I maliziosi scandali di Salvatore Samperi
24 April 2009
Classe 1944, già iscritto all’Università di
Padova prima di dedicarsi al cinema,
Samperi debutta alla regia nel 1968, a soli 24 anni, scrivendo, in compartecipazione con
Sergio Bazzini e
Pier Luigi Murgia, il soggetto di un film che risente fortemente del periodo storico e che, a suo modo, è destinato a fare scuola lanciando un filone, quello dell’erotismo “casalingo” , destinato a proliferare per tutto il decennio successivo, anche se in prevalenza sottoforma di commedia degli equivoci o commedia sexy.
Grazie zia, interpretato da una bravissima
Lisa Gastoni affiancata dal convincente
Lou Castel, è una delicata vicenda che racconta del giovane
Alvise, paralizzato ed in cura dalla matura, ma piacente, parente
Lea. Tra i due matura un rapporto perverso e non convenzionale, sfociante in un morboso gioco erotico fortemente sospinto da atteggiamenti psicologici. Sviluppato con uso di un bianco e nero ottimamente fotografato, il film si avvale anche della colonna sonora di
Morricone, in grado di contribuire a rendere più ritmica e scorrevole una vicenda contorta, ma mai vissuta in maniera peccaminosa o riprovevole.
E questo primo lavoro, svolto (e risolto) in maniera sincera, onesta e naturale, lontano dal senso di rimorso o da quello del peccato e, ancor più, sfuggevole ad un approfondimento sociale di più ampio raggio, denota uno stile che
Samperi manterrà sino alla fine, salvo rare eccezioni, dimostrando un coraggio ed una coerenza che lo hanno, in parte, reso poco gradito a buona parte della critica togata.
Alla sua seconda regia (
Cuore di mamma, 1969)
Samperi è di nuovo impegnato per raccontare una storia circoscritta all’ambito familiare, con influenze palesemente assorbite dal clima storico (la contestazione sociale) e caratterizzata dall’uso di comodo di qualche “audace” nudo femminile, particolarmente scioccante perché messo ad uso e consumo della violenza di piccoli monelli pseudo-nazisti. Pur essendo libero da vincoli di casta o critici, questa volta
Samperi realizza una pellicola meno significativa, con alcuni punti decisamente criptici e con una storia che, a dispetto di un cast interessante, non riesce mai a coinvolgere lo spettatore, apparendo, a distanza di oltre 30 anni, manieristica e datata.
Ben altro tenore il lavoro successivo (
Uccidete il vitello grasso e arrostitelo, 1970) anch’esso fortemente polemico nei confronti delle istituzioni, tra le quali, in prima battuta, la solita famiglia che, essendo borghese e cullata nell’agiatezza economica, si rivela - per estensione - metàfora della classe sociale medio-alta. Sostenuto da una bellissima sceneggiatura scritta in compartecipazione con
Dacia Maraini,
Samperi può di nuovo contare sull’ottima colonna sonora (sempre firmata da
Morricone) e sulla presenza di nomi particolarmente azzeccati nel cast tra i quali s’evidenziano l’interessante (e all’epoca particolarmente celebre)
Jean Sorel e quello (altrettanto curioso per via dell’eccentrica carriera artistica) di
Pier Paolo Capponi.
Con cadenza annuale riappare, nel 1971, un film a regia di
Samperi: questa volta si tratta di una commedia (sofisticata) che è caratterizzata da una parlata quasi dialettale (garantita dalla presenza di un bravo
Toffolo nel cast) ma che alla risata aggiunge un malessere prodotto dal fondo pessimista e drammatico ben reso dalla convincente
Tina (Ottavia Piccolo) nel ruolo di ragazza (apparentemente) indifesa in grado però di cambiare volto e atteggiamento di fronte al vile denaro.
Un’anguilla da 300 milioni appare così un film con più registri tematici, tra i quali il dramma che sovrasta, inesorabile ed inevitabile, una comicità di tipo radicale e territoriale, rappresentata da personaggi genuini almeno quanto lo stesso regista.
Nel 1972 è la volta di
Beati i ricchi, una commedia poco riuscita, anche se valorizzata (in sceneggiatura) dalla mano di
Aldo Lado e da presenze interessanti. Oltre a
Paolo Villaggio (ancora lievemente distante dalla notorietà) compare il fido
Lino Toffolo, affiancato dal grande caratterista
Gigi Ballista e da una curiosa (nonché piacente)
Enrica Bonaccorti.
Purtroppo la comicità è terreno poco adatto ai due autori, l’uno
(Lado) particolarmente sensibile ai temi sociali, pur se annacquati dietro titoli di genere (
La corte notte delle bambole di vetro), l’altro
(Samperi) artisticamente predisposto ad una narrazione più pragmatica e naturale, quando non istintiva.
Il lavoro seguente, invece, è di quelli fulminanti:
Malizia (1973) infatti declina, sin dal titolo, il suo contenuto e appare, alla luce di poi, l’opera che resterà associata all’autore, malgrado lo stesso si sia più volte disgiunto dal successivo filone (solo) in parte derivato dal successo del film.
Ancora oggi
Malizia appare poco gradito a buona parte della critica e anzi, per paradosso, è passato in televisione diverse volte, subendo l’affronto di tagli ipocriti quando non ridicoli (tutta la scena finale della
Antonelli illuminata da una torcia dal giovane
Alessandro Momo).
Samperi dà qui dimostrazione, ancora una volta, d’essere regista scomodo, mettendo in campo una bellezza genuina quale quella della
Antonelli, ambita da maschi di varie età, ivi compresa quella di un piccolo ragazzino sulla via dello svèzzamento.
Tema, quello della scoperta del sesso, che sembra essere costante e che, come un filo trasversale, lega più o meno ogni lavoro del regista.
Così il successivo
Peccato veniale (1974) ripropone, dato il successo ottenuto al box office, in maniera meno incisiva (e più volgare) lo stesso tema affrontato in
Malizia.
Ma
Samperi non è autore che si lascia andare a produzioni ritmiche sostenute e aspetta due anni, prima di proporre un altro film che, come promette il titolo, può dare “giusto”
Scandalo (1976). Di nuovo gli elementi per una critica più ampia ci sono tutti, essendo il film ambientato in una Francia alle prese con la
Seconda Guerra Mondiale, ma il regista sembra più interessato a tratteggiare le psicologie contorte di UNA “vittima” e UN “carnefice”, ovvero, nell’ordine, di una borghese e apparentemente irreprensibile donna matura (ancora una bravissima
Lisa Gastoni) presa di mira dal garzone del negozio (uno spietato e cinico
Franco Nero, in un ruolo decisamente atipico, associabile - per carognesca figura - marginalmente a quello ricoperto ne
Il terzo occhio).
La scena che vede
Eliane (Lisa Gastoni) costretta a camminare nuda davanti alla serranda abbassata del negozio fece, come da titolo, giustamente scandalo non tanto per l’audacia di un nudo che, all’epoca, non era certo cosa nuova, ma per la morbosa immedesimazione e per il gradito trasporto dimostrato dalla “vittima”. Il finale cinico e disperato, si consuma tra le fiamme, come emblema di un vizio, quello della passione “non convenzionale”, destinato a bruciare e dissolversi in simbiosi con la stessa pellicola.
La fase “alta” dell’autore è ormai al suo completamento, e si arricchisce di una commedia surreale, nobilitata dalla presenza di attori decisamente in parte e dalla sceneggiatura, scritta a più mani (
Cochi, Ponzoni, Maria Pia Fusco e lo stesso Bonvicini):
Sturmtruppen (1976) riporta sullo schermo l’umorismo tragico, demenziale e grottesco perfettamente reso dal disegnatore bolognese (tragicamente scomparso prematuramente) ovvero quel
Bonvicini che ha sdoganato le SS in versione ridicola e grottesca mediante l’uso di popolari battute (in parte ispirate da barzellette da caserma) con parlata italiana storpiata da cadenza crucca. Al risultato, quantomeno stravagante, del film contribuisce pure una colonna sonora sui generis, curata per l’occasione dal chirurgo-artista Jannacci; un ritmo malinconico e triste, in antitesi condito con parolacce e volgarità assortite. Un po’ il senso musicale di quello che
Sturmtruppen propone sullo schermo.
Il tema della scoperta sessuale torna forte e, fortemente, provoca disagio nello spettatore, costretto a vivere (senza possibilità d’immedesimazione, dato l’argomento) la vicenda di
Nenè e dell’approccio sessuale avanzato dalla stessa - ottimamente resa da una conturbante
Leonora Fani - nei confronti del cuginetto. Tema scottante e tratteggiato, di nuovo, con certa naturalezza a dispetto delle convenzioni e delle possibili rimostranze della critica. L’ottima regia, nel caso di
Nenè (1977) è di nuovo supportata da una pregevole sceneggiatura e da interpreti indovinati nonché strepitosamente calati nei ruoli (basti pensare al bravissimo
Sven Valsecchi). Pure la magnifica fotografia, l’ambientazione post-bellica e l’uso indovinato della colonna sonora (questa volta opera del bravo
Guccini) contribuiscono a rendere il titolo uno dei più riusciti nell’intera filmografia del regista.
Da questo momento in poi - eccezion fatta per l’insolito e curioso
Liquirizia (1979) o l’ambiguo
Ernesto (1979) -
Samperi sembra avere esaurito la sua vena creativa, cadendo spesso nel ripetersi (senza più quell’audacia che ne aveva contraddistinto le opere precedenti) quando ripropone un blando seguito come
Sturmtruppen 2 (1982) o una rivisitazione drammatica sul patriarcato (con, di nuovo, al centro della contestazione il ruolo della famiglia e dei suoi componenti) in
Casta e pura (1981).
La bonne (1985) e
Fotografando Patrizia (1986) effigiano i risultati meno significativi ottenuti dall’autore, meno personali e assoggettati ad uso e consumo di un pubblico morbosamente attratto da qualche nudo di circostanza.
Poi arriva la tragica vicenda di
Malizia 2000 - per la quale
Laura Antonelli cita in causa
Samperi in conseguenza di un intervento chirurgico mal riuscito - che sancisce ufficialmente l’arresto della carriera del regista che tornerà molto più avanti, ormai senza più spirito di denuncia o forza creativa, a dirigere qualche tradizionale film destinato alla televisione (
Madame, 2004;
L’amore e il rispetto, 2006).
Samperi è stato uno di quei grandi protagonisti del cinema italiano, attivo nell’ombra e ben lontano dai riflettori della notorietà e dalla regia “di comodo”. Senza mai scendere a compromessi ha saputo percorrere uno stile originale e autonomo, spesso dando origine ad imitazioni e filoni. Modesto e, al medesimo tempo, convinto, ha saputo transitare in territori scomodi, realizzando una serie di film che lo renderanno nome imprescindibile nella storia del cinema italiano, al di là della sofferenza, il disagio ed il malessere che traspare - ineluttabile e naturale - da titoli apparentemente superficiali e poco compresi.
Diceva giustamente
Toffolo, uno che lo conosceva bene
Samperi, quando asseriva che “Era un divo nascosto, uno che non aveva mai saputo vendersi troppo“. E come tutti i veri grandi divi nascosti, quando ci ha abbandonato, a seguito di una lunga malattia (il 4 marzo del 2009), lo ha fatto in silenzio, senza clamore, lasciandoci in punta di piedi. Lasciandoci un vuoto che non potrà essere colmato, ma anche lasciandoci un’importante mole di pellicole e, nondimeno, la certezza che aveva ragione quando portava avanti temi scomodi e sconvenienti. Storie cha portare alla luce appariva allora, come ora, doloroso, ma che rappresentano, al pari della Morte, una realtà inemendabile e legata alla vita, ai sentimenti, alle persone.
Filmografia consigliata:-
Grazie zia (1968)
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Uccidete il vitello grasso e arrostitelo (1970)
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Un’anguilla da 300 milioni (1971)
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Malizia (1973)
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Scandalo (1976)
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Sturmtruppen (1976)
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Nenè (1977)
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Liquirizia (1979)
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Ernesto (1979)
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Casta e pura (1981)
Bibliografia: Erotismo d'autore - Film tra rivoluzione e melodramma, Tinto Brass, Salvatore Samperi e Joe D'Amato. A cura di
Gian Luca Castoldi. Profondo Rosso edizioni.
ARTICOLO INSERITO DAL BENEMERITO
UNDYING
24 April 2009 09:19
24 April 2009 12:28
24 April 2009 16:51
25 April 2009 11:37
Come sai Undyng, abbiamo la medesima passione per il genere sexy, dunque di tanto in tanto ci troviamo a commentare gli stessi film.
Bravo!
26 April 2009 12:48
26 April 2009 12:50
26 April 2009 12:51