Praticamente un THE RING senza video maledetto. Perché, pur non assistendo ad alcunché, la chiamata vi arriva lo stesso, via cellulare: i giorni di preavviso si sono accorciati (da sette a due); in cambio, come bonus, dall'altro capo del telefono avrete la possibilità di sentire la vostra voce pochi istanti prima del “trapasso”: una vera anticipazione del futuro, in pratica. Tanto che ci sarà chi deciderà di andare in diretta tv e aspettare di fronte a milioni di telespettatori il momento della propria morte. Uno scoop mica da ridere, per gli spietati avvoltoi mediatici... Dietro a tutto c'è...Leggi tutto la solita ragazzina fantasma, che pretende la si vada a “liberare”. Takashi Miike è uno dei più quotati registi giapponesi (ICHI THE KILLER, AUDITION...), ma questa volta la totale mancanza di fantasia gli gioca un brutto scherzo. Il suo THE CALL (uscito in Italia appena un mese dopo il coreano PHONE, altro ghost-movie sui cellulari) lavora su una storia che non sta in piedi, su di una sceneggiatura zeppa di falle. Che i giapponesi su queste cose sorvolino senza problemi è risaputo, ma noi occidentali, davanti a simili incongruenze e a un epilogo tortuosamente spiazzante, rischiamo di gridare allo scandalo! Se poi consideriamo che tutta la prima parte è noiosa, ripetitiva e del tutto priva di suspense, la sensazione della beffa è un passo. Bisogna aspettare il lungo finale all'ospedale abbandonato, per ritrovare sprazzi del talento visivo di Miike, con scene improvvisamente cupissime e orripilanti. Ma ormai è troppo tardi, l’interesse è scemato da un pezzo e, in ogni caso, di balzi sulla poltroncina non se ne fanno mai.
I cellulari fanno male, soprattutti nei paesi orientali. Una chiamata misteriosa postdatata, una suoneria che si autoinstalla e, nella data segnalata dalla chiamata, si fa una fine terribile. Il brutto del film è che, alla fine, non si capisce più quale vittima (e attuale fantasma) si debba rincorrere. Finale a lieto fine, almeno apparentemente, ma che lascia l'amaro in bocca... soprattutto se si è a conoscenza dell'esistenza di un sequel. La sola cosa da salvare sembra essere la suoneria.
Incidente di percorso per Takashi Miike, costretto a proporre l'ennesima versione del fantasma tecnologico, vera e propria fissa degli autori nipponici. Il film, infatti, è colmo di luoghi comuni e "manie" che derivano dal cinema orientale: come, tanto per citarne una, quella del cellulare (magari dotato di video); si prosegue con lo spettro vendicativo; e si chiude con un finale che parte per la tangente. Nella plètora di horror ispirati da Ringu questo ha almeno il pregio di godere di una buona messa in scena, garantita dal nome del regista.
Queste "nemesi fantasmatiche nell'era della loro riproducibilità tecnica" hanno scassato le ghiande. Ma possibile non si riesca più a inventare qualcosa di nuovo? O almeno a cambiare specifico? Lievemente sopraelevato rispetto alla media (è pur sempre Miike), ma appena lievemente. Incomprensibile il gran blaterare ed osannare sorto attorno a una storia nata stanca, che si rifà pedissequamente ad almeno altre 50 già viste. Pollice spietatamente verso. *
Visto con tutti i pregiudizi del caso (pare che i distributori italiani si diano da fare per avallare in campo cinematografico il luogo comune "che tanto i giapponesi so' tutti uguali"), devo dire che fino ad un certo punto The Call si guadagna più di un credito (la profezia al telefono è la più abusata delle trovate, però, Takashi trasmette un senso angosciante di solitudine e smarrimento che non mi dispiace). Poi, complice l'ingarbugliamento della trama (più o meno all'arrivo dei due protagonisti all'ospedale abbandonato), sonno totale.
Brutto tentativo da parte del grande Miike di inserirsi nel solco dei grandi successi del j-horror contemporaneo. La trama purtroppo è risaputa e, nonostante qualche bella intuizione visiva, il canovaccio narrativo è derivativo (il che non necessariamente è un viatico per un filmaccio) e oltretutto di una noia straziante. Come se non bastasse, ad un certo punto Miike si mette in testa di incasinare la storia tanto per farlo. Da buttare.
Mediocre film giapponese: Chakushin Ari riesce addirittura nell'intento di far rimpiangere il suo remake statunitense, ovvero Chiamata senza risposta. Una regia che cerca di far quello che può ma che nulla può contro una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti e che trova suo unico motivo d'interesse nella scena (peraltro patetica in confronto alla lentezza del film) dell'esorcismo in diretta tv, remakato ottimamente negli Usa. Una recitazione piuttosto infima, una confezione discreta. Si salva solo la sopraccitata scena.
Uno dei pochi film di Miike uscito regolarmente nei cinema italiani e, come spesso accade, non certo uno dei suoi migliori, anzi, evidentemente girato con la mano sinistra per meri motivi alimentari. Aldilà della evidente mancanza di originalità della trama, il film garantisce pochi brividi e ancor meno degli ingredienti tipici (sangue in abbondanza, perversioni e bizzarrie varie filmate con stile inventivo e allucinato) dei film più personali del regista. Peccato...
Troppo convenzionale per un poeta pazzo come Miike, che qui vuole inserirsi nel fecondo filone della ghost story all'orientale, sulla scia dei vari Ring e Ju-on. Operazione non fallimentare, ma troppo al di sotto delle potenzialità del regista giapponese. La mano del maestro si vede in qualche sequenza, ma l'impianto del film soffre troppo della prevedibilità di situazioni già abusate in decine di pellicole similari. Sufficiente e nulla più.
Durante la visione, più che seguire le sonnacchiose vicende, mi sono trovata più volte ad interrogarmi sul perchè un regista di indubbio talento visivo abbia diretto un horrorino così ordinario e pure derivativo, interpretato mediocramente da un gruppo di giovini e giovinette tanto anonimi che quanto ne muore qualcuno si fa fatica a ricordarselo dopo due secondi dalla dipartita. Vabbé, un paio di sequenze emergono dal generale piattume, ma dall'autore di Ichi è lecito attendersi di più, se non altro in termini di originalità e colpi nello stomaco
Ammettiamolo, influisce sul giudizio la firma di Miike. Se il regista fosse stato un
altro, la benevolenza sarebbe stata maggiore. E invece non essendo minimamente un film
miikiano, la valutazione ne risente. Già la storiellina non è nulla di particolare e di
originale non riuscendo così a creare brividi e tensione, se poi anche la regia è piatta e non riesce a ravvivare una sceneggiatura boccheggiante, la frittata è fatta.
Non brutto, leggermente migliore della media ma in ogni caso mediocre.
Miike, con il suo stile iconoclasta, trasforma quello che sulla carta è l'ennesimo J-horror giappo in un film sulla crudeltà, senza speranza alcuna. Ci sono, quà e là, i tipici topoi del genere, ma il "folle" autore di Gozu ci infila abusi sui minori, corpi che si spaccano e perdono gli arti, una specie di necrofilo che si guarda immagini di morte sul pc, facce carbonizzate, grotteschi show televisivi, zombi che si squamano, tremendi flashback infantili che rimandano a Imprint. Il finale, poi, è miikiano puro e fa il paio con Audition. Cult.
MEMORABILE: La mamma spegne le sigarette sulle braccine della figlia per poi farle guardare dal buco della serratura la nonna che...
Quasi certamente realizzato su commissione, questo horror firmato dal Takashi Miike prende spunto dall'oggetto che per molti di noi è diventato una sorta di protesi elettronica. L'idea non sarebbe male ma molti horror orientali fa sarebbe stata accolta con ben altro entusiasmo; troppo fitta è infatti la serie dei film del genere prodotta dal cinema nipponico (o coreano) negli ultimi anni per entusiasmarci davvero e peraltro lo stile visivo adottato è piuttosto risaputo. Anche la prova del cast è alquanto scialba.
Miike è un regista raffinato, che sa combinare alla perfezione la violenza (qui molto ridotta) e la finezza espressiva tipicamente estremo-orientale con virate improvvise verso l'una e l'altra che riescono nell'intento di spiazzare lo spettatore. Aggiungiamo anche un'ottima gestione della suspence e realizzeremo che si tratta di uno dei migliori horror director di tutta l'Asia. Ma The Call, pur coi pregi di cui sopra, resta un film così così, con una trama che gira troppo a vuoto e spesso si perde in scene poco pertinenti. Meglio Audition!
MEMORABILE: Il ragazzo che muore cadendo nella tromba dell'ascensore, dopo aver ripetuto alla precisione le parole predette dalla telefonata misteriosa.
Solita minestrina riscaldata in pieno stile j-horror. Miike annoiatissimo si limita a svolgere malamente il compitìno optando per un quadro complessivo abbastanza degradante. Sceneggiatura che ingolosisce (merito di un motivetto inquietante) ma che ben presto smarrisce smalto con soluzioni semplicistiche e incoerenti. Fotografia troppo scura che non permette di cogliere determinate sfumature in ambienti angusti. Cast anonimo. Approssimativo.
Quando si fa riferimento all'horror giapponese di ultima generazione vengono in mente pellicole come queste, completamente uguali l'una all'altra. Da Miike mi aspettavo qualche colpo di genio e invece sono rimasto molto deluso. Il film sembra una copia sbiadita di Ju-On e senza l'effetto sorpresa di quest'ultimo. Gira e rigira gli spaventi sono quelli e della creatività che tanto contraddistingue il regista nipponico nemmeno l'ombra. Molto male.
Niente splatter questa volta per Takeshi Miike, poche scene shock (quelle che ci sono però colpiscono), ma una costruzione rarefatta piena di suggestioni, con un crescendo di tensione, quasi da film thriller, fino ad arrivare a un finale livido, macabro e puramente horror. Qualche flashback poco chiaro, ma il film è incisivo e di buon gusto. Bellissima Ko Shibasaki, inquietante la musichetta che anticipa la tragedia.
Un Takashi Miike flemmatico e urticante, che inscena una detective story squarciata dall’horror, posseduta dai fantasmi del folclore locale e da quelli della cronaca nera. Una storia lenta, eccessivamente stratificata ma immersa in un clima di tragedia e di infinito terrore. I vivi si decompongono e i morti riprendono a respirare, accompagnati da notevoli astuzie visive e continui capovolgimenti narrativi. Brava Ko Shibasaki, lolita immacolata e maledetta.
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Uso lo spazio di questa pellicola (l'unica vista) per un domanda più generica su Takashi Miike. Vorrei sapere dai più esperti che film mi consigliate e in che ordine per scoprire questo autore.
Grazie.
Son certo che avrai tutti i Dossier di Nocturno, onde per cui ti consiglio la rilettura di Il Fantasma della Libertà - il cinema estremo di Takashi Miike:
Io sono controcorrente e non amo troppo il suo cinema, del quale è considerato un capolavoro Ichi the Killer (2001).
Dovendo approcciare questo autore, seguirei questa scaletta (con titoli disponibili anche nella nostra lingua):
Audition (2000)
Ichi the Killer (2001)
la serie MPD Psycho (2000)
Gozu (2003)
quindi puoi passare a titoli -purtroppo- inediti in italiano, quali:
Full Metal Yakuza (1997)
Visitor Q (2001)
The City of the Lost Souls (2000)
Facci sapere, se ne vedrai qualcuno, che ne pensi...
Purtroppo quel dossier di nocturno non ce l'ho,
a Rovigo chiederlo in edicola è fantascienza e sono abbonato solo da un'anno.
Grazie per la consueta esauriente cortesia!
Ti farò sapere che ne penso appena vedo qualcosa!
DiscussioneZender • 30/07/08 10:15 Capo scrivano - 47731 interventi
Secondo me Ichi contiene tutto il Miike-pensiero: folle, delirante, violento, incostante, genialoide... E' utile per capire se ti piace il "personaggio". Anche Gozu è piuttosto esemplificativo, a quanto ho sentito dire.
Zender ebbe a dire: Secondo me Ichi contiene tutto il Miike-pensiero: folle, delirante, violento, incostante, genialoide... E' utile per capire se ti piace il "personaggio". Anche Gozu è piuttosto esemplificativo, a quanto ho sentito dire.
Si essendo nel gruppo di quelli in italiano credo proprio che inizierò da quello!