Dal romanzo di Steinbeck, un intensissimo, amaro e penetrante affresco sull'emigrazione interna negli USA del 1929. Dramma sociale con struttura western e toni biblici, magistralmente interpretato da tutto il cast, soprattutto Fonda (con il vizio di sputare per terra come farà il suo Frank in C’era una volta il West), John Carradine e Jane Darwell, bellissima figura di madre e di donna incrollabile. Capolavoro.
MEMORABILE: “Siamo vivi. Siamo il popolo, la gente, che sopravvive a tutto. Nessuno può distruggerci. Nessuno può fermarci. Noi andiamo sempre avanti”.
Classicone un po' impolverato, e non solo per i paesaggi. Ma questo celeberrimo drammone tratto dal romanzo di John Steinbeck (anch'esso un tempo celebratissimo e influente scrittore populista, e poi uscito completamente dall'orbita) resta uno dei massimi esempi (se non il più grande) del versante "sociale" di Hollywood, capace di coniugare senso dello spettacolo e magniloquenza con lo spessore del "messaggio". Grande Fonda. Superato, ma comunque importantissimo.
Trasposizione cinematografica dal celeberrimo romanzo di John Steinbeck, è considerato (giustamente) uno dei caposaldi della cinematografia progressista americana, diretto da un John Ford all'apice della propria creatività artistica. Stemperando solo leggermente il finale (più amaro nel libro rispetto al film), Ford traduce in immagini la storia della sfortunata famiglia Joad con immagini di grande potenza e suggestione. Sceneggiatura rispettosa dell'originale letterario ed interpretazioni di grande vigore emotivo.
Ennesimo capolavoro di John Ford (tratto dall'altrettanto straordinario romanzo di Steinbeck) che non smette mai di emozionare lo spettatore dall'inizio, o quasi, fino allo splendido finale che pur essendo molto diverso dal libro ne rispetta lo spirito e resta comunque nella memoria. Perfetto sotto tutti i punti di vista: regia grandiosa, straordinaria sceneggiatura, bella fotografia ed attori immensi. Perla di rara bellezza da riscoprire, vedere e rivedere.
MEMORABILE: La madre: "Siamo vivi. Siamo il popolo, la gente che sopravvive a tutto. Nessuno può distruggerci. Nessuno può fermarci. Noi andiamo sempre avanti."
Ad un anno dalla pubblicazione del romanzo, Ford porta sulla pellicola la storia della famiglia Joad e di tante altre famiglie che vissero, solo un decennio prima, una delle conseguenze della grande depressione americana. Lo fa alla grande con immagini di grande impatto, attraversando il Paese sulla Mother Road e mostrandone i vari aspetti, tra poveri ricchi e poveri poveri. Mettendo in risalto ciò che può nascere dalla grande libertà di una democrazia che però ha anche la libertà di raccontarne i pregi e i difetti e Ford lo fa senza retorica.
L'esodo dei contadini dalle terre espropriate, alla ricerca di un impossibile lavoro negli anni della grande depressione attraversa tutte le stazioni di un fallimento politico e un declino sociale ma senza schematismi. Tra sensibilità preneorealista e visionarietà postespressionista nella fotografia e in certe inquadrature (i primi 20 minuti lasciano a bocca aperta per i cupi presagi di sfacelo) Ford costruisce, a partire dal romanzo di Steinbeck, un'epopea della sconfitta degli ultimi e al tempo stesso una lirica della loro invitta dignità.
Una delle opere che ha consegnato John Ford all'Olimpo del classico, film-archetipo che è necessario guardare per comprender il livello di complessità cui era giunto il Cinema mezzo secolo dopo la sua nascita. Tensione epico narrativa, moralità dello sguardo, capacità di coniugare assunti teorici (il romanzo di Steinbeck) e mezzi espressivi (ancora irripetibile la fotografia di Toland). Colpisce sempre il valore "didattico" del Cinema di Ford, un ammestramento che procede dall'"esempio". Di commovente bellezza lirico-realistica. All'anima del conservatore.
Bellissimo dramma familiare, perfettamente descrittivo di un'epoca di lotte e povertà, molto triste ma avvincente. Ford confeziona un film profondo, diverso dal libro a cui si ispira (nel finale soprattutto) ma dallo stesso impatto. Eccezionale Henry Fonda, ma anche tutto il resto del cast (con menzione speciale per un lunatico John Carradine). Imperdibile.
Grande epopea dello sfruttamento e della miseria quella disegnata da Ford, dove il senso di ingiustizia non ti abbandona mai e non ti puoi aspettare l'arrivo della cavalleria. Una denuncia sociale precisa, penetrante, corroborata da personaggi di grande umanità e validissime interpretazioni, che raggiunge l'apice nella raffigurazione del campo di lavoro e degli aguzzini che lo gestiscono. Da rimarcare anche l'originalità del prologo, sospeso tra il mistico e il disperato
MEMORABILE: La scena al ristoro e il successivo dialogo tra i due benzinai; Il campo di lavoro.
Dal capolavorico romanzo di Steinbeck, John Ford costruisce un’incommensurabile cavalcata umanistica, grondante coraggio e tenacia, raccontando il viaggio-epopea della famiglia Joad verso una mai così incerta Terra promessa. La Grande Depressione declinata verso una struggente elegia dei legami umani; sguardo potente sulle amministrazioni e sul sociale dando chiara voce ai più deboli rimanendo però, miracolosamente, nella sfera intima dei personaggi e alimentando così la portata morale di quello che è un urlo assordante di dignità. Inarrivabile.
MEMORABILE: Nel bar sulla strada, il pane e le caramelle; Il finale.
Eccezionale, realistico, avvincente spaccato del basso ceto americano degli anni trenta. Attenendosi al capolavoro di Steinbeck, il magistrale Ford dà vita a una pellicola straordinaria sotto diversi punti di vista: un esimia regia, accompagnata da un buon cast, espone lodevolmente non solo la miseria totale e le difficoltà dei Joad e simili, ma anche la loro speranza che mai tramonta, il loro senso di fratellanza e misericordia e persino temi filosofici come quelli che si pone Casy. Tuttavia il monologo finale di Tom non mi ha emozionato.
MEMORABILE: "Seems like the government's got more interest in a dead man than a live one". "Maybe there ain't no sin and there ain't no virtue..."
Magnifica, sorprendente epopea di un gruppo di disgraziati per i quali è impossibile non patteggiare; un road movie malinconico, suggestivo e mai vittimista, traboccante sudore e calore umano, ben più sovversivo e rivoluzionario di qualsiasi filmetto "di rottura" successivo. Un messaggio che colpisce nel segno in quanto chiaro e afferrabile da qualsiasi tipo di pubblico, veicolato da una messa in scena sempre funzionale e da un gruppo di attori dotati di volti e fisici perfetti. Perfetta "Red River Valley" come main-theme della OST. Eccellente.
Un gruppo di contadini si ritroverà senza terra a causa di un ingiusto esproprio e in un disperato viaggio dall'Oklahoma alla California. Tratto da un romanzo di Steinbeck, il film descrive al meglio la livida povertà di chi lotta quotidianamente contro la fame, in un "territorio" dove non sembra esserci posto per la misericordia di nessuno. Il finale fu cambiato perché troppo drammatico, ma ne sarebbe stata la sua degna conclusione.
L'alchimia del cinema (o la sua magia bianca): la fusione (distillazione) di immagini, narrazione (solida storia), espressione. Qui la potenza naturalistica è sorprendente; e poi: la pratica dello stile classico, semplice, inesorabile nella tecnica e poetico nei valori figurativi. La vicenda è fornita da un romanzo americano fondativo, Ford se ne appropria da cineasta eroico e azzarda un pathos visivo ossimorico (è velluto ruvido). Il gioco al rilancio gli riesce e i momenti topici da museo si sprecano. Fonda perfetto, emotivamente magnetico.
Pur non essendo del tutto fedele all'opera di Steibeck, il film diretto da Ford a ridosso della pubblicazione del romanzo possiede qualità intrinseche tali da farne non solo un capolavoro cinematografico ma anche la migliore trasposizione possibile. Sequenze magistrali, fotografia di grande vigore, interpretazioni memorabili: tutto concorre a far diventare il viaggio della famiglia Joad lungo la Route 66 verso la Terra promessa non solo la più potente rappresentazione delle conseguenze della grande crisi del '29 ma anche una commovente parabola umana, valida in ogni tempo ed ogni luogo.
Riuscire a trasportare l'essenza di una delle opere sociali più ispirate e crude del Novecento, senza ruffiane manipolazioni o censure se non per lo svezzamento finale (impensabile da girare all'epoca), è sfida riuscita per il talento di Ford. Se inserito nel periodo di riferimento, poi, lo si eleva a rango di capolavoro per intrinsechi meriti filmici, dal cast, alla fotografia ai costumi: rivivono le iconiche fotografie di Lange, Evans e Rothstein. Ampio spazio a Ma', Tom e Casey, ma ridimensionati, purtroppo, i ruoli del resto della famiglia. Era difficile fare meglio in due ore.
MEMORABILE: L'arrivo in California con nonna che sputa dal finestrino; Il monologo finale di Ma'; Fonda e tutto il cast, sublimi.
Gran film diretto da John Ford il quale, grazie a una fotografia sublime, riesce a immortalare un periodo storico drammatico per l'America, in cui i volti spettrali dei contadini cacciati dalle proprie terre si muovono in paesaggi enormi nei quali le dimensioni dell'essere umano finiscono col risultare minuscole. La sceneggiatura è ridotta all'osso, sebbene il film sia piuttosto lungo, ma i dialoghi, supportati da una regia magistrale, rendono il film incredibilmente incisivo.
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Henry Fonda firmò controvoglia un contratto con la Twentieth Century Fox per otto film in sette anni pur di ottenere la parte di Tom Joad nel film;
Trucco e profumi, considerati inappropriati al tema del film, furono banditi dal set.
Fonte: 101 grandi registi, di Steven Jay Schneider.
DiscussioneDaniela • 18/05/20 01:21 Gran Burattinaio - 5927 interventi
Agli Oscar 1941 Furore ottenne 7 candidature e 2 premi: migliore regia e migliore attrice non protagonista a Jane Darwell per il suo ruolo come mamma Joad.
Non ottenne il premio come miglior attore protagonista Henry Fonda, che lo perse a favore di James Stewart, giornalista intraprendente in Scandalo a Filadelfia diretto da George Cukor, mentre l'Oscar per il miglior film quell'anno fu assegnato a Rebecca La prima moglie di Alfred Hitchcock.
Nonostante il suo straordinario lavoro in Furore, non venne candidato per la migliore fotografia Gregg Toland, forse perché già concorreva con un altro film, sempre diretto da John Ford, ossia Lungo viaggio di ritorno, noto in Italia anche come Viaggio senza fine.
DiscussioneDaniela • 18/05/20 01:30 Gran Burattinaio - 5927 interventi
Romanzo e film
contiene SPOILER
Nella trasposizione cinematografica, il film termina con l'allontanamento di Tom, mentre nel romanzo le vicende successive vengono raccontate in altri due capitoli.
Questa scelta da parte di Ford non deriva solo dalla necessità di condensare i romanzo, ma deriva da una diversa impostazione: nonostante la drammaticità della situazione, il messaggio con cui si conclude il film è un positivo invito a lottare per la conquista di diritti inalienabili, mentre l'epilogo di Steinbeck è più sfumato e pessimista.
Fine SPOILER
Per un confronto tra la parte finale del romanzo di John Steinbeck e quella del film, si può leggere questo articolo in cui viene riportato integralmente il bellissimo monologo conclusivo del personaggio interpretato da Henry Fonda (monologo assente nel romanzo), nonché il dialogo d'addio con la madre:
Non è più disponibile l'articolo del link. Sono iscritto da poco ma ho già avuto occasione di capire, Daniela, che anche a te come a me piace leggere i libri oltre che guardare i film. In questo specifico caso, personalmente ritengo che la fine del film - il mio film preferito di John Ford assieme a "L'uomo che uccise Liberty Valance" - sia un po' troppo retorica, ma capisco benissimo che all'epoca non avrebbero certo potuto girare una scena come quella del romanzo, dove la ragazza che ha partorito un bimbo morto salva la vita a un uomo adulto allattandolo al seno. Anche se in modo più delicato e soffuso, anche il finale del romanzo lancia un messaggio positivo.
DiscussioneDaniela • 9/02/24 08:28 Gran Burattinaio - 5927 interventi
Kami ebbe a dire:
Non è più disponibile l'articolo del link. Sono iscritto da poco ma ho già avuto occasione di capire, Daniela, che anche a te come a me piace leggere i libri oltre che guardare i film. In questo specifico caso, personalmente ritengo che la fine del film - il mio film preferito di John Ford assieme a "L'uomo che uccise Liberty Valance" - sia un po' troppo retorica, ma capisco benissimo che all'epoca non avrebbero certo potuto girare una scena come quella del romanzo, dove la ragazza che ha partorito un bimbo morto salva la vita a un uomo adulto allattandolo al seno. Anche se in modo più delicato e soffuso, anche il finale del romanzo lancia un messaggio positivo.
Concordo, trasporre quel momento bellissimo del romanzo sullo schermo sarebbe stato impossibile per l'epoca in cui è stato girato il film. Comunque, a mio parere e fatte salve le differenze tra i due media, questo Furore è uno dei rari casi in cui romanzo e il film da cui è stato tratto si equivalgono come valore, ossia ad un capolavoro letterario corrrisponde un capolavoro cinematografico. Ford non si è limitato ad illustrare il romanzo ma lìha fatto suo senza tradirne lo spirito e quel finale - forse un poco retorico, lo ammetto, ma anche appassionato e sinceramente democratico - riflette il suo pensiero. PS: hai ragione, quando esce un film ispirato ad un libro che ho letto, cerco sempre di vederlo. A volte però accade il contrario, ossia se vedo un film che mi piace tratto da un romanzo che non conosco, cerco di ripescarlo, sempre che sia disponibile in italiano o al massimo in francese, perché purtroppo l'inglese lo conosco poco e male.
Concordo su tutto. Anche a me è capitato di leggere i romanzi o racconti dopo aver guardato i film. Sì purtroppo molti non sono stati tradotti in italiano. In genere il film è peggiore dell'opera letteraria da cui è stato tratto, in altri casi si equivalgono, in altri ancora è superiore il film. Grazie per il piacevole scambio di opinioni, ci saranno altre occasioni cinefile e letterarie!