Quattro attori si guadagnano da vivere "sostituendo" i defunti nelle case di parenti che non si rassegnano alla perdita, sostituzione che diventa pura ossessione da una parte e dall'altra. Un film lento e surreale, una pesantezza non solo emotiva ma anche visiva, inquadrature volutamente brutte, sfuocature insostenibili, musica diegetica, luci inesistenti, una regia matura e coraggiosa per una storia che regala un paio di risate e tanta inquietudine; la resa è realistica ma è impossibile immedesimarsi coi personaggi e le situazioni, per fortuna.
MEMORABILE: Una vedova cieca pianifica a puntino il tradimento di suo marito, esce dalla camera, rientra e si indigna per l'adulterio.
Il micro (le piccole cose e i gesti di una vita) contro il macro (l’infinita vulnerabilità dell’animo umano). Finzione, recitazione e Cinema facenti parte di una sofferenza intangibile, soffocata, suggerita. Maschere anonime che si muovono in uno spazio-tempo definito e surreale, assurdo, finanche malsano. Tra follia e dolore, ossessione e moralità, Lanthimos completa ed evolve la sua idea di cinema imbastendo un gelido, distaccato e dolente racconto sulla contemporaneità, sul Mondo odierno e sulle fragilità e il cinismo che lo accompagnano.
MEMORABILE: La ragazza ferita e piena di sangue in viaggio sull'ambulanza.
Un altro sconcertante apologo di Lanthimos per descrivere le angosce contemporanee: i sostituti dei morti che leniscono il dolore ai superstiti, in un gioco vertiginoso e pericoloso di simulazione, dove il baratro del vuoto fa precipitare tutti in un gelido scimmiottamento della vita. Ovvero: i sentimenti rimpiazzati dalla replica esteriore di gesti e parole. Un vero e proprio mondo dei robot che è poi la nostra realtà, dove anche i moti più sinceri suonano finti. In una narrazione dove pietas e desolazione si accompagnano ambiguamente.
Si sostituiscono ai morti per lenire il dolore dei vivi, le Alpi di Lanthimos. Curano il dolore della perdita, questo sconosciuto. Insostituibili, in una società che ha perso la sacralità del rito, intrappolata nell'automatismo della rappresentazione. Apatia e aponia si erigono tra gli individui, stringono maglie di alienazione, liberano violenza inespressa per approssimazione al reale. Un controcanto a Kynodontas, laddove l'inespugnabile nucleo familiare era osservato da dentro, mentre qui lo si scruta da fuori. Cinema teoretico, livido, filosofico, concettualmente lancinante.
Sostituirsi ai morti è un gioco perverso, un business grottesco fatto di recitazione scadente ed emozioni intangibili. Lanthimos segue l'avvicendarsi di tematiche che toccano la protagonista, che dalla realtà cerca di intrufolarsi in un mondo fittizio. Tecnicamente ottimo, vanta un copione solido e una prova attoriale convincente.
Già la seconda visione del riuscito Dogtooth non era stata proprio uno zuccherino... adesso anche quest'ultimo lavoro di Lanthimos va giù con difficoltà. Un soggetto comunque particolare, straniante, giocato su un microcosmo di persone in cerca di identità. Mi è sembrato programmatico, pesantuccio nel riproporre silenzi e conflitti interiori. Nulla da dire invece su come si muovono gli attori.
Altro duro colpo di matrice ellenica a firma di Lanthimos. E le caratteristiche sono quelle del suo cinema: tra tutte un gelo di fondo ed un distacco (assolutamente voluto e pienamente coerente con quanto viene raccontato) che impedisce qualsiasi identificazione con i personaggi. I surrogati dei morti
(ma anche della vita) mettono i brividi. Ed anche qui il regista dimostra grandi capacità (anche se meno che in Kinodontas) nell'utilizzare in modo innovativo il linguaggio parlato.
Chi conosce il cinema di Lanthimos non rimarrà stupito da quest'opera. Ancora una volta egli sceglie una storia dove le persone mettono in atto comportanti autistici utilizzando un linguaggio asciutto, asettico, in un contesto che sembra aver assimilato questa bruttura. Se le persone possono essere dei surrogati, i sentimenti invece non ci riescono e cercano di esplodere in tutta la loro dirompenza. Il messaggio del regista greco in definitiva rimane sempre lo stesso opera dopo opera ma la messa in scena disturba sempre come la prima volta.
MEMORABILE: Il momento in cui la clavetta cambia colore...
Il soggetto scelto da Lanthimos ha un raggio d’azione molto ampio e la base di partenza è l’identità della persona che viene meno smarrendosi in una grottesca sostituzione di persone defunte. I pochi attori sono perfettamente calati nella parte, ma risulta estremamente difficile provare empatia per loro, tale è l’astrazione emotiva. Tutto ciò è conseguenza dello stile narrativo distaccato e freddo. Un ulteriore blocco di granito scolpito da Lanthimos.
Alps è una associazione di 4 persone che, dietro pagamento, si prestano a surrogare defunti, in modo da dare alle famiglie la possibilità di lenire nel tempo il dolore della perdita. Tema caldo quello dell'elaborazione del lutto, ma affrontato in maniera freddissima, alternando toni sadici e grotteschi: il risultato sconcerta ed imbarazza, lasciando una persistente sensazione di disagio simile a quella derivante dalla visione di altri film "devianti". Lanthimos omonimo greco del tedesco Haneke? Forse nell'effetto, ma si tratta di un autore con una personale e già ben definita cifra stilistica.
MEMORABILE: Il test della clava: se non cambia colore, se diventa blu, se diventa rossa
Il capitolo meno felice dell'altrimenti immacolato curriculum registico di Lanthimos. L'originalità del tema, sempre ai limiti del grottesco (la resurrezione teatrale di uno o più defunti, dietro pagamento delle famiglie), tende a tracimare più di una volta nell'eccesso di asetticità formale, perdendo infine di credibilità e fluidità narrativa (e difatti, più che Haneke, qui si rivede il geniale ma faticoso Ferreri dei primi '70). Qualche lampo a sorpresa nell'ultima parte non sposta granché il giudizio.
Poco convincente (verrebbe da pensar anche non troppo convinto), strutturalmente più debole di Dogtooth e piuttosto pertinacemente chiuso nella sua entomologica monade oltranzista. Ad essere debole in sostanza mi pare in questo caso proprio l'idea di partenza, spunto forte che però viene svolto senza esser mai sollevato da un bagliore di ironia se non cinica e sterile (a Lanthimos comunque va dato atto che non ripeterà più l'errore nei successivi film). Un opera insomma che il sentimento del contrario pirandelliano smaschera un po' fredda e ridicola.
MEMORABILE: Il rapporto tra la ginnasta di Ariane Labed e l'allenatore.
Quattro persone si propongono di sostituirsi ai defunti per alleviare il dolore ai cari. Il tema della morte viene però solo sfiorato e la storia si concentra sul freddo opportunismo del quartetto. Sceneggiatura come una lucida follia (da ogni parte si veda la storia) con questi nuovi mostri come attori su un palco: Lanthimos descrive la mancanza di morale come fosse un vuoto cosmico, con l’egoismo al posto della solidarietà. Poche scene forti e gli immancabili balletti scomposti; anche il lato grottesco scema man mano e in conclusione qualche dubbio rimane, su cosa è reale.
MEMORABILE: Il finto tradimento del marito; La clavata e i punti di sutura; Il ruolo della ginnasta che sembra interpretato; Il tennis in camera d’ospedale.
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DiscussioneZender • 19/10/12 18:49 Capo scrivano - 47698 interventi
Ok, cambiati il titolo (giustamente va messo quello internazionale) e pure la locandina. Teniamo però conto che quando e se si avrà la locandina italiana, per quanto brutta sia avrà la precedenza.