Micidiale e affliggente pellicola d'ambientazione siciliana, opera di Dacia Maraini (che riesce a fare la regista, ma con esiti soporiferi). Pellicola a lungo scomparsa (e te credo!), qualche anno fa è stata rispolverata in sale d'essai: ha attraversato bene il tempo, nel senso che si è conservata benissimo e ha mantenuto perfettamente le sue qualità deleterie.
Esangue e stucchevole omaggio della Maraini al suo Pigmalione, girato del resto in anni in cui le pellicole più o meno fedelmente ispirate alla narrativa moraviana venivano prodotte a un tanto al chilo e quasi sempre con esiti deprimenti. Assemblando quadretti astratti in stile vagamente godardiano, comprese le ridicolissime parentesi politiche inevitabili in quegli anni, la sedicente regista riesce a partorire 95 minuti di noia allo stato puro, aggravati dall'irritante recitazione "straniata" della Meril e di un Milian non ancora monnezzaro.
MEMORABILE: L'espressione agghiacciante del barbiere seduttore.
Non credo che la Maraini si sia mantenuta molto aderente alla trama del romanzo di partenza di Moravia, allora suo marito. Qui ci si riduce infatti a proporre la vita oziosa di un intellettuale senza una vera trama, tra sedute alla macchina da scrivere, il barbiere a domicilio (le scene più assurde) e due chiacchiere con la moglie. Alla fine la sostanza è davvero poca e anche la parte più politica si amalgama male con il resto. Non capisco a cosa puntasse la Maraini, che cosa volesse dire. Si salva solo per la presenza di Milian.
MEMORABILE: Il ragazzo con la radio al collo; La citazione da "I limoni": "Quando un giorno da un malchiuso portone/tra gli alberi di una corte..."
Disastro registico della Maraini, che adatta con deprimente monotonia il romanzo di Moravia fallendo sia quando intercetta gli umori individuali e socio-politici dell'epoca, sia quando spinge sull'erotismo (in questo, la Méril manca del tutto di quella sensualità che le sapeva far sprigionare Godard in situazioni ed inquadrature affini). Milian invece merita profondo rispetto: tesaurizza le sue multiformi esperienze nel cinema del decennio prima ed anticipa i malesseri e gli assorti silenzi che più tardi gli richiederà Antonioni. Dialoghi insapori e vacui; ambientazione siciliana marginale.
Se si analizzano Silvio e Leda si scorge bene la sfida con loro stessi che han voluto fare e che han perso, l'uno non riuscendo a comporre un'opera per mancanza di conoscenza della moglie, l'altra per non aver saputo tener fede alla rinuncia all'amore senza cercare surrogati. La conclusione sul valore delle imperfezioni e sulla possibilità di migliorare un rapporto conoscendosi meglio e allontanandosi dalle gelosie del passato è degna di nota, ma è anche pacchiano che una terra così retrograda e scarsa di diversificazioni culturali non sia per loro.
MEMORABILE: "Ambarabà ci ci co co... il dottore se ne andò".
Inaspettato esordio alla regia di Dacia Maraini, alle prese col materiale letterario di Moravia. C'è un siciliano di importazione che ritorna nella sua bella e stracca terra, combattuto fra i suoi proponimenti da scrittore e le proprie "ataviche" responsabilità. Uno scontro inevitabile, culturale e psicologico, fra passato e presente. Il film scorre sereno (su temi drammatici) risolvendosi con un umorismo "simpatico" di fondo che lo rende pregevole e solare.
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Visto al cinema nei primi Anni Settanta. Di rara pallosità. Dato al Trevi di Roma pochi anni fa: i pochi "fortunati" confermano il tutto.
Introvabile, in effetti.