Straordinario film documentaristico che è una grande lezione di cinema, di storia e di come si fa e dirige un documentario. Sorretto da un notevolissimo e meritorio rigore visivo (l'orrore è solo raccontato ma non per questo meno agghicciante) che un po' (ma solo un po') mancava nel film precedente del regista sulla stessa tematica, sa raccontare magistralmente quella banalità del Male che non può non devastare chi guarda. Eroico il coraggio del protagonista; da rabbia pura i carnefici ed i loro racconti. Occhio agli "anonimi" nei titoli di coda. Capolavoro.
MEMORABILE: I racconti asettici e quasi anestetizzati dei carnefici. Una figlia chiede scusa a nome del padre. I credits anonimi a fine pellicola.
Film ottimo negli intenti e decisamente coraggioso (i titoli di coda, non a caso, sono una sfilza di "anonymous") ma non all'altezza del precedente documentario di Oppenheimer, del quale si ripropongono i difetti (la ripetitività e la ridondanza) e alcuni pregi (l'impostazione originale), ma non la carica dissacrante che lo rendeva un caso unico nel suo genere. Un po' troppo tirate per le lunghe le parentesi familiari (per quanto ben girate), mentre si sente la mancanza di un colpo di coda finale come quello dell'altro film. Comunque da vedere.
Il lavacro del vecchio padre "sedicenne", la ginnastica della madre, l'esibizione realistica, con il coltello, di come si uccidevano i dissidenti, le visite oculistiche. Tutto sembra far parte della normalità, così è la storia. C'è consapevolezza? C'è un silenzio di fronte alla costrizione di guardare alla propria coscienza. Figlio di L'atto di uccidere, aggiunge un diverso punto di vista sui fatti causati dalla dittatura in Indonesia di più di quarantacinque anni fa e affida alla tristezza degli sguardi, la brutalità dei gesti.
Viaggio nell'orrore, capitolo secondo: questa volta seguiamo non i carnefici che mettono in scena le atrocità commesse ma il fratello di una delle vittime dell'orribile strage perpetrata in Indonesia dopo il colpo di Stato del 1965. Lo vediamo ascoltare, con lo sguardo concentrato e le labbra serrate, i racconti dei testimoni del tempo, compresi i responsabili dell'omicidio del fratello, non solo rimasti impuniti ma convinti di aver agito per amor di patria. Un documentario che, lasciando tutto all'immaginazione, fa sta male come pochi altri.
Se nell'Atto di uccidere i carnefici mettevano in mostra il loro modus operandi, qui li vediamo incalzati dalle domande di un uomo a cui è stato brutalmente assassinato il fratello. Il risultato è ancora più devastante in quanto possiamo percepire realmente tutti i sentimenti che emergono in questo assurdo viaggio nell'orrore. Joshua Oppenheimer dà un senso al termine documentario dando vita ad un capolavoro di realtà. Gli sguardi tra l'intervistatore e gli intervistati contengono una quantità tale di emozioni che solo il silenzio può esprimere nella sua totalità.
MEMORABILE: La figlia di uno dei carnefici, visibilmente in imbarazzo e in difficoltà, che chiede perdono e invita il protagonista a fare parte della famiglia.
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Posto qui quello che stavo per scrivere nelle note ma poi non ho più scritto poiché volevo corredarlo anche di un piccolo commento. (Zender per favore provvedi a cancellare l'inizio di nota e scusami per l'inconveniente).
Nei titoli di coda, stupiscono ed amareggiano i tanti "anonimo" che troviamo accanto alle varie cariche ricoperte dalla troupe e da chi ha lavorato al film. Francamente non mi era mai capitato di vedere una cosa del genere. Ovviamente tutto ciò per proteggere da possibili problemi chi ha lavorato alla pellicola. Comprensibile sotto certi punti di vista; da lasciare basiti ed esterrefatti sotto altri.
Ciò dimostra l'importanza e l'assoluta necessarietà di "film" del genere che fanno conoscere al mondo stragi misconosciute o cadute nell'oblio anche se ciò ovviamente può non piacere a molti e non solo in Indonesia. Per fortuna Oppenheimer non la pensa come i protagonisti secondo cui il passato è passato e bisogna dimenticarlo.
Da amante della storia ma soprattutto da uomo: grazie Joshua!
Ovviamente consigliatissimo a tutti (Daniela, non perderlo!): un film stratosferico.
Molto bene, ritengo il precedente lavoro qualcosa di potentissimo e questo lo vedrò non appena sarà possibile.
DiscussioneDaniela • 2/10/14 07:45 Gran Burattinaio - 5926 interventi
Grazie Cotolo, non lo conoscevo e farò tesoro della tua dritta...
DiscussioneZender • 2/10/14 08:04 Capo scrivano - 47770 interventi
Beh tutto sommato non mi stupisce che si siano coperti con l'anonimato. Tutto sommato è importante che film così escano, non che noi si debba sapere necessariamente chi ci ha lavorato.
Ho visto proprio ieri sera The Act of Killing e mi ha messo duramente alla prova. Lo vedrò sicuramente, ma prima devo digerire e metabobolizzare il precedente...
Certo, Zender. Non stupisce nemmeno me. Però ho segnalato la cosa per sottolineare come il grado di
libertà in certi paesi è ancora molto carente, tanto
che massacratori manifesti di popolo si permettono impunemente di minacciare chi è alla ricerca della verità e dei fatti successi in passato.
Ti capisco Rebis. Non so dirti quale dei due sia più duro da digerire. Io propendo per il secondo che manca di quella "teatralità" che è presente in The act non certo per scelta registica ma per l'istrionismo dei protagonisti che sembrano quasi esaltarsi nel narrare le loro malefatte davanti alla
macchina da presa. Qui manca del tutto o quasi tale
aspetto e forse è proprio ciò che, a mio avviso, lo
rende più duro.
DiscussioneZender • 2/10/14 15:22 Capo scrivano - 47770 interventi
Ma infatti hai fatto bene a sottolinearlo, Cotola.
Cotola ebbe a dire: Ti capisco Rebis. Non so dirti quale dei due sia più duro da digerire. Io propendo per il secondo che manca di quella "teatralità" che è presente in The act non certo per scelta registica ma per l'istrionismo dei protagonisti che sembrano quasi esaltarsi nel narrare le loro malefatte davanti alla
macchina da presa. Qui manca del tutto o quasi tale
aspetto e forse è proprio ciò che, a mio avviso, lo
rende più duro.
Già, si esaltano fintanto che non rispondono alla propria coscienza... ma nel finale, quando arrivano all'appuntamento con se stessi, nemmeno lo spettatore più indignato può rimanere indifferente alle conseguenze. In questo senso credo sia un'opera profondamente morale prima che la ricostruzione di un eccidio di massa.