Il rito d'iniziazione che tanto fa Stephen King (
Stand by me è dietro l'angolo e pure i ragazzini di
IT) , in un racconto di formazione che, in un baleno, passa dall'innocenza alle brutture della vita (i due ragazzini messi in mezzo, loro malgrado, in un gioco più grande di loro, tra uno sceriffo corrotto, scaltro e bastardissimo e impediti spacciatori che sembrano usciti da un noir dei fratelli Coen, nonchè coinvolgendo, in modo subdolo e carognesco, pure automobiliste impiccione).
Watts passa dagli omaggi all'horror anni 80 di
Clown (citato sul finale, con le luci blu che invadono l'abitacolo dell'auto della polizia in fuga sulla strada di notte) al road movie pulp dalle forti connotazioni kinghiane, con quell'atmosfera agorafobico/sperduta (le strade assolate e deserte, i cieli blu macchiati di nuvole) che sta tra Mad Max e
The Hitcher, che ne aumentano il senso di smarrimento e costante pericolo.
Momenti tesissimi (Bacon alle prese con la leva di sicurezza di un automobile che è un vero e proprio rottame, Bacon fermato dal "collega" in moticicletta sul ciglio della strada, Bacon che dopo aver occultato, a fatica, il cadavere in un pozzo, scopre che la sua auto di servizio è sparita, e tutto il parapiglia che ne consegue, corse a perdifiato in mezzo ai campi comprese) e una resa dei conti che vira in lidi similwestern, quasi peckinpahniani, dove il sanguinoso massacro tra agguati e furbate spregevoli non risparmia quasi nessuno.
Watts spiega poco della turpe vicenda e del legame che c'è tra "il cattivo tenente" di Bacon e i due fratelli spacciatori, e va bene così, quello che davvero le interessa è il gioco innocente di due ragazzetti (da antologia l'incipit, con i due sbarbatelli che usano , ripetendo, ogni tipologia di torpiloquio) che si puntano addosso pistole vere (e presumibilmente cariche, fortuna che non le sanno usare) indossando goffamente il giubotto antiproiettile, solo per vedere l'effetto che fa.
Bacon giganteggia dietro ai baffoni e agli occhiali da sole e sembra proprio che a Watts i ragazzini non le siano troppo simpatici (vedi la mattanza imberbe di
Clown), evitando accuratamente patetismi e tenerezze fanciullesche da quattro soldi, tra l'altro muovendo pure le corde dell'autoanalisi adolescenziale (il ragazzino più timido, Harrison, sarebbe lo stesso Watts da decenne).
Bellissima, a suggellare questo sanguigno passaggio dall'infanzia alla maturità, la OST di Phil Mossman.