il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

RIMINI RIMINI
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339718 commenti | 64244 titoli | 25495 Location | 12702 Volti

Streaming: pagine dedicate

Location Zone

  • Film: L'afide e la formica (2021)
  • Luogo del film: Il bar gestito da Concetta (De Luca)
  • Luogo reale: Piazza Mazzini, Nicastro, Lamezia Terme, Catanzaro
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  • Film: Non son degno di te (1965)
  • Multilocation: Lungotevere dei Pierleoni
  • Luogo reale: Lungotevere dei Pierleoni, Roma, Roma
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Maurizio Jiritano

    Maurizio Jiritano

  • Anna Liotti

    Anna Liotti

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Nicola81
Bilbao: due giovani amici finiscono nel tunnel dell'eroina; uno è figlio di un alto ufficiale della Guardia Civil, l’altro di un deputato di sinistra… Dramma sulla droga con annesse implicazioni politiche, è forse il miglior film del regista, che offre uno spaccato della Spagna postfranchista sulla quale soffia il vento del separatismo basco, mettendo a confronto due padri divisi dall’ideologia ma uniti dal dramma della tossicodipendenza dei figli. Cupo e intenso, eppure mai inutilmente gratuito e con un epilogo aperto alla speranza. Ottima la prova dell’intero cast.
Commento di: Bullseye2
Buonissimo slasher della prima ora che rifugge le volgarità e l'exploitation del sottogenere "sorority" per puntare (soprattutto nel secondo tempo del film, estremamente dinamico) principalmente sulla tensione e sulle tematiche dello psycho-thriller. Maggiormente debitore nei confronti di Clouzot che di Cunningham, Rosman è memore del suo ruolo come aiuto di De Palma e dirige con grande raffinatezza: peccato non si sia mai più ripetuto a tali livelli. Questo è un buonissimo thriller, forse estremamente raffinato per il sottogenere slasher, adatto non solo ai completisti del genere.
Commento di: Paulaster
Film sul periodo d'oro dei rally e sulla vittoria Lancia nel 1983. Prodotto di stampo internazionale e perciò fatto apposta per soddisfare più esigenze. Ci sono i modi all'italiana di Florio nel risolvere i problemi, la quota rosa, l'emotività per chi è uscito dal coma e l'esultanza all'americana. Un insieme in cui interessano solo i momenti su quattro ruote e l'adrenalina della guida. Anche i tentati risvolti psicologici dell'intervista lasciano il tempo che trovano, dato che conta solo vincere. Scamarcio fatica nel doppiaggio e Lapo Elkann fa solo da richiamo nostalgico.
Commento di: Pinhead80
Tornano le zingarate degli amici di una vita e di conseguenza torna il grande divertimento per il pubblico. Nonostante una velata tristezza di fondo che verrà resa più esplicita nel terzo e conclusivo capitolo, il film riesce a far sorridere grazie a trovate assolutamente geniali. Si parte dallo scherzo al vedovo al cimitero per passare alle svariate supercazzole che trovano il loro culmine con la partecipazione alla gara canora, per passare poi alla riproposizione della Via Crucis. Sono tanti i momenti che si ricordano e che sono passati alla storia come vere perle cult.
Commento di: Anthonyvm
Capece torna al thriller e questa volta opta apertamente per il noir in zona La fiamma del peccato, spennellando il tutto di vaghi accenni surrealisti (la coppia di domestici silenziosi) e qualche velleitario rimando cinefilo (piuttosto imbarazzante l'incubo del protagonista, modellato su quello di Jim Stewart ne La donna che visse due volte). Si apprezza lo sforzo, ma la banalità della trama, il pressapochismo della mise-en-scène, l'asettica luminosità della fotografia e la lentezza del ritmo (nonostante una durata saggiamente contenuta) lasciano a secco il serbatoio della suspense.
Commento di: Cerveza
Ritratto del millantatore italico per eccellenza afflitto da perpetua indolenza fino a quando non si tratta di donne: in tal caso si trasforma in un indefesso crumiro. Chi se non Sordi può impersonare un tale buffo smargiasso che non percepisce i propri limiti e casca come l’asino del famoso detto? È proprio lui che ci conduce attraverso gli inciuci tragicomici di chi si crede un dominatore, ma in realtà è uno schiavo. Convincente Lea Padovani come prosaica matriarca che soprassiede fino a quando non le toccano la borsa; deliziosa Lia Amanda e brillante come sempre la Pierreux.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Irrimediabilmente datato a causa di un'idea poi sfruttata al cinema altre infinite volte (l'uomo che si riprende dal coma scoprendo di aver perso la memoria), l'ultimo film di Duvivier imposta la sua storia partendo appunto dall'incidente che provocherà la tragica amnesia del protagonista

Con un non troppo virtuoso alternarsi d'inquadrature che passano dalla strada percorsa a gran velocità al corridoio della clinica dove viene ricoverato Georges Campo (Delon) ci svegliamo nel lettino con quest'ultimo, del tutto spaesato e incapace di ritrovare i ricordi...Leggi tutto di sé. Al punto che quando nella stanza entra sua moglie Christiane (Berger), non la riconosce. Lei d'altronde non può sperarlo, considerate le condizioni di lui, ma c'è comunque qualcosa, nella donna, che sembra tradire una certa ambiguità, sentimento che naturalmente il film cercherà di coltivare più a lungo possibile. Anche perché Georges fatica a fare anche minimi passi avanti, nel recupero della memoria. L'unica cosa che ritorna nella sua mente sono fortissimi ricordi di guerra, come se vi avesse partecipato di persona. Non è così, gli ricorda anche l'amico di famiglia Friedrich (Fantoni), ospite fisso della grande villa di campagna dei coniugi Campo, anche se è vero che è da poco rientrato da Hong Kong (Georges dimostra in effetti di conoscere qualche parola di cinese).

L'atteggiamento del protagonista, tuttavia, è meno arrendevole di quanto ci si aspetterebbe e anzi, gioca in modo quasi sbruffone con la moglie che si rifiuta di venire a letto con lui prima che abbia recuperato almeno parzialmente la memoria. Ed è proprio nel malizioso porsi di Georges nei confronti di una situazione ancora tutta da interpretare che il film può giocarsi le carte migliori. Anche perché Delon è sicuramente in parte, ben calato in un personaggio cui serve dimostrare di non sentirsi troppo vittima degli eventi subendoli senza reagire. E quando in casa crolla un lampadario dal soffito o si apre una botola a sorpresa in soffitta sfiorando la tragedia c'è da chiedersi se siano solo coincidenze...

Chi bazzica il genere avrà in mano già tante delle prevedibili risposte, anche se poi il finale un po' s'incarta nelle spiegazioni lasciando aperto qualche interrogativo. La credibilità d'altra parte non sembra una qualità del lavoro di Duvivier, artefatto in molti frangenti, forzato in più di un risvolto e con qualche figura la cui presenza appare del tutto superflua (il domestico cinese Kim, perdipiù goffamente interpretato dal tedesco Peter Mosbacher). Resta il magnetismo dell'avvenente coppia protagonista, che comunque recita con bravura, mentre la regia di Duvuivier appare compassata e il procedere fiacco della vicenda non aiuta (c'è da aspettare l'ultima parte perché finalmente accada qualcosa di significativo, ed è in fondo già la spiegazione dell'enigma)...

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Il primo spettacolo post-Covid di Siani non è poi così centrato sulla triste situazione derivata dalla pandemia come ci si poteva aspettare. Si sorvola sul problema preferendo porre l'attenzione su altro, ed essendo registrato al Teatro Arcimboldi di Milano una lunga parte è dedicata alle scontate differenze tra milanesi e napoletani, all'atteggiamento - visto naturalmente in chiave caricaturale - di chi vive per il progresso, per il successo, celebrando l'efficienza. Qualche bonaria presa in giro, ma Siani sa qual è il pubblico che ha di fronte e non affonda...Leggi tutto troppo il colpo, prevedibilmente. Anche perché a guardar bene i difetti sottolineati sono sempre gli stessi, col capoluogo lombardo invaso dalle pizzerie napoletane senza che in Campania, ci fa notare Siani, nessuno abbia mai pensato di aprire un ristorante milanese.

L'approccio del nostro è quello di sempre: semplice, ingenuo, verace... Non si sottrae a doppi sensi e giochi di parole puerili pur conoscendo i limiti degli stessi, si interrompe spesso per ridere tra sé e sé anche quando francamente ben poco ci sarebbe da ridere. In effetti la sensazione, una volta di più, è che il Siani intrattenitore, cabarettista vulcanico d'innata simpatia, sia nettamente superiore ai testi che porta in scena, la cui ricercatezza è assai relativa. Certo, si può far ridere anche solo sfruttando la propria verve, ma bisogna essere davvero molto bravi per riuscirci...

Battendo sui soliti tasti (le differenze tra l'uomo e la donna, l'inconsistenza della classe politica attuale...) si colpisce il bersaglio grosso, si ottiene di stimolare nel pubblico il facile gioco di complicità alla base del successo di tanti cabarettisti, ma poi bisognerebbe in qualche modo sapersi distinguere, e in questo Siani poco funziona: non aggiunge molto a quella che è la propria carica vitale, che in parte è quella del napoletano che fa buon uso del proprio dialetto senza renderlo incomprensibile ai più. Ha anche per questo una sua indubbia efficacia, quando ciò che si racconta offre qualche spunto di divertimento. Il fatto è che qui gli spunti buoni mancano, e si arranca inseguendo macroargomenti banali e affrontati similmente infinite volte.

Scarsa l'interazione col pubblico (e questo non è un male, per chi segue da fuori), numerosi gli inciampi che generano pause spesso riempiti da applausi che scattano automatici "in soccorso". Si ride molto moderatamente e vien da chiedersi che effetti otterrebbe Siani potendo attingere da testi meno qalunquisti e più articolati. Perché anche il saluto finale, con i metaforici regali che il nostro farebbe ad ogni singolo politico del suo tempo (Letta, Di Maio, Meloni, Renzi, Salvini e Berlusconi, che sarebbe morto di lì a poco) non rappresenta certo una chiusura entusiasmante...

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Paolo (Gelijeses) e Carlo (Barbareschi) sono due coinquilini molto diversi. Amici, certo, ma dagli interessi diametralmente opposti, per quanto anche il carattere più superficiale e spontaneo di Carlo sia comunque ispessito da un amore per la musica "colta" che lo porta a frequentare lezioni di violino con l'orchestra. Anzi, tra i due quello più stereotipato è Paolo: gestisce con Sandro (Cavallo) una libreria (la “Galleria dei Librari" dice l'insegna), ama i grandi scrittori e si giudica molto più maturo di Carlo, che cerca sempre di coinvolgerlo...Leggi tutto in uscite a quattro con altre ragazze semplici (che i due definiscono "manzotte").

Sullo sfondo di una Roma che non si fa troppo notare, il film cerca di inquadrare i due protagonisti concentrandosi di più su Carlo, come detto il carattere meno scontato a cui il giovane Luca Barbareschi rende un buon servizio uscendo dai canoni della recitazione tradizionale, più appannaggio di un Gelijeses che comunque non demerita.

Carlo ama vivere di notte, mentre di giorno suona in un gruppo rock nel quale si occupa non solo del violino ma anche delle tastiere. La cantante, con movenze punk da Jo Squillo, è Frizza (Melato, anche coautrice dei pezzi e voce reale dei brani), tuttavia ai margini di ogni dinamica sentimentale. Chi invece vi rientra a pieno titolo è Lili (Prati), che Paolo conosce in libreria e con la quale condivide da subito un certo tipo di interessi culturali: lei recita in un teatro underground (in compagnia c'è anche Carlo Monni) e trova affinità con la riservatezza e l'amore per l'arte di Paolo. Poi però, dopo aver inevitabilmente conosciuto anche Carlo, finisce col non trovarsi indifferente alle avance di quello e a cedergli, in gran segreto. Fino a quando...

L'amore a tre occupa tuttavia solo la seconda parte di un film che avrebbe invece l'ambizione invece di esserne indipendente, di potersi permettere di proseguire anche solo raccontando le diverse vite e i bonari screzi tra amici, intervallando le scene con qualche pezzo rock (c'è persino l'intera ricostruzione di un videoclip, per un un brano del gruppo) e sfruttando una sceneggiatura con qualche scambio simpatico, con un Barbareschi capace di sdrammatizzare quando c'è da sciogliere la tensione ma anche di mostrarsi più profondo quando le tematiche si fanno meno frivole.

A Victor Cavallo il personaggio secondario più incline alla battuta, mentre poco viene dalle scene in teatro o dall'incontro col nonno di Paolo. Finale meno riuscito di quanto vorrebbe, chiuso anzi quando meno ce lo si aspetta ma senza che questo significhi lasciar spazio a ulteriori riflessioni. Non una regia particolarmente incisiva, ma la recitazione e alcune situazioni permettono di non annoiarsi troppo... Apprezzabile il tentativo di raccontare la quotidianità di trentenni non troppo occupati mantenendo una certa leggerezza di fondo e affrontando il tutto con mirato disimpegno.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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