Quanti film aveva girato Fellini prima di questo? Otto e mezzo (il primo, LUCI DEL VARIETA', era una coregia con Lattuada). Ebbene, giunto al nono Fellini si ferma e riflette. Prende Mastroianni e gli fa recitare la parte di un regista (con tanto di occhiali e cappello!) in piena crisi creativa. Per il suo nuovo lavoro non ha affatto le idee chiare, salvo che gli serve far costruire una colossale rampa di lancio del costo di 80 milioni. Guido Anselmi/Mastroianni/Fellini vorrebbe affrontare il problema della coscienza cattolica, vorrebbe mettere in scena i suoi ricordi di gioventù, compiacere la moglie (Anouk Aimée) e l’amante...Leggi tutto (Sandra Milo), ma si trova preda di incubi (splendido quello in apertura, appeso come un aquilone in volo sulla spiaggia), di sogni proibiti (un harem dove convivono felici tutte le sue donne) e in definitiva di un impasse creativa dalla quale non riesce a riemergere. 8 1/2 procede così, sospeso tra fantasia e realtà, con i due piani che si compenetrano e si stimolano vicendevolmente. Anselmi/Mastroianni/Fellini è pressato dal produttore, dalla critica che comincia a subodorare le problematiche sottese allo stallo e deve sopravvivere nel mondo mentre la sua mente vorrebbe uscirsene e sognare in pace. Di fronte all'immensa rampa di lancio capisce che la situazione si fa critica e nemmeno ricorda più perché l'aveva tanto desiderata. Nel frattempo le voci della gente si accavallano, le musiche di Rota riempiono la scena e a momenti memorabili se ne affiancano altri che non possiedono la medesima incisività, rendendo caotica e affannosa la sequenza di episodi che sostanzia il film. Maturo, ma imperfetto.
Mi riesce difficile esprimere un giudizio oggetivo: da tutti è considerato un capolavoro e probabilmente hanno ragione, tuttavia non è un tipo di film che rientri nelle mie corde, quindi personalmente non posso dargli un voto molto alto, ma penso che oggettivamente il film valga e anche molto. Fellini racconta se stesso, interpretato dal sempre magistrale Mastroianni, mettendo a nudo le sue paure, i suoi sogni, le sue menzogne, i suoi ricordi; il tutto con lo stile visionario che lo contraddistingue. Che piaccia o meno, va visto.
Una sintesi magistrale di quello che potrebbe essere il cinema ed invece non è. Il livello tecnico ed emozionale raggiunto da Fellini con quest'opera rimane tutt'oggi un punto di riferimento (solo ideale, come detto) per chiunque si metta dietro ad una cinepresa. Alcune sequenze in particolare (il sogno del cimitero col padre, la sauna col cardinale, il viaggio in auto con LA Cardinale...) sono pezzi di cinema immortale, forse c'erano addirittura prima di "8½" e ci saranno sempre. In due parole: la storia di un uomo terribilmente solo. Capolavoro.
MEMORABILE: Conocchia che dice a Guido: "Ma stai attento, Guido, che neanche tu sei più quello di prima..."
Adorabilmente maschilista. La sua struttura fa sì che lo spettatore senta “sue” alcune parti, che paiono geniali, e ne senta “lontane” altre, che paiono astruse. Ovviamente mutano da persona a persona. Grandi parentele con La città...(si sente pure “Snaporaz”). Straordinario l’arrivo della moglie a Tivoli (lo spegnimento dell’abat-jour è un capolavoro) e i ricordi “cattolici”. La galleria delle facce avrebbe deliziato Lombroso. Per me, fra le donne, la Falk su tutte, pollice verso per la Cardinale. Grandissimi Mastroianni e Alberti.
Film difficile che deve tutto sommato la celebrità all'aria circense (ma triste) conferita dalle musiche di Nino Rota; quanto al peculiare filmico, assistiamo allo smarrimento di un uomo tipicamente italiano: l'ossessione della cultura cattolica sessuofobica, tutte le donne che dovrebbero dire sempre sì (uffa). Da notare lo splendido uso delle luci. Il monologo finale del protagonista riscatta in parte il film e dona significato.
MEMORABILE: Beh... il girotondo finale con la musica di Nino Rota.
Il film che più di ogni altro mostra la magistrale naturalezza con cui Fellini sa tradurre in immagini (meta)cinematografiche i concetti di sogno ed immaginazione, confondendoli in una realtà quotidiana qui fortemente autobiografica come un diario psicanalitico. Ricalcando la struttura narrativa discontinua di La dolce vita, le introspettive peregrinazioni dello smarrito Mastroianni anticipano alcuni temi futuri, dai nostalgici ricordi infantili romagnoli di Amarcord all'esplorazione dell'universo femminino de La città delle donne. Perfetti gli attori, al pari dell'ultima delle comparse.
MEMORABILE: L'incubo nell'auto; Le menzogne alla moglie; I provini; Mastroianni, Falk, Alberti, Aimée.
È un film sulla confusione e il disordine della vita, non completamente interpretabile, in cui la realtà e l'onirico si confondono, rendendo reale l'irreale. Guido è un auto-rappresentazione di Fellini stesso che, durante la realizzazione del suo ottavo film e ½, si trova in crisi creativa, con un profondo desiderio di libertà dai vincoli intellettuali dell'apparato cinematografico, di cui egli stesso fa parte. Sarà proprio il tema meta-filmico dell'impossibilità di creare un film l'idea geniale che porterà a Fellini l'Oscar per il miglior film straniero.
La più compiuta espressione del binomio Fellini/Mastroianni che vive nel continuo interscambio tra le due carismatiche figure. La crisi di un regista che, giunto a metà della sua carriera, non sa più che strada prendere. La crisi di un uomo di mezza età che traccia una sorta di bilancio della propria vita tra fascinazioni oniriche e riflessioni sull'esistenza. Il film è perfetto, dallo script alla recitazione fino al lato puramente tecnico.
MEMORABILE: "Eccellenza non sono felice". "E chi ti ha detto che siamo nati per essere felici?"
Il capolavoro di Fellini; più che il racconto di un regista in crisi è un lungo dialogo con la morte. Vorticoso come una danzatrice folle, pieno di rimandi interni, affollato di figurine immortali, profondo e leggero allo stesso tempo. Dopo questo film Fellini "muore"; racconterà le stesse identiche cose (spesso cadendo nella maniera di se stesso) con l'eccezione del Casanova, epitaffio sontuoso. La cardinale per la prima volta non è doppiata.
MEMORABILE: Il sogno inziale; La scena dell'harem; Asa nisi masa.
Uno dei film migliori di Fellini ma anche uno dei più difficili e complessi, sicuramente il suo più personale. Tutto il film è un insieme di episodi geniali (sia per contenuti che per realizzazione) anche se non sempre chiarissimi, nei quali vengono narrati i problemi, i pensieri e i sogni del regista Guido Anselmi (interpretato da Mastroianni, qui più che mai alter ego del regista). Non una visione facile, ma assolutamente da compiere.
Mi accosto a Fellini con circospezione ma ne esco pienamente soddisfatto. Ci ritrovo la giusta dose di talento visionario e un ritmo andante che non opprime come temevo. Avrei eliminato solo alcune riflessioni della parte centrale (es. i preti) ma il resto è un grande spettacolo: tutte le scene delle terme, l'infanzia e il dialetto, gli intermezzi col produttore, il pittoresco finale. Mastroianni continuamente in equilibrio su di un filo magico, ma che sa muoversi con eleganza e grande padronanza.
Regista in stallo creativo, ma soprattutto in stallo esistenziale, sospeso tra i ricordi d'infanzia e gioventù e la disgregazione dei rapporti umani e amorosi. Film straordinario per la capacità di Fellini di risucchiarci nel suo mondo, così claustrofobicamente descritto fin dall'inizio, e nel contempo di parlare di un senso di disorientamento universale. Sono acute e folgoranti le descrizioni dei rapporti del protagonista, così lontano da tutti e tutto (e da sé stesso), con le donne e con gli interlocutori del suo lavoro; magnifico il finale.
Molti episodi, alcuni in flashback altri al presente che vedono protagonista Guido, l'alter ego di un Fellini preda di crisi di mezz'età. E forse è proprio questa crisi che rende il film così introspettivo: attraverso i suoi ricordi e le sue reazioni ai numerosissimi personaggi che lo circondano in un vorticoso girotondo di conoscenze, impariamo a conoscere Guido tanto che alla fine possiamo prevedere le sue mosse e comprenderlo pienamente solo a fine pellicola, in un percorso che facciamo mano nella mano con lui. Mastroianni memorabile.
MEMORABILE: "La felicità consiste nel poter dire la verità senza far del male a nessuno."; La Saraghina; Il ballettino nervoso di Guido all'inizio sul "paparapà".
Capo d'opera plagiatissimo (e non dagli ultimi bischeri: Fosse, Allen, e tanti altri) e ineguagliato, magistrale riscatto di uno stallo creativo che diventa superbo sfoggio di padronanza tecnica, saggio sulla futilità del cinema che celebra al sommo la potenza del cinema, perfetto inno all'imperfezione. Con La dolce vita il culmine dell'arte di Fellini e fra le vette della settima arte. Vero, anche la sentina di tutti i fellinismi genuini o no: ma le colpe dei figli (illegittimi) non ricadano sui padri.
MEMORABILE: "Asa nisi masa"; l'harem; il girotondo
Non tra i miei preferiti dei film di Fellini, ha comunque una venatura particolare perché piena di elementi immaginari, direi onirici, che rendono il film a tratti incomprensibile. Il tutto si ricollega solo nel finale, dove il disegno del regista diventa chiaro. Alcune scene sono memorabili, come l'harem dove la soubrette deve ritirarsi ai piani alti per sopraggiunti limiti d'età e un'hostess dall'accento germanico la invita a fare la sua ultima esibizione. Stravaganze dell'arte.
All'inizio degli anni '60 andavano di moda i film senza capo né coda. I critici in solluchero dicevano che rappresentavano la forza creativa della psiche umana nella fase onirica, in quella memoriale o in quella prerazionale. Sarà... Fellini in questo film va freneticamente avanti e indietro con i ricordi e le rievocazioni, confonde scientemente fantasia e realtà e lascia il povero spettatore confuso e imbarazzato: “Non è che sono io a non capirci niente davanti a cotanto 'capolavoro?' Meglio aderire al coro degli adoratori". Mattone da ernia del disco...
Talmente noto che parlarne per lodarlo sarebbe banale e pleonastico. Non posso però
non segnalare ciò che mi ha più colpito: pur essendo un film molto autobiografico, anche lo spettatore può facilmente riconoscersi in alcune sue parti ed episodi ed immedesimarsi, a tratti, in Guido. Il tono scanzonato è solo apparente: cospicuamente
presenti sono invece la morte, l'infelicità e l'insoddisfazione. Estremamente complesso, tanto che ad ogni visione colpisce e si arricchisce di significati e particolari prima sfuggiti, come capita solo ai capolavori.
MEMORABILE: "Eminenza non sono felice", risposta: "E chi lo ha detto che siamo nati per essere felici?". "Papà mi dispiace molto, avrei voluto dirti...".
La deriva esistenziale di un uomo che è anche un regista, cioè Fellini stesso in una delle opere in cui si intrecciano più strettamente l'artista e il suo personaggio. I problematici rapporti con le donne (moglie e amante) ma anche la complessità di tutti i possibili rapporti di relazione sono splendidamente rappresentati in un film che oltre che opera cinematografica è anche e soprattutto manifesto artistico di intenti. Da questo punto di vista assolutamente funzionale e totalizzante l'interpretazione dell'alter-ego Mastroianni.
La più cerebrale pellicola di Fellini, osannata dai più come suo pronunciamento massimo. La stratificazione che la configura è impressionante: metacinema, cifra stilistica e autobio (agio) grafia si mescolano in un continuum onirico insondabile se non agli esegeti dell'autore. Ove gli illuminati spacciano la particolarità dell'opera per sontuoso estro, denoto "solamente" un abnorme esercizio di stile. Il limite del sofismo solipsistico consentito (dalla stessa filmografia dell'autore) è stato qui probabilmente superato, ma la forma persiste nel sublime. ****
La prima volta che l'ho visto avevo 8 anni. L'ho rivisto dieci anni dopo dicendomi "cosa può capire di otto e mezzo un bambino?": il risultato è sempre quello anche oggi che di anni ne ho molti di più. Chi grida al capolavoro, del resto, non ha mai saputo spiegarmi perché. Irritante dalla prima sequenza in cui compaiono personaggi che visibilmente "stanno lì recitando" pur non dicendo nulla, il film è salvato da un bellissimo bianco e nero, ma la tentazione di gridare come Fantozzi a Riccardelli che il film è una cagata pazzesca è forte.
In un circo onirico di personaggi, ricordi, visioni e sogni Fellini ci racconta in maniera del tutto personale una storia personale. Ancora Mastroianni (magistrale) come giusto alter-ego del regista che si muove come una figura quasi allucinata, sempre in bilico tra realtà, sogno e visione. Ed è questa la forza del film, il suo essere visionario e fuori dagli schemi in un'epoca improntata al moralismo e il buon costume. La tecnica è sublime, alcune carrellate e inquadrature rimarranno negli annali e ce n'è per far lezione a tutti. Difficile ma superbo.
MEMORABILE: L'incipit in auto; Asa NIsi MAsa; L'Harem; La rampa di lancio; Il dialogo con la Cardinale.
Buzzati lo definì ”la masturbazione di un genio”, come se si potesse descrivere l’attimo tra il conscio e il metafisico. Complesso e spiazzante (grazie anche a Flaiano sceneggiatore), riversa idee e istantanee di momenti infinitesimi nelle espressioni di Mastroianni perfetto alter ego. Un inno alla vita e ai retaggi che ci impigliano strada facendo. Un messaggio di consapevole accettazione dei disordini che ci incatenano e di cui si è egoisticamente responsabili.
Visto incredibilmente ieri per la prima volta, a 55 anni, mi sono ritrovato molto nei panni di Guido, nei suoi sogni, nei suoi ricordi d'infanzia, nei suoi tormentati rapporti con le donne, nei suoi pensieri sulla morte. Fellini si è inventato un film per confessare se stesso e tutti noi con coraggio, forse anche con franchezza e ci ha coivolto nei suoi dubbi e nei suoi desideri con la genialità che gli è propria.
Nell (8e) mezzo del cammin di nostra vita ritrovarsi nella selva oscura e tornare a riveder le stelle con un meccanismo sì autoassolutorio, ma soprattutto con la completa comprensione e accettazione del prossimo. Una ricerca del senso della vita fra suggestioni oniriche e descrizione puntigliosa del mondo del cinema, una disanima lucida e sincera dei propri rapporti con religione, universo femminile e la propria infanzia, che da fatto interiore riescono magnificamente a farsi pellicola acquisendo valore universale e atemporale. Capolavoro!
Capolavoro assoluto, commovente. È un sì alla vita, non come entità filosofica ma come fatto troppo umano: la vita con splendori e miserie, dal punto di vista un po' misogino di chi, uomo, ama davvero le donne. Interpreti splendidi, musiche celeberrime ma non usurate, bianco e nero magico. Non sforziamoci di capirlo: guardiamolo, semplicemente. *****
MEMORABILE: "Perché non sapeva amare"; Il prelato nella sauna.
Disteso sopra un letto immaginifico e farsesco, disilluso e circense, è la summa dell'eleganza e della pregnanza figurativo-poetica felliniana. Folgorante e magmatico flusso di coscienza estratto dalla memoria come ricognizione di tutta una vita, strabiliante introspezione sulla scoperta, il fallimento, i dubbi, l'incomunicabilità, la morte. Malinconica depressione esistenziale e artistica che sublimemente riflette tutta la confusione mentale dell'uomo e del regista. Stordisce, ammalia, attrae: pura amniosi filmica di una mente incredibile.
Ingiudicabile: o lo si ama, ergendolo a capolavoro (in cima a numerose classifiche) o non lo si apprezza in modo netto. Il peregrinare di Mastroianni tra mogli, amanti, crisi d'autore e produttori alle calcagna, risulta indigeribile e ancor di più confuso. Restano la forza di alcune immagini come la scenografia del film che verrà (?) e il girotondo finale. Nota di merito per la celebre colonna sonora di Nino Rota.
Grande esempio di cinema e sicuramente il miglior film di Federico Fellini. Storia alquanto articolata (ricorda a tratti l'Ulisse di Joyce) ma vista più volte si ha l'impressione di assistere davvero a un mezzo capolavoro. Marcello Mastroianni grande interprete.
È il primo film di Fellini in cui viene abbandonato lo stile neoralista a favore di quello onirico. Perfetta la descrizione metaforica sulla condizione umana dell'artista, raccontata con un ottimo ritmo, stupende sequenze, scenografia e una costruzione della sceneggiatura impressionante. Un lavoro molto accurato che lascia piacevolmente sorpresi davanti a un film dal significato sottile ma molto vicino a chi ha fatto o fa parte dell'ambiente cinematografico. Si possono trovare rimandi su questo film in Stardust memories.
Diluito all'8, 5%, buffonesco alla stessa percentuale e contorto al 101%. Se dovessi ringraziare per la svolta che questo film ha dato al cinema, dovrei pensare che tutti i registi siano creature mostruose delle foreste pluviali... Un intruglio fatto di tanti segmenti sparsi un po' ovunque che alla fine si conglomerano goffamente e non solo non disegnano un porcospino, ma creano un marasma sul quale è perfino arduo giocarci sopra una sfida a shangai. Un'ineguagliabile ciofeca in cui tutti gli attori sembran valere mezza tacca. Disastro totale! Come han ridotto male la mitica Steele... Si salvicchia appena Pisu.
Un pensiero banale e forse sciocco: se invece di intitolarsi Otto e mezzo si fosse intitolato Zero? Cioè, se fosse stata l'opera prima di Fellini? Bisogna riconoscere che il titolo è azzeccato, il fatto che sia stato preceduto da sette film del grande regista (più tre mezzi film, come egli dice), è basilare. L'uomo e l'artista si è già fatto conoscere, ha mostrato quanto vale e ora, in crisi creativa, può usare questo suo stato per farne un film. Film che, immagino, è cresciuto strada facendo, con illuminazioni folgoranti lungo il percorso.
Un meta-film che è uno sfoggio di tecnica e procede lungo due piani, entrambi ricchi di personaggi, che fanno a gara a quale sia il più caotico. Il reale opprime, l'onirico libera fantasie, paure, pensieri, desideri, sogni. Ne risulta un lavoro talora confuso che parla direttamente al subconscio e lì rimane inciso, assieme a volti, personaggi, musiche (!) e qualche parola. Consiglio di vederlo in uno stato di sonnolenza.
Ci si libra come Mastroianni sopra la coda di auto, ma il gran maestro (seppur ammantato dal suo stile e dal suo fascino inconfodibile) non riesce a coinvolgere, a emozionare, a trasmettere la sua visceralità come in altri capolavori. La noia, la cripticità, lo sfarzo, la ridondanza, l'incomprensibilità (quando è troppo e troppo) gettano nello sconforto. Le donne (mostruose e non) che assalgano sessualmente Mastroianni restano un pezzo di puro cinema felliniano da tramandare ai posteri, ma questa sua opera pachidermica è vacua come il girotondo finale.
MEMORABILE: Mastroianni alla Milo: "Fammi una faccia da porca"; Mastroianni improbabile "master" dominatore, con la frusta, di animali "femminili".
Il più puro capolavoro della metacinematografia: il film consiste, per assurdo, nel film stesso. Fellini lascia viaggiare il suo libero pensiero e lo fa con sapienza, con eleganza in ogni sequenza del sogno, perfino con autoironia nella scena grottesca dell'harem, con cui confessa molto del suo rapporto con le donne. Si giunge alla fine commossi insieme a Mastroianni (Fellini) nel suo balletto con tutti i personaggi a cui è affezionato e si ride pensando al film che non doveva più essere fatto e invece eccolo qua: lo stiamo vedendo!
MEMORABILE: La descrizione delle inibizioni dell'infanzia cattolica; Tutti i personaggi, in particolare il critico.
Fellini si ritrova con un "mucchio di immagini frante", apparentemente sconnesse e gratuite nella loro evidente ascendenza autobiografica: l'infanzia, le donne, i fantasmi dei genitori, il cattolicesimo che elegge l'infelicità a essenza umana. Tale confusione, però, ha un proprio grandioso riscatto poiché ciò che appariva informe diviene creazione unitaria e testimonianza della forza dell'artista (la scena finale). Di genio purissimo la sequenza con Guido bambino in cui nostalgia, purezza e atmosfera magica si fondono indistintamente.
Un regista in cura alle terme vuole fare un film di cui non ricorda più il soggetto. Fellini ragiona sul suo status d’autore attraverso l'alter ego preferito Mastroianni. Il suo cinema ha un significato o è solo l’accumulo dei ricordi di un uomo alla ricerca di una ragione esistenziale? La domanda resta parzialmente senza risposta perché, dopo un inizio tutto sommato coerente, il film diventa caotico ed eccessivamente criptico. Molto amato dalla critica un po' meno dal pubblico, ma comunque indispensabile per capire il maestro riminese.
MEMORABILE: L’incubo nel traffico; L’arrivo dell’amante; La fila alle terme; La danza della Saraghina; Il bagno nell’enorme tinozza, L’incontro con i prelati.
Alla ricerca del suo tempo perduto, danzando con grazia tra il qui e l'altrove, dondolando tra le pene del reale, la dolcezza del ricordo e le malie del sogno, Fellini ci regala il suo capolavoro. Sfruttando alla perfezione un Mastroianni mastodontico e dando prova di una maturità stilistica al suo apice, il regista riminese prova a filmare la vita, ciò che di più mutevole e incomprensibile esista, in due ore e ci riesce. Si arriva alla fine deliziati da scene memorabili, commossi pensando al proprio girotondo e grati per aver vissuto il film. Immortale.
Per certi versi incredibile, riesce nell'impresa di far coincidere in maniera esemplare lo sviluppo della trama, grazie a un montaggio di livello estremo, con la tormentata anima del protagonista. Le tematiche affrontate, a volte, sembrano essere decisamente troppe e il rischio di perdersi nei meandri della mente del protagonista Guido è concreto, ma anche questo rientra all'interno del senso generale della pellicola. Un film talmente onirico che sembra non esistere.
Dire oggi qualcosa di nuovo o di diverso sul film è quasi impossibile. Il recente restauro permette piuttosto di apprezzare, in tutta la sua magnificenza, la dimensione spaziale e architettonica della favola felliniana: uno spazio onirico solcato da solidi complessi, dove le intersezioni dei corpi creano esse stesse le geometrie dell'azione (si veda la splendida scena del cimitero, quasi metafisica). Importantissimo storicamente, interpretato da un cast di primissimo ordine, non consigliato a chi, in un film, cerca fatti e non loro evocazioni.
MEMORABILE: Il protagonista a colloquio coi genitori defunti; Nella tinozza; Il finale.
La crisi esistenziale e la presa di coscienza di se stesso di un regista quarantenne, nel film in cui forse il gusto per l'onirico di Fellini esplode definitivamente e sono riscontrabili in maniera chiara i pregi e i difetti del regista romagnolo, dall'introspezione nostalgica al consueto can can di personaggi di tutti i tipi passando per l'egocentrismo che accompagna sempre le sue opere. Innegabile il fascino della pellicola e la sua posizione elevata nel panorama del cinema italiano. Ma c'è qualcosa di sopravvalutato. Un buon Mastroianni circondato da un valido cast.
Tanto si è scritto di questo film che riesce difficile anche solo raccontare lo stupore che si prova all'ennesima visione. Il dramma di un regista, il suo egoismo, il suo rapporto con le donne: tutto è al tempo stesso estremamente complesso e assolutamente semplice. Ogni dettaglio, ogni volto, ogni inquadratura è scelta con cura, per realizzare un vero capolavoro.
Marcello Mastroianni interpreta un regista con tante idee e personaggi incapace di ricavarne niente di concreto. La pellicola è infatti un insieme di situazioni a volte caotiche, a volte maggiormente silenziose: queste ultime sono le più magiche, in special modo quando vengono messi in scena i ricordi d'infanzia. Tutto è ricostruito al meglio, dalle scenografie, al bianco e nero, alle musiche di Nino Rota. Grande passerella di attori che danno vita ai volti grotteschi con cui il regista delizia lo spettatore in tutti i suoi film.
Sopravvalutatissimo film di un regista dalle molte sfaccettature, che in questo caso fallisce alla grande. Se ne La dolce vita la storia del regista affranto e denudato di ogni suo vizio e capriccio lo condannava alla tristezza infinita, qui si capisce fin da subito che si vuol seguire un approccio (pur implicitamente) più autobiografico. Ciò che viene fuori però sono solo quasi tre ore anonime e di una noia assordante. Ogni personaggio sembra privo di vita da quanto inespressivo. Duole dirlo, ma Fellini ha fatto decisamente di meglio.
MEMORABILE: L'incontro tra il regista e l'ecclesiastico nel parco.
Probabilmente il miglior Fellini di sempre, in una via di mezzo tra visionarietà, intimità e comprensibilità per lo spettatore medio. Confezione curatissima con bellissimo bianco e nero, ottime musiche, inquadrature studiate. E una sceneggiatura che rimesta nel subconscio di un regista confuso (ma forse lo siamo tutti) e nella macchina cinema facendone una satira azzeccatissima. Mastroianni in gran forma, misurato e credibile, circondato dalle muse del regista più credibili. Qualche pausa di troppo ma da vedere sicuramente.
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Gugly ebbe a dire: Su questo film sono stati spesi fiumi d'inchiostro, e non è certo chi scrive ad arrogarsi una ( ulteriore) diversa interpretazione. Per quanto mi riguarda, per me il film è stato una rincorsa verso l'accettazione finale di quello che un individuo è, con la luce e le ombre che si porta dentro; solo accettando tutto questo, abbracciandolo e prendendolo per mano, si può sperare di conviverci e vivere. A Fellini invidio ed invidierò sempre di aver avuto la possibilità di mettere in scena tutti i suoi sogni ed i suoi incubi, e lo pagavano pure! Sono completamente d'accordo, è la sensazione che ho avuto ieri sera vedendolo in un fortunato evento qui a GE su grande schermo! Quanto all'harem e al resto, ho avuto l'impressione di un atteggiamento infantile che secondo me si trova nascosto in fondo a molti (tutti?) noi uomini: una sorta di misoginia che in realtà è grande amore per la donna: e che dà luogo a volte (spesso?) a comportamenti inaccettabili, inflitti e subìti: infantile non è certo sinonimo di buono, anzi!. Non sto parlando qui di questioni politiche, civili, lavorative, ma solo di un atteggiamento psicologico, istintivo, umano ("le luci e le ombre che un individuo si porta dentro"): e la sensibilità con cui sono tratteggiate le figure femminili mi sembra confermarlo. Naturalmente questa è un'opinione solo personale e nulla più, ma mi sono sentito di scriverla e condividerla perché ieri sera, uscendo, piangevo come un fanciullo dalla commozione, e i sei anni li ho superati da mezzo secolo; e parte della commozione era dovuta a questo. Saluti da erreesse.
Erreesse ebbe a dire: Gugly ebbe a dire: [..... Sono completamente d'accordo, è la sensazione che ho avuto ieri sera vedendolo in un fortunato evento qui a GE su grande schermo! Quanto all'harem e al resto, ho avuto l'impressione di un atteggiamento infantile che secondo me si trova nascosto in fondo a molti (tutti?) noi uomini: una sorta di misoginia che in realtà è grande amore per la donna: e che dà luogo a volte (spesso?) a comportamenti inaccettabili, inflitti e subìti: infantile non è certo sinonimo di buono, anzi!. Non sto parlando qui di questioni politiche, civili, lavorative, ma solo di un atteggiamento psicologico, istintivo, umano ("le luci e le ombre che un individuo si porta dentro"): e la sensibilità con cui sono tratteggiate le figure femminili mi sembra confermarlo. Naturalmente questa è un'opinione solo personale e nulla più, ma mi sono sentito di scriverla e condividerla perché ieri sera, uscendo, piangevo come un fanciullo dalla commozione, e i sei anni li ho superati da mezzo secolo; e parte della commozione era dovuta a questo. Saluti da erreesse.
Bellissime parole e bellissima descrizione.
Saluti :-)
C'è da integrare la curiosità di Gugly, non si tratta di un promo ma del primo finale diretto da Fellini, andato perduto, si ipotizza forse anche distrutto dallo stesso regista, considerato che aveva la mania di disfarsi delle cose.Nel documentario "L'ultima sequenza", la Wertmuller loda Fellini per averlo sostituito con quello circense, proprio per far passare un messaggio positivo sulla vita.
Pur tecnicamente pregevole e assai suggestivo, girato su un vagone ristorante di un treno, con i personaggi tutti vestiti di bianco (Fellini aveva perfino optato per il fruscio del vento, da sostituirsi al rumore delle rotaie), presentava un qualcosa di lugubre e si ipotizza che Fellini decise per questo di sostituirlo con la sequenza del circo che tutti conosciamo, per far passar appunto un messaggio positivo sulla vita.
Fonte: L'ultima sequenza di Mario Sesti.
Il sommo Federico e forse uno dei pochi autori che mi spiazza, la sua opera o la amo in toto o la odio, non c'è via di mezzo. Caso più unico che raro in un regista (dal mio punto di vista)
Lo stile e inconfodibile , e la sua mano si sente ovunque, ma e lì il bello, riesce a rapirmi con capolavori che per me sono la summa del puro cinema, e altri di una noia abissale di leggerezza pachidermica.
La mia personale fellinoteca:
I MIE AMORI FELLINIANI
Toby Dammit (in primis)
La Città delle donne Giulietta degli Spiriti
ROMA
Il Casanova
Le notti di Cabiria
I MIE DISAMORI FELLINIANI
8 e 1/2
Amarcord
Fellini Satyricon
La strada
Ginger & Fred
Naturalmente solo quelli che ho visto fin'ora...Vai a capire il perchè...
Lascio in sospeso La dolce vita , in quanto visto da ragazzino all'epoca dell'immaturità, quando manco sapevo chi era Fellini (mi abbioccai a nemmeno venti minuti dall'inizio). Mentre I Clowns devo ancora capire se mi piace oppure no...Nì?
DiscussioneFauno • 26/01/17 11:30 Contratto a progetto - 2742 interventi
Per me bellissimo solo il Casanova, molto validi Roma e Satyricon. Me ne mancano parecchi, specie dell'ultimo periodo, ma ce ne sono almeno 5 o 6, e soprattutto questo e I vitelloni che è meglio che mi limiti al "no comment"...Toby Dammit e La città delle donne prima o poi li vedrò, ma per ora preferisco di grandissima lunga godermi Larry Clark e completare Refn. ;-)
HomevideoRocchiola • 14/01/20 09:59 Call center Davinotti - 1238 interventi
Direi che non c'è bisogno dell'edizione Criterion dopo l'uscita del bluray della Mustang nel 2014 che propone la versione restaurata dal Centro Sperimentale di Cinematografia della Cineteca Nazionale in collaborazione Mediaset. Un lavoro straordinario ha rimesso a nuovo le immagini di questo classico felliniano. Il video panoramico 1.78 pulito a dovere da spuntinature e graffi è brillantissimo ed esalta la luminosa fotografia in bianco-nero di Gianni Di Venanzo che appare qui ottimamente contrastata ed equilibrata. La definizione è al top e permette di catturare molti particolari in più rispetto alle precedenti versioni in DVD. L’audio italiano 2.0 adeguatamente rimasterizzato ha la giusta potenza anche nei dialoghi chiari e privi di rumori di fondo. Peccato solo per la confezione povera (almeno un libretto lo si poteva allegare) e gli extra limitati (giusto qualche intervista). comunque per visionare il film credo si possa optare per l'edizione nostrana che sicuramente non è inferiore alla più datata edizione Usa della Criterion.
HomevideoZender • 14/01/20 14:18 Capo scrivano - 47727 interventi
Non so, non sono molto d'accordo, io ce l'ho la versione Mustang e francamente non mi sembra brillante. Anzi, mi sembra molto più scura di quanto io avessi visto il film, che era luminosissimo. E' come se avessero scurito apposta tutto il quadro per evitare certe "solarizzazioni" che si vedevano con certi bianchi sparatissimi. Il risultato però attenua di molto l'impatto.