Tentativo di sperimentazione folle su grande schermo. L'avanguardia come veniva intesa a fine Sessanta, tra nonsense, parole in libertà e schegge impazzite di immagini montate virtuosisticamente. E che ci fa Lando Buzzanca in un simile calderone ribollente di rozza fantasia, in quest'accozzaglia disomogenea di suggestioni senza capo né coda? Non è dato sapere, ma non stona. Anzi, il suo personaggio (Riki Ceciarelli, ventriloquo di successo che, vestito da Superman, anima con la mano un robottino parlante) è uno dei pochissimi punti fermi cui aggrapparsi per cercare di individuare vagamente un filo conduttore. Fin da subito però si intuisce che non è cosa facile, perché la regia imbizzarrita di...Leggi tutto Giancarlo Cobelli passa da una situazione all'altra con disinvoltura disarmante. La casa in cui Buzzanca vive insieme a Paola Pitagora, Enzo Robutti (ecco, lui sì la faccia giusta, con la sua espressione schizofrenica, i tic...), una rediviva Barbara Steele e un altro giovane è un concentrato di arredamenti ultramoderni (per l'epoca), bianca e spoglia, in cui i residenti fanno un po' di tutto accompagnando l’allucinato montaggio. Sulla carta l'idea poteva funzionare, la resa cinematografica invece, per non apparire in ultima analisi ingenua e terribilmente frastornante, avrebbe dovuto individuare una struttura e un soggetto che qui in pratica non esistono. Lo spettatore rimbalza di scena in scena faticando a comprendere il senso generale dell'operazione, assistendo impotente a una valanga di sequenze accelerate, continuamente spezzate, solo di rado concepite alla “vecchia maniera”. Ma il gioco stanca presto.
Invecchiatissimo filmino che pare abbia avuto anche alcuni problemi produttivi, con riprese fermate e terminate solo molto tempo dopo. Sia come sia, c'è Buzzanca che diventa icona pubblicitaria e viene ovviamente fagocitato dall'ingranaggio più grosso di lui, ma la storia segue anche altre vicende secondarie. La Pitagora è bellissima, ma oggi il film è davvero invedibile, se non come curiosità d'epoca.
Dimenticato e dimenticabile reperto sessantottino dalla travagliata vita produttiva e dagli esiti modesti. A differenza dei vari Faenza, Samperi e dei loro epigoni, che puntavano sulla provocazione violenta e sul pugno nello stomaco, Cobelli tenta la via di una giocosa satira anticonsumista e antitelevisiva, ma l'ironia stralunata manca di mordente, mentre i toni esagitati e il non sense della trama stancano presto. All'attivo del film restano le scenografie pop d'epoca e la bella contestatrice Paola Pitagora, qui più sexy e intrigante che mai.
MEMORABILE: Gli esterni tutti milanesi: un invito a nozze per i cacciatori di location.
Film figlio del suo tempo, girato nel 1968 e distribuito nel 1971, grottesco e surreale all limite dell'incredibile in alcune scene. Notevoli la regia, le scenografie e alcuni (se così vogliamo chiamarli) "effetti speciali". La Pitagora è un'anticonformista molto graziosa, per il resto un film strano come questo non può che soffrire di una storia non a tutti digeribile. Agnés Spaak non fa più che una comparsata, all'inizio.
Figura di spicco del teatro al tempo Cobelli tenta la strada della regia "off" tra fremiti contestatari e pulsioni avanguardistiche, lasciando mano libera ad Arcalli, qui come spesso quasi co-autore. Però, oltre - visibilmente - ai soldi - mancano le idee per tirare l'ora e mezza, sicché alla fine si arriva con parecchi buchi e una certa stanchezza nonostante il ritmo. Anche Piccioni si adegua. Solo per collezionisti di modernariato pop.
Critica al consumismo tradotta in uno zibaldone squinternato, i cui intenti satirici sono neutralizzati da un registro eccessivamente volto verso il nonsense e il grottesco, che spesso degenera nel pecoreccio, efficace solo in alcuni segmenti della vicenda di Ricky (uno sprecatissimo Buzzanca). Nel naufragio si salvano solo lo spiritato Robutti e soprattutto la splendida Pitagora (deliziosamente scostante, stravolta e arruffata), che mostra sorprendenti doti comiche in una prova nervosa.
MEMORABILE: I terribili dolciumi ispirati a Ricky; “Basta parlare col culo e diventi un divo”; Paola Pitagora (soprattutto nelle scene con Robutti e alla Fiera).
Malriuscito e velleitario questo film sessantottino, nato come critica alla società dei consumi ma in realtà solo uno sciagurato collage di scene senza un minimo senso logico e senza nemmeno un registro specifico (ma tanti mal amalgamati). Lando Buzzanca fa quel che può, come pure la bella e brava Paola Pitagora, ma purtroppo in questo marasma fare meglio sarebbe stata impresa ardua. Facilmente evitabile.
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Gugly ebbe a dire: Richiamo ufficialmente l'utente Renato a rapporto per mancanza di par condicio nei confronti delle gentili donzelle che frequentano questi lidi....
La par condicio c'è invece.....infatti c'è il serpente! :)