La cosa che colpisce maggiormente del film è sicuramente il fatto di essere un unicum nel panorama cinematografico italiano da cui si discosta in maniera decisa e meritoria. La storia pur non del tutto originalissima, presenta diversi motivi di interesse ed il suo respiro rinfresca l'aria stantia di tanta nostrana celluloide. Riesce a interessare e coinvolgere e nella seconda parte ha un bella presa sullo spettatore. Peccato per quel finale un po' facile, comodo ed affrettato. Bravissima la Rohrwacher, meno convincente Adam. Imperfetto, certo, ma con tanti perché e sostanzialmente riuscito.
Per alcuni versi è un Rosemary's baby alla rovescia; ma sarebbe troppo riduttivo. Film sulla genitorialità che si scopre thriller strada facendo. Protettiva (lei), egoista (lui), sanguigna (la madre). Film decisamente buono con ottimi attori e alcune scelte forti di ripresa (i grandangoli spinti nella parte centrale, fastidiosa invece la camera a mano troppo traballante). Non del tutto maturo ma con grande volontà di essere un film intenso. E spesso ci riesce, sospendendo i giudizi sui personaggi. Dal romanzo del veneziano Marco Franzoso "Il bambino indaco".
MEMORABILE: Driver che canta "Tu si na cosa grande"; La scena iniziale nella toilette cinese; Il sogno e i cervi nella casa della madre.
Film in cui a ogni cosa buona ne corrispondono due pessime. Vezzo italico, intimismo e provincialismo, personaggi tagliati con l'accetta (bravo Driver, pessima la Rohrwacher, che sembra "brava" solo quando fa l'alienata) e regia che osa (poco) e poi nasconde il braccio. Il soggetto è interessante, ma le psicologie sono inscatolate e il doppiaggio fa perdere l'interessante "problema" della lingua (vedi scena della canzone al matrimonio). Finale tirato via con tramonto sulla spiaggia che manco in un telefilm... che delusione!
Non solo un film sulle ossessioni nutrizionistiche, ma anche sugli aspetti di "possessione" estrema che la maternità può produrre in taluni casi. Il punto è che il tutto si traduce in un'istantanea replicata cento volte, senza quell'adeguato supporto che lo sviluppo dei personaggi principali apporterebbe, la loro psicologia, le loro ragioni. La sceneggiatura sul finire poi si incurva verso un epilogo decisamente artificioso. Fastidiosa la recitazione "a fior di labbra" della Rohwacher. Un buco nell'acqua...
L'idea è interessantissima: un thriller quasi alla Polanski sull'ossessione per il veganismo, con una Rohrwacher che probabilmente azzecca il ruolo della vita (ma nell'edizione italiana già che c'erano potevano doppiare pure lei) e un Alan Driver che non sfigura affatto. L'inizio da indie made in Usa stucca abbastanza, poi il film regge bene quasi fino alla fine, almeno finchè il coraggio di Costanzo non si dissolve in una deludente assoluzione collettiva. Della serie "Famo er pokerino, famo er pokerino... po' co' tre ganci te c***i sotto?"
Dopo un inizio penalizzato dal doppiaggio la trama scende man mano nelle storie di famiglie alle prese con prese di posizione "alimentari": l’integralismo che porta alle divisioni, alla patologia e al dramma. Costanzo varia gli stili a seconda del tasso di psicosi ma è imperfetto nelle tensioni: poteva affondare nel thriller, nel psicologico, ma dà l’impressione di una occasione mancata. Anche l’ambientazione americana era adatta. Driver con la sua faccia da bonaccione non sembra adatto, la Rohrwacher meglio nella prima parte.
La maternitá genera mostri, che non sono i figli, ma le madri stesse. Curiosamente, invertendo lo schema narrativo di Rosemary's baby, le istanze femministe si estinguono, e la misoginia, che pretende di legittimarsi nell'epoché morale, si insinua: il risultato è emotivamente asfissiante, persino repellente. Costanzo lavora di camera a mano e vertiginosi grandangoli, immergendoci in un'apnea intimista che lo eleva dalla piattezza di tanto cinema italiano. Ma si rimane refrattari ad una seconda visione. Convincente Driver; Rohrwacher sempre piú a rischio di retorica. Da vedere, comunque.
Un film "tremendo" per la tematica toccata e per lo stile scelto per raccontare questa storia... originale nel panorama del cinema italiano, certo non un capolavoro. Primo amore di Garrone torna alla mente, osservando questa storia d'amore decisamente malata e opprimente, anche per gli ambienti in cui si svolge. Finale un po' deludente per una svolta thriller troppo sbrigativa. Adam Driver bravo, la Rohrwacher rovinata dall'autodoppiaggio per la versione italiana.
Soggetto particolare che Costanzo filma con uno stile claustrofobico e poco spettacolare, confermando di non accontentarsi del compitino e di infischiarsene del botteghino italiano. Tuttavia qualcosa manca, sia come risvolti narrativi che come resa complessiva degli attori. Il tono pessimista è accentuato dalla limitatezza di spazi e persone e dalle tecniche di ripresa scelte da Costanzo che denota personalità, pur esagerando a volte con lo stile realista e pessimista.
Costanzo si conferma profondo indagatore del malessere e della sofferenza. Qui racconta una storia familiare claustrofobica, con un inizio riuscito (l'incontro nella toilette con la porta bloccata) e uno sviluppo che diventa via via sempre più angosciante, fino al drammatico finale (forse troppo affrettato). La follia e le deviazioni ossessive della madre vegana, che impone anche al figlio neonato lo stesso rigido regime nutrizionista, sono ben rese dalla Rohrwacher ed enfatizzate anche con uso di grandangolo e filtri deformanti.
Pasticciato, arzigogolato, derivativo ai limiti del succedaneo sì... eppure c'è dell'insanamente buono cinematografico in questo traballante film di Costanzo, che segna un incerto passo avanti, in termini di sincerità narrativa e "sporcizia" visiva, rispetto al tonitruante ma pettinatissimo La solitudine dei numeri primi. Così i buchi neri del racconto e le carenze attoriali sfumano davanti a un'ispirazione frammentaria ma sempre sostenuta da un idea di Cinema che, senza inseguire l'autorialità, non ha paura di perdersi tra i generi, fino a svilirsi e svanire.
MEMORABILE: L'incontro nauseabondamente "galeotto" nel bagno del ristorante cinese.
Una madre disturbata e il suo veganismo totalitario nei confronti del piccolo figlio. Una pellicola claustofobica e a tratti straniante che affronta con decisione una problematica che sta prendendo sempre più piede nel mondo. Ottimi i due interpreti principali, con la Rohrwacher perfetta nella parte che gli riesce meglio. Virtuoso Costanzo.
Duro, a tratti sgradevole, molto più spesso disagiante. L'argomento è complesso, anche perché va a toccare tutta una serie di fili scoperti e nodi irrisolti definitivamente silenziati dal politically correct (veganesimo e figli, depressione post partum, violenza familiare, a esempio): in questo - ma è un peccato atavico della regia di Costanzo - qualche virtuosismo in meno e del carattere in più avrebbero giovato. Un vero peccato che i nervi a fior di pelle di questo thriller quotidiano naufraghino in un finalino telefonato.
In un'epoca in un cui tanto si discute sul presunto diritto dei genitori di essere unici arbitri della salute dei propri figli, ben venga un film che racconta come il fanatismo alimentare di una giovane madre possa mettere a rischio la salute del suo piccolo. Però la Mina interpretata da Rohrwacher - brava ma qui monocorde - non è solo vegana e iperprotettiva, ma anche mentalmente disturbata e questo rende la vicenda un caso patologico al limite. Un aspetto sottolineato dalla tecnica di ripresa claustrofobica che ricorda Repulsion e culminante in un epilogo drammatico che suona forzato.
Amor (malato) di mamma: è quello della donna vegana salutista integralista (e disturbata) per il suo neonato. Classico film su casi ispirati alla cronaca che si fondono con il tema della crisi familiare, che Costanzo realizza con una estetica alla new cinema americano, costruita con una narrazione a flash e una fotografia alla ricerca dell’autenticità (non a caso lo stesso regista è pure operatore, come per evitare mediazioni nello sguardo). Storia intensa sulle fragilità, con solo un’enfasi romanzesca nel finale, ben sostenuta dal cast.
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Potrà non piacere, come tutti i film del resto, ma l'ultimo lavoro di Costanzo è sicuramente quanto di più lontano ci sia nello stantìo panorama del cinema italiano. Una ventata di freschezza. Difetti ce ne sono (il finale troppo affrettato e comodo come anche la stereotipata figura della suocera), ma anche aspetti molto interessanti. E poi la storia, pur non originalissima, nella seconda parte sa prendere e fa discutere. Costanzo gira con eleganza e regala belle inquadrature. Però è un film difficile e gli incassi scarsi lo stanno dimostrando.