Anna la vittima; Anna che finge di non vedere; Anna che ha la "capa sciacqua" (la testa vuota). E' lei la protagonista assoluta della pellicola: ma fa davvero
tutto per amore degli altri? Gaudino torna al cinema di finzione dopo quasi vent'anni e firma un buon film che presenta però troppi svolazzi estetici non sempre belli da vedere e che anzi a volte sono a rischio trash e in alcuni casi magari ci cadono pienamente. Ci sono anche un po' di stereotipi, ma la storia è credibile e tutto sommato sobria. Bravissima la Golino e bello il suo personaggio, ma anche Giannini e Gallo gli tengono testa
MEMORABILE: Il particolare "ringraziamento" per il lavoro ottenuto.
I siparietti divertenti col figlio sordomuto e le figlie.
Un film psichedelico eppure così ancorato alla realtà; per un paio di ore lo spettatore è in un viaggio acido, un feedback di Hendrix (o forse Pino Daniele) dentro una catacomba affacciata sul mare, il tutto per descrivere la quotidianità di una Golino interprete davvero notevole. Anche i difetti, nel caso di questa pellicola, diventano viaggio e carattere della sua protagonista. Da vedere, anche solo per scoprire (o avere conferma) che il cinema italiano c'è e resiste... basta accorgersene e magari trovarlo in qualche sala (con un po' di fortuna).
Il film contiene molte cose interessanti, a cominciare dal bianco e nero narrativo e dal colore onirico ma allo stesso modo descrittivo; il cast è di ottimo livello, la vicenda facilita la lettura introspettiva del personaggio Interpretato dalla brava Golino, specie nel suo rapporto con i tre figli. Risulta forse eccessivo l'uso dell'esasperazione: si tramuta in scene troppo cariche e aritmiche che ottengono l'effetto contrario, quello di allontanare l'attenzione dal bellissimo plot, sceneggiato con ritmo e maestrìa.
Girato in modo convenzionale, intendo senza i troppi pesanti effetti di manipolazione dell'immagine, sarebbe stato molto meglio. Bastano le scene oniriche a colori, rispetto a una realtà grigia e le fradice scene sull'autobus, ad arricchire una storia già ricca per conto suo, merito di una superlativa Golino. Il dialetto e i sottotitoli arrivano a essere fastidiosi e stancanti, oltre a distrarre da una visione pulita. Azzeccato invece partire da Anna per arrivare un po' alla volta al tema che affligge Napoli e non solo. Inutilmente alterato.
Riprende un'idea di cinema anni '70, Gaudino, quella di centralizzare una figura femminile in funzione di affondo psicologico, e fare della sintassi filmica e della messa in scena la forma stessa della sua psiche, la reificazione dei flussi coscienziali. Ma lo sperimentalismo, che si dibatte tra il sublime e il trash in un'ipertrofia barocca, incorre in un'amara constatazione: dove non arrivano le immagini, supplisce pachidermica la parola (il goffo spiegone riversato dalla madre alla figlia). Il tentativo di un cinema alt(r)o comunque è apprezzabile. Immensa Golino.
Girato in modo tradizionale senza effetti visivi, il film avrebbe potuto e dovuto dire di più sia perché il tema di base della donna salvatrice e martire della famiglia è ben affrontato sia perché l'interpretazione della Golino e di Gallo è davvero strepitosa (anche se li ho visti recitare sempre ad alti livelli). Il finale però compromette il tutto: il complotto e il gesto di redenzione credo ci azzecchino poco col contesto del film, ma nel vuoto di idee del cinema italiano ci consola il fatto che almeno qualcuno ci prova, a inventare qualcosa.
Data per scontata la bravura della protagonista Valeria Golino (giustamente premiata), si fatica a comprendere il senso del film e ad apprezzarlo di conseguenza. Il lavoro sull’immagine sembra lezioso e fine a sé stesso; le pause oniriche spezzano il racconto di cui si fa fatica a riprendere il filo (e per la verità anche gli attori appaiono spesso disorientati) Detto infine dell’attrice protagonista, un plauso va dato al bravissimo (e poco utilizzato per come merita) Massimiliano Gallo.
Ordinario e inconcludente nella trama - le tribolazioni di una donna tra problemi personali, famiglia e lavoro - così come nel suo sperimentalismo stilistico ridonante e pretenzioso, costituito da folklore partenopeo, flash d'infanzia ed esplosioni di colore in una fotografia in bianco e nero, che spezza la linearità e, di conseguenza, la drammaticità del narrato. La splendida protagonista Valeria Golino affina sempre più le sue doti recitative lasciando parlare i suoi occhi limpidi e l'aria da eterna fanciulla; nota di merito anche per Gallo, marito tanghero e strafottente.
MEMORABILE: Il figlio non udente che si diverte a rappresentare "Juanita Banana" del Quartetto Cetra.
Gaudino ha del genio registico, capace però più di far capolino in alcune notevoli invenzioni visive (il tram stracolmo d'acqua, le scene familiari) che non nel tenere sulla corda intonata un film che a poco a poco pare troppo accondiscentemente riconoscersi nella città (e nella donna) che rappresenta, finendo con l'essere rococò, scostante, ridondante e alfine gratuitamente spurio. Come giustamente detto da Fofi, ci sarebbe voluta più distanza critica e meno "colore". Golino meno brava e "napoletana" che ne La guerra di Mario, minacciosamente bravo Gallo.
Una trama tradizionale che rimanda agli anni '50, con stilemi tipici dei fotoromanzi di allora, col relativo b/n e quartetto Cetra annesso, artificiosamente alternata con inserti a colori surreal-psichedelici che ne vorrebbero essere il tocco "contemporaneo". Storia confusa in cui le tematiche familiari e sociali non si fondono in una narrazione coerente e anche gli attori stessi, non sfuggono da un certo schematismo; così come l'immagine di Napoli è poco più di una cartolina al negativo. Spicca la parte della Golino e Gallo, notevoli i comprimari.
Si può affermare che Gaudino voglia a tutti i costi lasciare il segno. Con immagini distorte, allegorie visive, immagini in bianco e nero che si contaminano di colori e brani musicali di diversa fattura, il regista ci consegna un racconto a tinte drammatiche e fortemente evocativo. Nel complesso esagera, sia come stile che come tinte forti, andando a scapito della scorrevolezza e solidità del racconto, ma grazie alla prova della Golino è pur sempre un film abbastanza stimolante e meritevole di una visione.
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DiscussioneNeapolis • 27/06/16 13:49 Call center Davinotti - 3080 interventi
La scena di cui al post in verificate del 27 giugno 2016 è un omaggio a Eduardo riprendendo appunto il suo famoso monologo "E' cosa 'e niente" in Peppino Girella. Lei è la grande Luisa Conte.