Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Film di denuncia su un fatto di cronaca avvenuto in Iraq ai danni dell'alto dirigente del Sismi Nicola Calipari ucciso mentre portava in salvo la giornalista Giuliana Sgrena appena liberata da un rapimento. Ottimo Santamaria che ben si cala nei panni di Calipari dando spessore e intensità, mentre la Bergamasco appare più sottotono, nonostante la consueta professionalità. Il film ha momenti coinvolgenti ma a tratti la storia è fin troppo diluita e il ritmo ne risente. Resta comunque l'amaro in bocca, ovviamente, per come finì il tutto.
Il vieto sentimentalismo e la pervicace applicazione della regola del fucile di Cechov ("Se c'è un fucile in scena, sicuramente qualcuno sparerà") impediscono a Samperi, transitato nelle fiction Mediaset nella fase finale della sua carriera, di dare un benché minimo di autorialità a questa miniserie, nata da un soggetto scritto anche da Costanzo. L'unica di nota di merito è senza alcun'ombra di dubbio Nancy Brilli, spigliata e brillante, anche in un trito ruolo di donna che lotta contro le avversità. Più innaturale e compassato Flaherty. Miserella la ricostruzione d'epoca.
Soggetto per niente originale: le paure che si "materializzano" e danno vita al "contrappasso" si erano già viste nel ben migliore Il pianeta del terrore, il nome Michael lasciamo stare e la statua dell'indiano animata ricorda un po' troppo quella vista in Creepshow 2. Per il resto ottima fotografia ma confezione tipica dei film da blockbuster dei primi anni 2000. Non memorabile ma neppure così brutto, peccato per la scarsa originalità. Discreti gli effetti speciali.
Gary Cohen torna alle sue splatterose goliardate con un sequel narrativamente vacuo (si prende la via episodica della sketch comedy, con risultati altalenanti) ma più efficace e spassoso, in un tour sorprendentemente arguto (quasi depalmiano, come sottolinea il prologo ispirato a Omicidio a luci rosse) di amatorialità metafilmica che mescola diversi piani di (finta) realtà, tra demenziali omicidi e beffarde alternanze di verità e mistificazione, il tutto appropriatamente inserito nella grezza cornice degli shot-on-video. Degno prosecutore dei lavori di H. G. Lewis e di Joel M. Reed.
In quale momento esattamente ci siamo dimenticati di cosa è il patto narrativo? Basta vestirsi come il Re Nudo e mostrare quanto sia bello il vestito del Re che tutti lo ripeteranno. Ecco cosa è "The substance". Un film che si nasconde dietro le inquadrature alla Kubrick, dietro qualche scena disturbante e un messaggio forte per giustificare la totale mancanza di credibilità della storia e della messa in scena. Il film vuole essere in modo moderno una critica al materialismo e l’uso della donna dall’affamata Hollywood; sarebbe potuto essere un grande film, ma non lo è affatto.
La superpoliziotta Mi-seon crede che l'innocuo marito la tradisca: non tutto, però, è come sembra a prima vista. La parte migliore risiede nella prima mezz'ora, quando viene mostrato con un certo brio il ménage matrimoniale fra la signora tutta azione e il timido casalingo, poi ritenuto (a torto) fedifrago. Col passare dei minuti e la rivelazione sul passato del protagonista, la trama si fossilizza su un intrigo fracassone condito da inseguimenti e sequenze action al ralenti viste e straviste mille volte. Nonostante la buona prova del cast, la noia serpeggia inevitabilmente.
Il primo dei "Racconti fantastici" porta in scena, come faranno in seguito tutti i successivi, più di un'idea tratta dai lavori di Edgar Allan Poe secondo quella che è poi sempre stata un'abitudine del cinema. Il grande scrittore americano, che ha sempre preferito raccogliere la sua arte in racconti piuttosto che in romanzi (peccato, perché "Lo Scarabeo d'oro", ad esempio, è un vero capolavoro), si è ritrovato a fornire infiniti spunti all'horror su grande e piccolo schermo, ma spesso mescolati insieme con scarso costrutto. ...Leggi tutto Anche in questo caso si recupera l'immaginario di Poe cercando suggestioni soprattutto nel rievocarne più opere, e così la casa degli Usher (che è qui villa Giovanelli, futura "casa stregata" anche nell'omonimo film con Pozzetto) funge solo da ambientazione, e il proprietario Roderick Usher (Leroy) rispecchia in questo caso piuttosto il pittore protagonista del "Ritratto ovale", che in passato dipinse la splendida moglie (Omaggio) togliendole i colori e la vita per trasferirli nel suo quadro. Nella sua magione, dopo un misterioso viaggio in auto persi nella nebbia, giungono un giudice (Moschin) e con lui un giovane (Mezzogiorno) da consegnare alla giustizia. Usher offre loro ospitalità e un letto, ma già a cena, vedendo come il giudice osservi il dipinto di un vascello nella tempesta, comincia ad aprirsi raccontando l'avventura che sappiamo essere in realtà tale e quale quella che Poe narra in "Manoscritto trovato in una bottiglia", lungo resoconto di un naufragio e di un galeone abitato da una sorta di equipaggio fantasma. Non bastasse questo, nell'ultima parte il giovane reo si fa confesso agganciandosi nientemeno che al "Cuore rivelatore", uno dei più noti lavori di Poe, ideale per un crescendo drammatico che ci condurrà a un finale tutto da interpretare.
La miniserie dice già tutto in questo primo episodio in realtà, anche se dei quattro non è il migliore. Fondamentali, per la relativa riuscita, le musiche dei Pooh (strumentali firmati tutti dal solo Facchinetti), con un tema al pianoforte altamente evocativo ed effettato che ritroveremo in ogni episodio. L'ottima recitazione è invece garantita soprattutto da Gastone Moschin, con Vittorio Mezzogiorno che lo assiste ritagliandosi un paio di bei monologhi (quello del "Cuore rivelatore" in particolare) e Philippe Leroy (doppiato) a fare il meditabondo padrone di casa.
Piccole parti per Maria Rosaria Omaggio ed Erika Blanc al bancone di un bar dove Mezzogiorno passa in cerca di un meccanico. Si cerca di instillare in chi guarda il terrore ma naturalmente non è facile, e il risultato si limita in fondo a far parlare lungamente tra loro i protagonisti o a muoverli lenti tra le stanze in cui scorgono il ritratto della moglie di Roderick mentre monta un'atmosfera lugubre e carica di mistero. Poi però ben poco succede e tutto resta in potenza, con Poe che viene utilizzato più che altro a livello di suggestione e una storia di fatto costruita quasi sul nulla...
Sarà che viene subito in mente un piccolo classico come HAROLD E MAUDE, ma ci si aspettava che i due nomi del titolo fossero quelli di una coppia. Invece no, sono due donne che di fatto nemmeno si conoscono: Micki (Reinking) è la moglie, Maude (Irving) la violoncellista che per la prima volta fa perdere la testa a Rob Salinger (Moore), un reporter televisivo fin lì fedele e innamoratissimo di Micki, con la quale sogna di avere un figlio ma che invece è troppo presa dal proprio lavoro (appoggia un politico che,...Leggi tutto eletto a sorpresa, la costringerà a investire per lui molto più tempo del previsto), per poter pensare alla famiglia.
Non che Rob si senta trascurato, ma quando gli capita di intervistare la bella concertista Maude, che subito si complimenta con i suoi occhi, fatica a non lasciarsi conquistare, e quando la rivede, inevitabilmente, scatta il tradimento. Prova a dirsi che lui non è fatto così, che non è capace di prendere in giro la donna che ama, ma tenere a freno il desiderio è impossibile e la relazione si fa sempre più travolgente. Pensa di conseguenza di divorziare e anzi, quando Maude gli dice di essere incinta, si rende conto di non avere altra scelta. Detto fatto, va a conoscere il padre di lei, di professione wrestler (Haggerty), per garantirgli che prestissimo sposerà Maude e si occuperà di lei, ma di lasciare Micki non ha cuore; e quando scopre che pure lei è incredibilmente incinta, la situazione si fa incandescente!
Un unico amico con cui confidarsi, il suo capo (Mulligan), che gli spiega come non possa pretendere di avere la botte piena e la moglie ubriaca. Ma confessare a una di avere l'amante e all'altra di non aver divorziato gli risulta impossibile, e rimandando in continuazione il momento della verità il film procede nel migliore dei modi, creando con bella inventiva incessanti momenti di imbarazzo in un Dudley Moore che deve fronteggiare, improvvisando in tutti i momenti nei quali il gioco rischia di essere svelato. Blake Edwards è nel suo ambiente, dà ritmo, dirige da par suo e, dopo una prima parte di attesa in cui si prepara il terreno all'esplosione comica e si sfrutta la dolcezza delle due protagoniste femminili, si entra nel vivo: dividersi tra le due si fa ogni giorno più difficile fino a raggiungere l'apice nelle scene in ospedale del parto contemporaneo, in cui si sale fino al parossismo e Moore arriva quasi al punto di non respirare, da tanta è la concitazione.
Senza dover cercare messaggi particolari, Edwards si concede alla commedia pura e, mostrando comunque di saper organizzare con grazia e competenza la sceneggiatura di Jonathan Reynolds (mente unica anche del soggetto), regge fin quasi alla fine, quando purtroppo, alla conclusione di tutto, si appiccica al film una lunga coda "defatigante" che annulla completamente il gran ritmo tenuto fino a quel momento per cercare una conclusione che possa apparire quanto più a suo modo "geniale". Lo è anche, forse, ma al prezzo di uno sgonfiamento colpevole che lascia con l'amaro in bocca. Tuttavia si ripensa a come Rob Salinger riesca a inventare seduta stante sempre qualcosa di vagamente credibile per coprire gli imprevisti e si capisce non solo come le idee nel copione non manchino, ma anche come Moore sappia rendersi comunque simpatico senza dover salire mai troppo sopra le righe. Nello spogliatoio dal padre di Maude si segnala la presenza dell'immenso (come dimensione) Andre The Giant, icona inconfondibile del wrestling di quegli anni.
L'idea era semplice, simpatica e brillante, perfettamente in linea con la commedia francese di oggi: Lucas (Frison) viene lasciato malamente sull'altare da Elodie (Joly), la ragazza con cui già era prevista una luna di miele da sogno. Caduto in ovvia depressione non sa che fare e, per di più, ci sono i colleghi di lavoro che pretendono di vedersi restituiti i soldi raccolti per il viaggio di nozze, dal momento che dovrà essere annullato. Lucas chiama ancora Elodie e la scopre ben felice accanto al suo nuovo partner; a quel punto decide di farle credere che anche lui...Leggi tutto ha già chi è pronto a sostituirla per il viaggio alle Mauritius. Trascura di dirle che la donna in questione è sua madre Lily (Laroque), la quale poco prima, scherzando, gli aveva per l'appunto proposto di partire con lui...
Detto fatto, in un attimo la strana coppia, con Lily costretta a spacciarsi per la moglie attempata di Lucas, parte per il paradiso tropicale al largo delle coste africane con stati d'animo completamente diversi: lei felice di affrancarsi per un po' dal noioso marito (Merad) che non sembra mai considerarla come meriterebbe, lui affranto dall'idea di partire per una vacanza insieme a sua madre invece che con la donna amata. E infatti, anche di fronte a una sistemazione spettacolare con vista diretta sul mare, al sole, alle spiagge e a un posto realmente da sogno, le reazioni dei due sono opposte. Non c'è niente da fare, per Lucas: non c'è verso di farlo tornare a sorridere. Almeno fino a quando non si accorge che la splendida animatrice del gruppo (Bancilhon) pare interessata a lui. A lei la verità la può svelare, al contrario di quello che dovrà invece continuare a credere l'organizzatrice e guida locale (De Palma), che infatti si preoccupa subito quando vede Lucas flirtare con un'altra...
Ciò che conta, in film così, è in quale misura si riesca a sfruttare il buffo spunto di base. Tanto più si troveranno idee per rendere imbarazzante la situazione tra il figlio e la madre spacciata per moglie (agli occhi delle tante altre coppie lì in luna di miele), tanto più prevedibilmente si riderà. E a ragionarci un po' su le gag che si sarebbero potute escogitare erano tante, mentre qui se ne azzecca qualcuna ma poi si punta anche ad approfondire il rapporto complicato tra madre e figlio, con la prima a rimproverare il secondo di non essersi mai interessato a lei e di essere terribilmente noioso. Tanto è vero che, una volta conosciuto sul posto un signore (Melki) dall'aria vissuta che sa come trattare le donne, Lily si lascia irretire cercando di divertirsi.
Insomma, a ben vedere lo spunto non viene utilizzato a dovere svisando spesso in altre direzioni, compresa quella della battutaccia vecchio stile: Lucas beve incautamente l'acqua del rubinetto e mentre è in spiaggia, di notte, viene assalito dai dolori di pancia. Tuffatosi in mare per scaricarsi, proprio lì è raggiunto dall'animatrice; spiace dirlo ma è forse il momento più divertente, legato a una comicità di grana grossissima. Detto di una coppia non troppo affiatata, con Frison perennemente col broncio e che lascia prendere alla Laroque ogni iniziativa, di un Merad defilato che di fatto si vede giusto nelle prime scene e nelle ultime, di altri comprimari non certo incisivi (si salva l'almodovariana Rossy De Palma, non più magrissima e affilata come un tempo), il cast non può dirsi ricchissimo.
Fortunatamente le location tropicali, tra palme, cascate, spiagge deserte e mare azzurro a perdita d'occhio, contribuiscono a un'ambientazione allegra e spensierata che fa parzialmente dimenticare una certa noia dovuta a situazioni poco brillanti e a una conduzione inevitabilmente moralisticheggiante che proprio non esalta. Non basta la relativa simpatia della Laroque a tenere su la baracca...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA