gag a "striscia" quasi immancabilmente divertenti: memorabili quelle nella casa/chiatta e con protagonisti la irrefrenabile Angela Luce/Donna Rosa e l'esaminatore Pagnani. Poco teorico ma di bella pratica comica.
Commento di: Bullseye2
Ultime grida: se la savana era violenta, figuriamoci la città! Assoluto monumento exploitation all'eco-vengeance dai profondi toni romeriani e carpenteriani (soprattutto nell'eccellente ost di Patucchi) resta forse l'ultimo vero grande esempio del più glorioso cinema-bis nostrano; certo, l'argomento nuovo non era nemmeno all'epoca, tuttavia Prosperi dimostra la verità del detto "Italians do it better" colorando le sue bestie feroci di Argento vivo, oscuri toni degni del miglior Fulci per terminare, sublime, da Narciso. Un capolavoro oscuro, inquietante ed eccitante come la notte.
Commento di: Pinhead80
Chiara è una ragazzina di quindici anni che tutto a un tratto si trova a dover fare i conti con una realtà scomoda e difficile da accettare. Il padre infatti è un latitante della 'ndrangheta e di colpo sparisce dalla sua vita. Carpignano continua a raccontare storie di una Gioia Tauro immersa nell'omertà e nelle rigide tradizioni familiari imposte dalle 'ndrine. Attraverso la forza propulsiva di una ragazza nasce però la speranza che le cose possano cambiare in meglio. Le due feste di compleanno all'inizio e alla fine sono lo specchio di due realtà opposte ma entrambe possibili.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Per girare un film intero nello stesso ambiente ci vuole una sceneggiatura di ferro, figurarsi per comporre una serie in sei puntate! E infatti l'operazione si fa presto faticosa da seguire, anche per colpa del solito rimpallo tra presente e passato complicato da rimbalzi ulteriori che rimescolano il racconto della superstite di una disgrazia. Questa è Maggie Mitchell (O'Donnelly), giovane medico parte della spedizione che avrebbe dovuto trascorrere i sei mesi invernali all'interno della stazione Polaris VI in Antartide per alcune ricerche a quanto pare non rinviabili. Qualcosa...Leggi tutto però va storto, e Johan Berg (Willaume), il marito di Annika (Bach), ricercatrice che aveva scelto di rimanere alla Polaris, fa ritorno in anticipo con una squadra perché da troppo tempo non aveva notizie della moglie.

Infatti, una volta entrati nella Polaris VI, i nostri hanno una brutta sorpresa: cadaveri in quantità e Annika che non si trova da nessuna parte. Dov'è finita? E soprattutto: cos'è successo lì dentro? Pagato il doveroso tributo a Carpenter col gruppo a seguire in tv LA COSA, la serie prende il vero avvio quando Maggie sbuca fuori, urlando, dal mobiletto entro cui si era nascosta. E' sotto shock, ma quando si riprende comincia subito a raccontare. Quello che rivivrà in flashback sarà quello che noi stessi andremo a scoprire passo dopo passo, anche con l'aiuto di un secondo superstite, Arthur Wilde (Lynch), uno scienziato dall'aria un po' losca che mette subito in cattiva luce la povera Maggie insinuando come lei non sia quello che dice di essere. Poco conta però, perché per il momento è bene fare ordine su quanto è accaduto, notando come si inneschi un meccanismo alla "Dieci piccoli indiani" con un presunto colpevole nascosto tra gli ospiti della stazione che cominciano a morire uno dopo l'altro. Non si tratta tuttavia di misteriosi delitti ma, a quanto pare, quasi sempre l’opera di una mano ben visibile.

All'interno dei flashback rivissuti grazie alla memoria di Maggie ne partono poi a sorpresa di ulteriori che riguardano la spedizione precedente in una differente stazione, la Polaris V, durante la quale si era registrata la morte di uno dei componenti, tale Sarah Jackson (Wehrly), in circostanze quantomeno sospette. L'interpolazione tra i due diversi periodi rischia di creare non poca confusione, ma è anche la testimonianza di un soggetto che, con una sceneggiatura più curata e un minimo di linearità, avrebbe potuto risultare molto più godibile.

Invece i particolari del tutto improbabili non si contano, così come improbabili appaiono certi personaggi (in primis il ricercatore, che oltre a non raccontare mai alcunché di relativo alle sue mansioni, ha una faccia che tutto si direbbe tranne quella di un uomo di scienza). E se non improbabile, anche il resto del cast non entusiasma: o sono figure del tutto anonime (Ramon, Aki, Rachel...) o antipatiche e stereotipate senza fantasia alcuna. Le banalità si sprecano e la gran quantità di riempitivi portano le prime puntate a concludersi con un nulla di fatto o quasi. Ci vuole un bel po' per ingranare e soprattutto per capire che sì, una storia dietro c'è e prevede anche un buon colpo di scena in coda. Ma andava sostenuta da una regia capace di smuovere meglio la palude in cui rischiano sempre di finire i film ad ambiente unico. Se non altro l'epilogo chiude senza portarci a pensare che siano necessarie ulteriori stagioni…

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I tarocchi e l'horror si sposano bene da sempre: profezie, carte dall'appeal malefico, quei disegni così evocativi... Viene in mente l'incipit della CASA NERA di Craven, ma quante volte le ha viste passare sugli schermi, l’appassionato di genere: il matto, il giullare, l'impiccato, la morte... Figure...Leggi tutto sinistre che aspettavano solo la loro bella versione “live action”, pronte ad animarsi nel buio per spaventare i malcapitati di turno; che sono, ma guarda un po', i soliti giovinastri in vena di festeggiare dopo aver affittato semplicemente la villa sbagliata per farlo. Il prologo è ambientato lì dentro, e quando i ragazzacci han finito l'alcol ecco che cominciano a rovistare negli anfratti fino a trovarci il mazzo di carte maledetto. Che non sarà il Necronomicon ma il suo potere ce l'ha, e siccome nel gruppo non poteva mancare l'appassionata di astrologia, ecco che l'unione tra tarocchi e oroscopi sprigiona la miscela infernale.

Haley (Slater) siede sul pavimento e comincia a fare la carte a ognuno dei suoi amici: parte dal loro segno zodiacale e lo incrocia con le figure estratte per declamare una fosca predizione da interpretare e che - ma va? - anticipa quello che a ognuno di loro capiterà nel prosieguo; altrimenti non si vedrebbe proprio, il motivo di tediarci con verbosi vaticini che paiono interminabili…

Partono i titoli di testa (ben in ritardo) e si comincia. Come? Indovinate un po'... La prima vittima designata sale in soffitta da una scala a pioli e nel buio zac... si piglia una coltellata in faccia; o qualcosa di simile perché nell'oscurità ben poco si capisce: sarà un po' il desolante leitmotiv del film, il buio quasi costante nei momenti chiave. Lo splatter si rivela assai scarso, per nulla fantasioso (e in questo ci si allontana molto dalla matrice eighties che sembrava il punto di partenza fin dalla "Things Can Only Get Better" di Howard Jones di poco prima) e l’attenzione si rivolge soprattutto alla messa in scena dei delitti. Per fortuna qualche idea discreta salta fuori, anche se certo non nuova (si veda l'oscurità che avanza progressivamente nei tunnel della metropolitana), e insomma... con un po' di mestiere in regia qualcosa si salva.

Di fronte a personaggi tanto vuoti, tuttavia, a dialoghi tanto odiosamente impostati senza un briciolo di voglia di uscire dai canoni della serie B più becera... le braccia cascano spesso. L'antipatia suscitata da caratterizzazioni figlie di un frustrato desiderio di apparire brillanti (si veda il nerd sovrappeso e logorroico interpretato da Jacob Batalon) non aiutano a seguire un film che invece come ritmi si autososterrebbe decentemente. Né lo fanno i mostri dei tarocchi, quasi sempre nascosti nel buio, presenze che nemmeno i soliti jumpscare in sequenza riescono a rendere spaventosi.

Spenser Cohen e Anna Halberg, che oltre a dirigere e produrre si scrivono pure la sceneggiatura a partire dal romanzo di Nicholas Adams (e ci si chiede come possa esistere davvero un romanzo, considerando la pochezza della storia), sfruttano i meccanismi del genere per dar vita a un horror che più telefonato non potrebbe essere. E quando i nostri si ritrovano a pensare che gli autori dei delitti potrebbero nascondersi tra loro in un immotivato, risibile rigurgito christieiano, ci si chiede se non ci si trovi nel bel mezzo di una parodia, suggerita anche da un poliziotto che ciancia di suicidi di fronte a delitti con tutta evidenza impossibili da catalogare come tali. All'apparire dell'esperta di tarocchi stregati (Fouèrè), cui spetta il compito di estenuarci con l'inutile storiella del mazzo maledetto, intuiamo che non si vuole tralasciare neanche un luogo comune; quindi cosa resta? Un po' di fumo negli occhi, come l'agguato stile illusionista con la ragazza nella cassa da segare in due... Troppo poco!

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Uno strano episodio; lunare, strampalato, profondamente avatiano. Ed è proprio grazie alla regia di Pupi se anche quello che sembra essere disorganizzato, confuso (come negli altri capitoli della serie “Che fai… ridi?”), qui prende una forma precisa, che lega tra loro scene bizzarre unite da un filo conduttore solido, che le fa crescere raccontando la storia di due guitti bolognesi. Sono Gianni (Cavina) e Carlo (Delle Piane), che da trentasei anni si esibiscono in un locale ora prossimo alla chiusura e che, per il loro ultimo spettacolo, decidono di ripercorrere le tappe...Leggi tutto della loro storia partendo addirittura dai rispettivi genitori (sempre interpretati da loro stessi, nel flashback), quando il padre di Gianni incontrò la madre di Carlo (“una donna molto molto poco seria”).

Il passo successivo è il momento in cui i due protagonisti “impararono il mestiere”, frequentando una scuola di recitazione in città popolata da personaggi buffi ed eccentrici. Avati non arretra di fronte a evitabili lungaggini o a qualche intermezzo ripetitivo, nemmeno quando deve far cantare e suonare i due insieme ad altri elementi di una strana orchestrina “jazz”. Ma aggiunge poi nuovi sketch che si inseriscono nella storia con anomala naturalezza, sempre legati da un tono surreal-demenziale che si fa presto cifra stilistica (come lo fu per TUTTI DEFUNTI... TRANNE I MORTI, in cui sei anni prima gli stessi Cavina e Delle Piane si trovavano alle prese con una parodia horror).

Anche grazie alla consueta, eccellente recitazione dell’affiatata coppia, diretta al meglio dal regista, tutto prende una piega che ispira simpatia in virtù di spontaneità e naturalezza assai caratteristiche, persino quando viene loro in mente di seguire in strada una giovane (si direbbe “stalkerizzare”, oggi) per proporle di partecipare al traffico internazionale che hanno in mente di organizzare, una “tratta delle bianche” alla quale la donna sembra interessata (!). Recatisi nella villa di lei per incontrarne il marito (Tonelli), scoprono che è proprio quest’ultimo a negare lo sfruttamento della propria consorte, ma con argomentazione prive di vera logica…
 
Ancora divertente è la parentesi in cui Gianni avvicina un’altra donna per fidanzarsi e Carlo subito gliela chiede in moglie! Qui un Delle Piane in versione quasi alla Woody Allen è alle prese con un paio di momenti “teneramente” cinici con l'improvvisata consorte da annoverarsi tra i migliori dell’episodio. Si continua alternando scene a loro modo riuscite - sullo sfondo di una Bologna ripresa al meglio da un Avati ispirato - a esibizioni canore o coreografie magari discutibili, troppo prolungate, ma che spesso (non sempre, va detto) si integrano bene al contesto. Il risultato è un episodio che profuma molto più di cinema rispetto agli altri della serie, soprattutto grazie all’ottimo lavoro in regia.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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