Mhà, alla fine non mi e nemmeno dispiaciuto
Balza subito all'occhio la lentezza del racconto, il poco mordente e il latitante coraggio di Hobson (che per essere un esordiente se la cava abbastanza) di non andare fino in fondo, di non incidire troppo, di mettere da parte la cattiveria per un "politicamente corretto" che, per quanto possa sembrare strano, ci può anche stare.
Colpisce l'atmosfera autunnale e plumbea (oserei dire quasi fulciana), di questa fattoria sperduta in mezzo al nulla, tra boschi e campi di raccolta dati alle fiamme, sovrastata da celi quasi sempre grigi e minacciosi (gran lavoro del direttore della fotografia Lukas Ettlin)
Alla fine e un dramma, un lacrima movie da film dossier alla
Quando morire (come nel film di Paul Wendkos), sulla malattia, sul cancro che divora un proprio caro, su cui non si può fare nulla se non vederlo consumarsi lentamente, giorno per giorno, con la disperazione nel cuore, travestito da "zombie/pandemic/movie", che però, col passare del tempo, sposta l'asse verso il "possesion movie" (le crisi di Maggie e il suo respirare asmatico mentre dorme non possono non far venire alla mente le mutazioni maligne di Linda Blair ne
L'esorcista)
A volte e meglio rimpiangerli morti, e infatti sembra una versione intimista e "pudica" di
Cimitero vivente, un
Contracted o un
Tanatomorphe per famiglie, per discuterne, per mostrare il dolore di avere un familiare affetto da una terribile malattia irreversibile.
La "nuova carne" di Maggie marcisce progressivamente (e butta vermi, Parkinson insegna), la sua fame la porta a sbranare volpi vive (Schrader e Landis insegnano), la sua "menomazione" la costringe a autoamputarsi un dito infetto che si stà progressivamente deformando (Yuzna insegna) e a gettarlo nello scarico del lavandino (Coscarelli, con altro tipo di insidie insettiformi, insegna)
Maggie ansima, ha le convulsioni, scende le scale (il particolare sui suoi piedi "marciscenti" che scendono i gradini) si avvicina a papà che vigila con fucile in mano mentre si e appisolato sulla poltrona, lo bacia in fronte e esce di casa. Poi un finale bellissimo, quasi bergmaniano, a suo modo poetico, che , sotto certi aspetti, mi ha ricordato quello di
Emily Rose.
L'horror è convitato di pietra (i vicini zombi, papà e figlioletta, che si avvicinano a Schwarzy nel bosco, il feroce contagiato alla stazione di servizio, i flashback sul morso che ha infettato Maggie), il look degli infetti piuttosto convenzionale, la scena dei ragazzi intorno al fuoco abbastanza inutile (anche se il racconto di Trent-il ragazzo di Maggie, anche lui contagiato e in via di trasformazione-sul destino dei contagiati quando vengono messi in quarantena, mette i brividi) e un senso di deja vu che rimane impresso lungo tutta la visione
Però il film ha un suo perchè, e indifferente non mi ha lasciato.
Attorialmente l'ex Terminator non recita nemmeno male (che si crogiola nel suo dolore di papà impotente e addolorato) e tenta la carta già giocata da Stallone nel bellissimo
Copland, mentre la Breslin non e che mi sia simpaticissima (io avrei scelto un'altra attrice) ma bisogna ammettere che se la cava e riesce a trasmettere il senso di disperazione del male che la stà divorando.
Un film cupo, deprimente, nemmeno tanto noioso, stucchevole a volte, ma senz'altro difficile da consigliare (agli amanti dell'horror? A quelli dei "malattia movie"?. A chi ha la lacrima facile? Non certo a quelli che amano l'azione, ma nemmeno a chi pensa di vedere pandemie o apocalissi...) E allora? Appunto, difficile da consigliare proprio per questo.
Alla fine, però, non così brutto come si legge in giro.