Beyond the black rainbow - Film (2010)

Cosmatos punta tutto sul formalismo esasperato tanto che si potrebbe parlare di video-arte, se non fosse per la presenza di una trama. Narrata in maniera sfibrante, con tempi lentissimi e un senso generale sfuggente che non aiuta certo ad arrivare in fondo. Il reparto audiovisivo è mozzafiato, ossessivamente ricercato, e questo scompenso tra forma e contenuto è il limite maggiore di un film che comunque, visto con la giusta predisposizione, risulta affascinante ed onirico, come un viaggio psichedelico senza una precisa meta.

A tutta manipolazione rarefazione stilizzazione di immagini suoni sensi ritmi, Pan Cosmatos (panico e cosmo, manco dirlo) traghetta il fruitore in un’odissea dello strazio, mosaicata da tutti gli umori della più criptica, degenerata e paranoica fantascienza 70/80 col benestare di Russell. La via resta misterica, la flebile trama sguazza in un porsi sfingeo che privilegia la sensorialità alla drammaturgia, il vaneggiare al teorizzare. Se gli si concede incondizionato abbandono tenendo il raziocinio a cuccia, è un cine-alcaloide che strega e smarrisce, incanta e turba, attanaglia e da la scossa.

Lasciate perdere la storia che è qui è flebile e dagli oscuri andamenti e siginificati. Meglio concentrarsi sulla forma che invece è raggiunge massimi livelli e splendori: un trip visivo di grande ed abbacinante bellezza che difficilmente può lasciare indifferenti anche gli spettatori più scafati. Notevoli il tappeto musicale e la fotografia che sublima un impianto visivo impeccabile. Molte le suggestioni, gli echi e le rimembranze filmiche senza però che siano mai invasive, stucchevoli e fastidiose. Ritmi lenti, molto lenti: ma merita una chance.

Diversi anni prima che Refn svendesse il cinema a un'estetica videoclippara/pubblicitaria col suo orribile Neon demon, vide la luce questa lisergica piccola perla della fotografia cinematografica, in cui le luci al neon, pur abbondando, non fanno mai temere la possibilità della comparsa di una qualche modella con in mano un profumo D&G. Peccato per il finale, che nulla ha a che fare con il resto dell'opera e che si direbbe diretto dall'addetto alle pulizie durante un capatina al bagno del regista.

Rinchiusa in una clinica ipermoderna, una ragazza deve sottostare alle cure di un dottore con la faccia da psicopatico... un incubo non solo per lei ma anche per lo spettatore, sottopposto a un fuoco di fila di immagini fluo, sgranature, dissolvenze, fuori fuoco, il tutto accompagnato da sonorità che richiamano la fantascienza anni 70 e senza il filo logico di una trama intelleggibile. Riconosciuta una certa eleganza visiva e il coraggio di proporre un'opera tanto personale, al termine si resta più frastornati che affascinati, anche per l'epilogo fiacco poco legato al resto.